Zanzibar: non solo mare

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!Serenella!
00lunedì 22 dicembre 2008 21:36
Viaggio da Mille e una notte

Con il termine “Zanj” nel medioevo gli arabi indicavano la Terra d’Africa orientale abitata da popolazioni nere e non musulmane. “Bar”, sempre in lingua araba, significa “costa”. Il rebus è fatto: Zanzibar significa quindi “costa nera”.
Arcipelago a largo della Tanzania, Zanzibar è composta da due isole principali: Pemba e Zanzibar oltre a qualche isolotto.
A Zanzibar di solito si va per il mare: fondali cristallini, spiagge immacolate, pesci tropicali, sole… classica fuga tropicale quando qui tutto è grigio e sa di inverno. Del resto il periodo migliore per recarsi nell’arcipelago è compreso tra dicembre e marzo, quando le isole risentono del monsone del nordest: c’è sole e caldo, mentre le nuvole cariche d’acqua scaricano qua e là pioggerelline brevi e rinfrescanti.
Ma Zanzibar è non è solo mare. L’offerta dell’isola è molteplice: una settimana nell’arcipelago è sufficiente a svelare i misteri di questo piccolo Paese e a concedersi, di tanto in tanto sole, mare e relax. A partire dalla rigogliosa foresta tropicale di Jozani, che offre un panorama fatto di manghi, alberi del pane, cocco e avocado e l’unico animale terrestre di Zanzibar: il colobo rosso, una varietà endemica di scimmia.
Zanzibar per secoli è stata un importante scalo commerciale, incrocio tra arabi, africani e persiani, sulla via delle spezie che portava in India. La sua fama e l’alone leggendario che cresceva attorno a essa le hanno attribuito storie fantastiche, come le famose gesta di Sindbad, il marinaio di Baghdad de Le mille e una notte.



Folclore, tradizione e cultura si respirano a Stone Town, il centro storico di Zanzibar Town, capoluogo dell’arcipelago. Ubicata su una penisola, la “città di pietra” è un esempio praticamente intatto delle vestigia del passato. Costruita dagli omanesi nel XIX secolo, presenta lo stile eclettico proprio delle città di passaggio e dei crocevia commerciali. Intricato dedalo di viuzze, ricorda la medina araba, come arabi sono anche alcuni ornamenti e decorazioni: balconi cesellati delle grandi case in pietra di corallo nero, le porte intarsiate secondo la tradizione omanese (ma anche indiana) del Forte Arabo, e gli oggetti della dinastia dei sultani nel Palace Museum. Il forte è spesso teatro di spettacoli tradizionali come le danze ngoma e la musica taraab, interpretata da un’orchestra di 40 membri, miscela di influenze arabe, africane e swahili.
Altri preziosi esempi di architettura in città sono la Cattedrale Anglicana, costruita sull’area dell’antico mercato degli schiavi, la House of Wonders e l’Old Dispensary, mentre per avere uno spaccato sulla storia di questa civiltà si visita il Museo Beit El Amani. Da non perdere inoltre il mercato Darajani, il mercato del pesce di Mkokotoni, i cantieri navali di Nungwi, dove gli artigiani costruiscono le tipiche barche in legno, e la raccolta delle alghe a Paje.
Sull’isola sono sparsi altri siti e palazzi di importanza storica: la più antica moschea dell’Africa Orientale di Kizimkazi, i resti dei palazzi Maruhubi e Mtoni, le prigioni degli schiavi di Mangapwani, i bagni persiani di Kidichi, le rovine del palazzo del mwinyi mkuu a Dunga, Un ottimo modo per saggiare la cultura locale è anche quello di visitare i villaggi rurali e le vastissime piantagioni di spezie per cui l’isola è rinomata: henné, fiori di eugenia verbena delle indie, cannella e molte altre. Ma il re degli aromi è il chiodo di garofano che cresce copioso nell’isola di Pemba.
Pemba è altresì interessante per i villaggi rurali della costa settentrionale, per le rovine Ras Mkumbuu, Mkama Ndume presso Pujini, e Haruni (presso Chwaka), ma soprattutto per la ricchezza e l’integrità dei suoi fondali. A detta dei sub vi sono tra i fondali più belli al mondo: tartarughe, squali, tonni, cernie, barracuda, a una visibilità che da settembre a marzo arriva fino a 50 metri. Fonte
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