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LA STAMPA
18/6/2007
I giornali nel mirino dei politici
CARLO FEDERICO GROSSO

Quanto è accaduto in Italia nell’ultima settimana in tema di rapporti fra politica, giustizia e stampa merita alcune riflessioni di tipo giuridico-politico. I fatti sono noti. Dopo il deposito di alcune intercettazioni telefoniche delle quali occorreva stabilire l’utilizzazione in un processo penale e in cui figuravano conversazioni di uomini politici, la stampa è stata inondata dalla loro pubblicazione. Non è la prima volta che conversazioni intercettate vengono pubblicate e che la reazione del mondo politico esplode contro asseriti eccessi della magistratura nell’intercettare e della stampa nel pubblicare.

Tanto che qualche mese fa è stato approvato dalla Camera in modo bipartisan, ed è ora in attesa di approvazione al Senato, un disegno di legge restrittivo in materia di intercettazioni.

Il progetto è stato accelerato dopo che gli italiani erano stati frastornati, nella scorsa estate, dalla pubblicazione di conversazioni scottanti tra personaggi della finanza che tentavano di accaparrarsi fette importanti di potere economico.

Dopo l’ultima ondata di pubblicazioni la reazione del mondo politico è stata, per certi versi, ancora più forte. Attacchi frontali alla magistratura e alla stampa. Un clima stranamente benevolo di solidarietà trasversali. Nell’insieme, l’invito corale a far presto nell’arginare le pubblicazioni illegali con la rapida approvazione della nuova legge.

I problemi giuridici e politici che suscita quest’ultima vicenda sono di grande spessore. Innanzitutto occorre precisare che la magistratura ha assunto, nella specie, un atteggiamento irreprensibile. Si trattava di decidere se talune intercettazioni (nelle quali figuravano conversazioni di parlamentari) dovessero essere acquisite in un processo penale. Il giudice, giustamente, ha disposto il deposito delle relative trascrizioni in modo che le parti potessero fare le loro valutazioni. Se vi fosse stata richiesta di acquisizione e la valutazione del giudice fosse stata a sua volta favorevole, gli atti sarebbero stati trasmessi alla Camera per la necessaria autorizzazione. C’era il rischio che, con il deposito in cancelleria, le intercettazioni potessero essere pubblicizzate. Ma cos’altro poteva fare la magistratura, se non impedire, come ha fatto, l’estrazione di copie e consentire la sola lettura dei testi?

Dopo il deposito, le intercettazioni sono state pubblicate dai giornalisti, informati del loro contenuto non si sa, per ora, da chi. Forse da qualche avvocato, forse da qualcuno che già possedeva illegalmente le intercettazioni stesse e che ha sfruttato il momento propizio per diffonderle. La pubblicazione sui giornali è stata, comunque, sicuramente illecita, in quanto gli atti di un’indagine penale, ancorché non più segreti come nel caso di specie, non possono essere pubblicati nella loro interezza fino alla chiusura delle indagini. Ma l’illecito compiuto dai giornalisti, di per sé, è consistito soltanto nella lieve contravvenzione di pubblicazione arbitraria di quanto era stato loro rivelato: un illecito che viene frequentemente commesso, nell’ansia di informare il pubblico, quando i giornali vengono in possesso di una notizia di pubblico interesse. Ma dov’è, allora, il denunciato grave abuso della stampa, il pericolo esiziale per la riservatezza dei parlamentari?

Il pericolo, in realtà, è un altro: che una classe politica ormai insofferente, nel suo insieme, a ogni controllo, di fronte alla diffusione di notizie riservate coinvolgenti taluni dei suoi componenti, reagisca in modo sconsiderato, rischiando di indebolire, con nuove leggi, la libertà di stampa e il diritto della gente a essere informata. Dimenticandosi che libertà di stampa e diritto-dovere di informare su notizie di rilevanza pubblica costituiscono segni essenziali di democrazia.

Anche qui occorre ovviamente essere attenti e procedere alle necessarie distinzioni. È ovvio che la vita privata della gente non può essere sbattuta impunemente sui giornali. Bene, quindi, si fa a punire duramente le violazioni gratuite della privacy. Ma se i fatti, o le persone, hanno una rilevanza pubblica, davvero è legittimo imporre il bavaglio? O non è vero, piuttosto, che, più una persona ha un ruolo pubblico, più i suoi comportamenti, le sue frequentazioni, le sue amicizie, i suoi affari, acquistano a loro volta una rilevanza pubblica e possono pertanto essere legittimamente pubblicizzate?

Questo discorso vale soprattutto proprio per i politici, che eleggiamo perché utilizzino le loro intelligenze e le loro competenze come servizio. La politica, si diceva una volta, dev’essere una casa di vetro. E ciascuno di noi, proprio perché ha votato e sarà chiamato a votare nuovamente, ha diritto di conoscere ciò che vi avviene, anche se riguarda conversazioni private, o privati vizi e virtù, quando, beninteso, tali conversazioni, vizi e virtù interessino in qualche modo la sfera della pubblica funzione esercitata. Per essere in grado di giudicare ed eventualmente, se non si approva, di cambiare voto. In questa prospettiva la stampa esercita una funzione essenziale.

So bene che una disciplina che si ispira a valori liberali di consolidata tradizione riconosce ai parlamentari la guarentigie dell’immunità perché siano liberi da condizionamenti nell’esercizio del loro mandato. Occorre che l’immunità non si trasformi tuttavia in licenza o indebita copertura. Occorrerebbe, per altro verso, che i parlamentari non strumentalizzassero, oggi, il loro voto per assicurarsi, con una legge che limita la libertà di stampa, l’ulteriore guarentigia di un controllo popolare affievolito.




INES TABUSSO