00 17/11/2003 22:56
L’anima dei Fiori
Patrizia Capodicasa

“E’ meraviglioso potersi stiracchiare in questo sole d’estate”
Questo era quello che e continuava a ripetersi Rosa, mentre apriva i propri petali alla luce del giorno.
Le radici solidamente piantate per terra, i petali di un tenero colore e un’arma che non aveva mai saputo usare: le spine;
Le calde giornate estive erano quasi finite e gli abitanti del piccolo bosco le avevano raccontato di come, più avanti, col passare del tempo, tutto sarebbe diventato completamente bianco, gli alberi si sarebbero spogliati dalle loro foglie e tutti sarebbero morti per rinascere in primavera.
Che strano modo di stare al mondo...che sia questo un segreto di vita? Rinascere ogni volta dopo essere morti?
Quanti pensieri, quante domande...poche risposte.
Anche lei dunque sarebbe sfiorita...ma non era questo il momento di pensarci...però difficile far smettere quei pensieri che si rincorrevano a circolo, soprattutto quando si é perfettamente consapevoli che il tempo, non ti permette di indugiare e la vita...scivola come rugiada sui petali!
Così, tutta assorta nei propri pensieri, non si accorse del peso che gravava sull’ ansa tra le prime foglie del gambo......e il peso si spostava, saliva...qualcosa si stava arrampicando evitando accuratamente le spine....non riusciva a vedere....iniziò a preoccuparsi un poco...e poi vide una piccola ombra “Ehi! Ma dove credi di andare?...Fermo, chi sei?....Ahi! Ah! Mi rompi tutte le foglie, fai piano....ma insomma, vuoi stare più attento?”
Il “peso” che si arrampicava era un folletto, che imperterrito e con un ampio sorriso stampato sul buffo viso, continuava la sua arrampicata, fino a che non fu comodamente seduto sulle foglie alla base della corolla.
“Comodo!!! Un giorno o l’altro dovrò decidermi ad imparare ad usare queste spine, per tutti gli intrusi poco educati che neppure si scusano...e sto parlando con te, signor naso rosso!!!”
Il folletto non smise di sorridere, anzi, il sorriso si trasformò in una sonora risata...rideva a...scoppi....come se le risate fossero bolle di sapone che esplodevano nell’aria....era buffissimo.
Era buffo il suo giubbetto di pelle, il naso grande e arrossato...le sue scarpe...il cappello, le orecchie...tutto l’insieme.
Il folletto, proseguendo nelle sue risate, tirò fuori dall’interno del giubbetto un flauto, si aggiustò un poco il berretto viola sul capo e iniziò a suonare;
Rosa era veramente seccata, sull’orlo di scuotersi e farlo cadere fragorosamente a terra, quell’estraneo la metteva a disagio, non parlava, le stropicciava le foglie, pesava....la musica che usciva da quello strumento era però meravigliosa.
Riusciva a crearle uno stato di pace e immediatamente si calmò, non sentì più il peso e l’invasione in nessun senso....il folletto era bravissimo e quella musica toccava gli strati più profondi della sua linfa...era bella come la rugiada che la dissetava al mattino e come i raggi del sole che rendevano i suoi petali vellutati, bella come il vento che porta i profumi e i suoni lontani.
Quando il folletto terminò di suonare, ripose il flauto all’interno del giubbetto, posò un bacio sul petalo di Rosa e iniziò la discesa, così come era arrivato, senza una parola.
Rosa era senza parole e il folletto, ormai lontano nel bosco.
Hog, questo era il nome del folletto, che tutto gongolante rientrava al suo villaggio...e non aveva ancora smesso di sorridersi d’intesa: era felice, no, di più...finalmente dopo molto tempo, aveva avuto il coraggio di di incontrare e sentire la vocina di Rosa, ce l’aveva fatta...da tempo desiderava quell’incontro, da tempo osservava rosa nascosto dietro all’avena selvatica...sì, lo sapeva...Rosa era un fiore e lui un folletto...l’aveva vista sbocciare, aveva annusato il suo profumo portato dalla brezza primaverile...e se ne era innamorato...per questo continuava a ridere e non era riuscito a parlare...aveva suonato per lei...era la cosa che meglio gli veniva, quale musico del villaggio, le parole lui sapeva trasformarle in note....... e faceva meno pasticci!
Rientrando nella sua capanna, continuava a pensare ai petali vellutati di rosa, erano proprio come li aveva immaginati lì, da lontano....e il loro colore, non aveva paragoni, d’una bellezza indescrivibile...forse erano gli occhi dell’amore..forse...lui però non ricordava a memoria un bocciolo così bello!
Un folletto che si innamora di una rosa, una piccola rosa nascosta nel bosco delle querce...sembra una favola...invece era capitato a lui....proprio a lui, questo amore sconclusionato continuava a farlo sorridere, a fargli sorridere il cuore.
Il mattino seguente, quando il sole non era ancora del tutto sveglio, la musica del flauto, di Hog si intrecciava già con i rumori del bosco e Rosa continuava ad essere inebriata, a non trovare più le parole, che in quella musica perdevano il senso, erano assolutamente inutili.
La musica era nutriente, la faceva sentire felice, leggera e viva.
Per molti giorni Hog tornò da Rosa, sempre in assoluto silenzio...sonoro, sempre col buffo sorriso e, quando tardava, Rosa lo aspettava con una leggera ansia, allungando il gambo per andare oltre l’orizzonte, pensando che quel rituale, entrato nella sua vita in modo irruente, faceva parte della sua giornata, del suo tempo, farne a meno le risultava difficile...quelle note, la facevano sentire più vicina al tepore del sole, le sembrava di poter volare come una farfalla invece di essere piantata nel terreno.........abituarsi alla bellezza ci vuole un soffio.
Hog inventava ogni giorno brani più belli, suonava con maestria le melodie più dolci, era un virtuoso del flauto e suonava da sempre.
Quello era il modo che aveva di comunicare col mondo, il modo che aveva per esprimere quello che nasceva dal suo cuore...quando si é ispirati, la musica fluisce da sola, senza pensarla, come se appartenesse da sempre a te e come dono uscisse dal cuore.
Il tempo passò e l’aria si fece più fredda e pungente e i giorni sempre più corti; Rosa al mattino non riusciva più a stiracchiarsi al sole, se ne stava lì rannicchiata e un poco intirizzita, con i petali racchiusi nell’intento di preservare quel poco calore che i raggi del sole riuscivano a mandarle e iniziava a pensare che la sua stagione fosse giunta ormai al termine.
Non era triste, sapeva che nascere e morire facevano parte della vita.
Hog era triste, sapeva che nascere e morire facevano parte della vita...ma la vita contemplava per ciascuno uno spazio diverso tra i due eventi e quando non combaciavano, era dura cercare d’essere ragionevole....la ragione ha le sue ragioni e l’emozione non conosce disciplina o briglie...l’emozione si esprime libera, senza canali prestabiliti da percorrere, le emozioni si trasformano in sentimento, lo alimentano, la ragione alimenta la razionalità...due polarità difficili da conciliare.
Api e farfalle non volavano più da tempo, gli uccelli avevano smesso di cantare, le foglie degli alberi avevano steso un morbido tappeto al suolo e molti animali erano già nel loro ricovero invernale e Rosa, iniziò a perdere i primi petali.
Per Hog, questa vista era insopportabile, gli sembrava di poter percepire la caduta dei petali come tonfi e lividi sulla terra e smise di andare a trovare Rosa per non vedere e sentire questa sofferenza...la sua sofferenza, perché Rosa era serena, dispiaciuta solo del fatto che non sentiva più il meraviglioso suono del flauto, quello che le portava il sole nel cuore e non riusciva a capire perché il folletto fosse sparito...di questo si rattristava, dell’abbandono.
Hog aveva consumato il pavimento della capanna a furia di camminare e pensare, pensare e camminare, avanti e indietro e intorno al grande tavolo ingombro di boccette, libri, erbe e strumenti musicali.....pensava e ripensava ad una alternativa migliore alla scelta presa....non ne aveva, Rosa gli mancava e nel suo ingenuo egoismo voleva ricordarla nella sua piena bellezza.
L’idea giunse d’improvviso, nello stesso istante in cui un sorriso esplose sul suo nasone rosso, gli occhi brillarono e uscì in tutta fretta dalla capanna.
Gli era venuto in mente uno strumento usato nel villaggio degli Uomini Alti e allora corse in fretta, sempre più in fretta per farsene prestare uno...in verità lo rubò, poiché gli Uomini Alti non credono ai folletti e non era quello il momento per fare discussioni.
Ne trovò uno nella scatola del cucito della Donna Alta, quella che viveva nella casa dove ogni tanto andava a curare il gatto.
Era pesante e ingombrante, se lo caricò sulle spalle e corse nuovamente nella radura del bosco di querce, dove Rosa se ne stava tutta intirizzita e nella sua fiera bellezza...anche con i petali appassiti riusciva ad essere bella.
Rosa non si rese neppure conto di quello che stava succedendo, non ne ebbe il tempo, come non ebbe il tempo di provare dolore...fu un attimo.
Giaceva per terra col gambo tranciato, il folletto la raccolse delicatamente e la portò via.
Per vari giorni e notti restò chiuso nella sua capanna, gli altri folletti erano preoccupati, pensarono fosse impazzito per il dolore, poi iniziarono a pensare che forse stava male o peggio ancora che fosse morto per il dolore della morte di Rosa....invece, Hog, lavorava!
Lavorò alacremente giorno e notte, da antichi saggi aveva imparato l’arte di conservare il profumo dei fiori e ora era giunto il tempo di mettere in pratica gli insegnamenti.
Rosa poteva vivere ancora!
Sarebbe vissuta per sempre, per il folletto e per tutti coloro che amano il profumo dei fiori, in questo modo era possibile “vestirsi” di questo profumo in ogni stagione.
Dal Paradiso dei Fiori, questa volta era Rosa a sorridere, era molto felice e mai avrebbe pensato di poter dare gioia a tutti coloro che l’avevano pianta e in particolare al suo buffo folletto...solo da questo posto ora poteva capire e capire quello che voleva comunicare.Aveva capito che ogni azione di Hog era stata carica di amore....per amore lui aveva suonato per lei, per amore l’aveva recisa, per amore avrebbe conservato il suo profumo e per amore avrebbe insegnato ad altri quest’arte preziosa e per amore lo avrebbe donato al mondo.
Per un fiore, il proprio profumo è una cosa importante, la cosa più preziosa, la vera essenza, come per gli uomini lo è l’anima.
Il profumo è l’anima dei fiori e da allora, da quando Hog inventò la formula di conservazione, ogni volta che ne indossiamo uno, entriamo in sintonia e ascoltiamo le parole dell’anima dei fiori.