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L'UNITA'
2 luglio 2006
Passano i dialoganti
Furio Colombo

Titoli strani si inseguono sui giornali italiani subito dopo la rotta delle armate di Bossi. Titoli incomprensibili. Il giorno dopo la vittoria clamorosa del referendum, il no che ha salvato la Costituzione, leggiamo: «Riforme tra una settimana in Parlamento» (La Repubblica); «Il Governo e il dialogo sulle riforme: tavolo a luglio» (Il Corriere della Sera); «Nuove intese? Anche i lumbard protagonisti» (Il Corriere della Sera); «Elogio del dialogo» (La Stampa). Circola, dal Tg1, una frase enigmatica di Rutelli: «Gli italiani hanno detto no ma sono molto interessati al premierato forte». È un esercizio di poteri para-normali. Abbiamo votato no, il sessanta per cento degli italiani, e la ragione più vigorosa - come dice bene Gianfranco Pasquino sull'Unità del 28 giugno - è la ripulsa della Casa delle Libertà. È un no secco a ciò che hanno fatto e a ciò che si proponevano di fare se quella loro proposta indecente fosse passata. Ma un'altra ragione che ha fatto restare in città e uscire a votare nel giorno più caldo dell'anno un numero così alto di cittadini è stato dire no alla parte della riforma detta «premierato forte». È vero che a molti italiani ripugna per il rischio immediato insito nel binomio premierato forte-Berlusconi. Ma è, ovviamente, altrettanto vero che le assenze di destra completano il discorso avviato dal sessanta per cento del no di sinistra (e non solo di sinistra). Quel discorso si conclude con un clamoroso rifiuto. E allora come ignorare il senso di fastidio e di nausea che fatalmente segue un rifiuto che ha concluso anni di spettacolo e propaganda a reti unificate sull'attentato appena sventato alla Costituzione?

La frase completa del vice presidente del Consiglio Rutelli, ascoltata in televisione, era «Il popolo italiano, nella sua saggezza, ci invita alla modernizzazione».

Siamo sicuri? Occorre infatti ricordare che la parola è cara a Calderoli (che per modernizzazione intende «caccia all'immigrato con forbici arrugginite», citazione testuale); compare anche in questi giorni nei titoli desolati del giornale della super-sconfitta Lega, «La Padania».

Ed è stata usata - sia pure con notevole impudicizia e frequente maleducazione - per definire «conservatore» Oscar Luigi Scalfaro, che ha guidato il movimento nazionale «Salviamo la Costituzione» fino a quota sessanta per cento di no. La parola è servita per definire «moderni», anche nelle migliori reti televisive statali e private, personaggi come Borghezio, Gentilini, Castelli, Bossi. E conservatori Carlo Azeglio Ciampi, e tutta l'Italia che ha votato no. Ovvero tutta (tutta) la cultura italiana. Perché lanciare messaggi che disorientano invece che un grazie all'Italia? Ma c'è anche un aspetto di immediata evidenza che non è giusto ignorare.

Pasquino, nel suo articolo su «l´Unità» giustamente si domanda «dialogare con chi?».

Siamo in grado di rispondere. Dovremmo dialogare con la metà del Senato che in questo momento - mentre scrivo - ha occupato l'emiciclo dell'Aula, urla contro il presidente Marini, tenta assalti verso l'altra metà seduta in silenzio, faticosamente bloccata dai commessi. E poi si riuniscono intorno a uno di loro, che per maleducazione e violenza è stato espulso e non vuole uscire, in una formazione che fa venire in mente gli incidenti da pub o da discoteca. Stanno cercando di impedire che il rappresentante del governo (in questo caso il ministro Chiti) possa parlare («comunicazioni all´Aula») e annunciare il voto di fiducia. Loro, in quest´Aula, ne hanno chiesti e ottenuti 47. Ma il voto di fiducia richiesto da Prodi viene definito (se capisco bene le loro urla) «un golpe». Che la discendenza della venerabile Loggia P2 parli di golpe potrebbe essere materia di un colorito aneddoto per ricordare questi giorni in Senato. Se non fosse per due gravi ragioni che, mentre i «colleghi» urlano e la seduta è sospesa, vorrei notare e far notare ai lettori.

La prima ragione è un ricordo, ma è anche un grave evento politico. Il tempo è il 1966, il luogo è Atene. Alla Camera dei Deputati di quel paese c'è un violentissimo scontro che, dalla tribuna della stampa, riesco a filmare per TV7. Il mio collega americano ha perso la scena in cui un deputato fascista si è gettato contro Georges Papandreu e lo ha colpito con uno schiaffo. Il cameraman americano, allora, scende rapidamente la scala, entra in Aula (benché - si intende - sia proibito) e chiede al deputato fascista di schiaffeggiare di nuovo Papandreu, questa volta di fronte alla telecamera e al riflettore. Ricordo di avere detto, nel commento che stavo registrando, «finisce adesso, in questo momento, la democrazia in questo paese. Finisce con la dissacrazione del Parlamento».

Ero in casa di Papandreu, insieme al regista Sergio Spina, all'alba del giorno dopo, con una telecamera nascosta, quando Papandreu è stato arrestato. I fascisti del governo dei colonnelli (il colpo di stato era avvenuto poche ore dopo lo schiaffo) hanno negato per giorni. Ma noi siamo riusciti fortunosamente a far uscire dalla Grecia la pellicola (affidandola a una turista americana che ha accettato di correre il rischio) e la scena è stata diffusa dalle televisioni del mondo.

Posso dire che ciò che è accaduto il 28 giugno al Senato italiano, sotto la guida, gli insulti, il rifiuto di accettare l'espulsione, la sfida fisica e fascistoide del senatore Malan di Forza Italia, spalleggiato dai peggiori dei suoi (non pochi) è identico per squallore e violenza - anche nel lancio del libro del regolamento contro il banco del Presidente, che si è scansato in tempo - alla scena di Atene. C'è una immensa differenza: qui non ci sono i colonnelli. C'è, nonostante il loro furore (e anzi proprio questo scatena il loro furore) un governo saldo e solido; ma il loro comportamento ci dice che le loro intenzioni sono le stesse. Non possono fare di peggio. Ma fanno tutto il peggio che possono.

L'evento, che non è un ricordo ma è di queste ore, ci porta al secondo inevitabile argomento. Eccoli i dialoganti. Buttano in aria il tavolo ancor prima che ci sia un tavolo al quale sederti per dialogare. Se non ti scansi, te lo tirano addosso. Eccoli i dialoganti con cui, non si sa in omaggio a che cosa, non si sa per quale misterioso gesto di sottomissione e umiltà, che non esiste in politica, dovremmo sottometterci andando a cercare il loro consenso.

Eccoli i dialoganti, che prima hanno scritto la più indecente di tutte le possibili riforme. Poi hanno perduto le elezioni per poco, rifilandoti l'idea dell´«Italia spaccata». E infine hanno perduto in modo schiacciante l'approvazione del loro unico reclamo di esistere (a parte il disastro economico). E allora tentano di distruggere, o almeno di svilire, il Parlamento.

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C'è ancora un argomento che mi sembrerebbe ingiusto ignorare. I cittadini italiani non hanno pace da quando è iniziato il quinquennio disastroso e senza tregua di Berlusconi. Quattro «Bruno Vespa» alla settimana, tragedie come il G8, passerelle grottesche come Pratica di Mare, tre ministri degli Esteri, tre ministri dell'Economia, due dell'Interno, le corna a Madrid, gli insulti al deputato Schultz a Strasburgo, gli insulti e le minacce a questo giornale, le sconfitte elettorali continue, le continue esibizioni di successi mai ottenuti, le continue grida di allarme contro il pericolo comunista, le incursioni a tutte le ore in tutte le reti di tutte le televisioni e di tutte le radio, inclusa la stazione del traffico (Isoradio); l'aver gettato l'Italia in una guerra vietata dalla Costituzione fingendo di onorare le forze armate; l'avere eluso sistematicamente i propri processi, prima accampando lavori di governo, poi facendo votare leggi che esonerano l'autore di un reato dopo il reato. Tutto ciò ha tenuto in ansia e con il fiato sospeso milioni di italiani. Molti di essi si sono automobilitati per evitare il peggio. E far sentire che il Paese era vivo, nei famosi girotondi. Alla fine hanno votato no a Berlusconi e poi alla odiosa riforma costituzionale che è crollata sotto il no, portandosi via e cancellando il peggio di quei cinque anni. In quegli anni ci hanno costretti a tenere sempre accesa la televisione, a essere sempre occupati con le sue rughe, i suoi capelli, i suoi tacchi, le sue vacanze, i suoi cactus, le sue ville, le sue battute. Adesso non vogliamo lasciarli in pace i cittadini? Non vogliamo dimostrare che, mentre i politici tentano di svolgere al meglio i compiti affidati secondo il programma noto e il mandato (no a Berlusconi) ricevuto, gli elettori possono tornare alla famiglia, al lavoro, al tempo libero, sapendo che noi non ci muoviamo dal Senato neppure se loro fanno teppismo? Abbiamo molto lavoro urgente da fare: economia, politica estera, scuola, salute, legge elettorale. Non credete che il premierato forte e quel famoso tavolo possano aspettare? Intanto, in Aula, riprendono le urla dei «dialoganti».

furiocolombo@unita.it




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CORRIERE DELLA SERA
3 luglio 2006

Tra i cosiddetti «dialoganti», in prima linea viene considerato il leader della Margherita Francesco Rutelli (sopra). Ma tra gli altri, che in questi giorni hanno espresso la necessità o la possibilità di aprire le porte a una discussione con esponenti del centrodestra e della Lega, ci sono anche il governatore della Campania Antonio Bassolino (sopra), il segretario ds Piero Fassino , il ministro degli Esteri Massimo D’Alema e il dalemiano Nicola La Torre



L’allarme contro i «dialoganti» lo ha lanciato sull’Unità Furio Colombo (sopra), che contesta la possibilità di una riforma condivisa dopo il no al referendum sulla devolution. Sulla stessa linea si schierano anche il sottosegretario all’Economia Paolo Cento (sopra), il professor Pancho Pardi , il giornalista Marco Travaglio , il senatore di Rifondazione Claudio Grassi e il noglobal eletto con Rifondazione Francesco Caruso





Le posizioni nell’Unione
ROMA - I lettori dell’ Unità sanno che l’edizione domenicale del loro giornale è un po’ diversa dalle altre, una volta se ne vendevano centinaia di migliaia di copie, e comunque era la domenica che venivano pubblicati gli articoli, gli editoriali di maggior impatto politico: così, ieri mattina, era decisamente al posto giusto l’intervento di Furio Colombo - fondo d’apertura dal titolo: «Passano i dialoganti» - che poi girava a pagina 27 per porre un paio di interrogativi che, a questo punto, giusto a una settimana dalla vittoria referendaria, rischiano di aprire un nuovo fronte interno all’Unione. Scrive il senatore ed ex direttore del quotidiano fondato da Antonio Gramsci: «Titoli strani si susseguono sui giornali italiani subito dopo la rotta delle armate di Bossi. Titoli incomprensibili. Il giorno dopo il "no" che ha salvato la Costituzione, infatti, leggiamo: "Riforme tra una settimana in Parlamento" ( la Repubblica ); "Il governo e il dialogo sulle riforme: tavolo a luglio" ( Corriere della Sera ), "Nuove intese? Anche i lumbard protagonisti" ( Corriere della Sera ); "Elogio del dialogo" ( La Stampa ). E circola, poi, dal Tg1 , una frase enigmatica di Rutelli: "Gli italiani hanno detto no, ma sono molto interessati al premierato forte"».
Furio Colombo sostiene che tutto questo sembra essere «un esercizio di poteri para-normali». Perché il sessanta per cento degli italiani ha votato «no» e «la ragione più vigorosa, come ha già scritto Gianfranco Pasquino proprio sull’ Unità del 28 giugno, è la ripulsa della Casa delle Libertà». Ma non solo: Colombo ricorda come Pasquino, nel suo articolo, ponesse anche l’interrogativo: «Dialogare, poi, con chi?». Retoricamente, risponde lo stesso neosenatore dell’Ulivo: «Dovremmo forse dialogare con la metà del Senato che ha occupato l’emiciclo dell’Aula? O trattare con personaggi come Borghezio, Gentilini, Castelli e Bossi?». Un attacco alla Lega, proprio nel giorno in cui il governatore della Campania Bassolino, sul Corriere della Sera , apre al Carroccio.
Comunque, il punto politico di Colombo è: davvero occorre dialogare con questo centrodestra, con questa opposizione così rissosa che, per giunta, «voleva stravolgere la Costituzione?».
Si rende opportuno un giro, ascoltare qualche opinione, andare a sentire quel pezzo di sinistra che dissente, che può apparire più ancora di sinistra. Occorre capire se, davvero, sugli interrogativi di Colombo e Pasquino c’è il rischio che si apra, nella coalizione di governo, una frattura. Per esempio, lei, professor Francesco Pardi, lei cosa ne pensa? «Io dico che Colombo ha ragione. Perché mai dovremmo dialogare con coloro che volevano disintegrare la nostra Costituzione?». Perché forse qualcosa, di quel testo, si può migliorare, si può modernizzare, e allora... «Allora che il centrodestra si liberi prima di Berlusconi, che diventi un centrodestra di statura europea. Ecco, a quel punto, si potrà aprire un dialogo. L’ho pure scritto in un articolo che uscirà su Micromega ...». Cos’ha scritto, professore? «Che finché hanno avuto il potere sono stati squadristi, ci hanno preso in giro, hanno modificato la Costituzione a colpi di maggioranza... Ora dovremmo ragionare con loro? Ma possibile che in questo Paese ci sia sempre voglia di inciucio?».
Più che inciucio, «c’è voglia di superinciucio», dice il verde Paolo Cento, il sottosegretario all’Economia che avverte il pericolo «dei cosiddetti dialoganti». Che pericolo è, Cento? «Invocano il dialogo per le riforme ma, in realtà, sotto sotto, il vero obiettivo è quello del grande accordo, dell’intesa subdola per arrivare alla grande coalizione centrista. Basta guardare i nomi...». Rutelli... «I moderati dell’Unione. Che, come si sa, guardano con interesse a una grande coalizione centrista. No no, niente dialogo...».
Anche perché, «uno dialoga per cambiare qualcosa. Ma io, sul serio, non capisco cosa si debba cambiare di questa Costituzione». Il giornalista e scrittore Marco Travaglio si mette con soddisfazione nei panni «del conservatore, certo, e allora?». Quindi lei non cambierebbe niente del vecchio testo del 1948? «Niente o pochissimo. Ma direi, se possibile, niente. E non lo dico io. Lo dicono gli italiani. Ma cosa devono fare più che uscire di casa in una giornata di caldo torrido e andare a votare in massa?».
Che poi, in fondo, come pensa il senatore di Rifondazione Claudio Grassi, «gli italiani, quello che dovevano dire, l’hanno detto e infatti il referendum s’è vinto. Il guaio è un altro». Quale? «Certe modifiche che piacevano a Berlusconi, come ad esempio il cosiddetto "premierato forte", piacciono, e parecchio, anche a molti esponenti del centrosinistra». Facciamo nomi? «Mah, li sanno tutti, credo... si va da Rutelli a...». A chi? «Agli altri, ai Fassino, ai D’Alema... la verità è che certe derive autoritarie suscitano un certo sottile, terrificante fascino e allora stiamo qui, a domandarci se sia il caso di trattare con i berluscones... Ma la trattativa, in realtà, è solo una scusa».
E poi, dice Francesco Caruso, ex gran capo dei no global meridionali e deputato di Rifondazione, «bisogna avere memoria». Ci aiuti. «Speroni, il giorno dopo aver appreso l’esito del referendum, cosa disse?». Che gli italiani facevano... «Schifo. Lo dico io: disse che gli italiani gli facevano schifo. E che, per questo, sarebbe andato in Svizzera. Ora io mi chiedo: ma perché mai dovremmo metterci a dialogare con un personaggio del genere?».

Fabrizio Roncone


INES TABUSSO