News di Agosto 06

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psitta
00martedì 22 agosto 2006 08:11
Riceviamo e pubblichiamo:

I nuovi ornitologi fai da te Aumentano coloro che senza preparazione lanciano proposte e suggerimenti


Ettore Medani

Sulle pagine di quotidiani, riviste o in tv e Internet è facile imbattersi in una folta schiera di parvenu dell'ornitologia che pretendono di essere gli unici interpreti gli eventi correlati alla fenologia degli uccelli. Non solo, sono convinti di essere gli unici depositari di tali conoscenze.
Così ci ritroviamo di fronte a chicche di ingnoranza abissale spacciate per verità. Un esempio. In una «lettera al direttore» apparsa su un quotidiano, è collegata la possibilità
(per altro mai adottata dalla Lombardia nonostante sia espressamente prevista dalla legge sulla caccia) di anticipare l'apertura alla migratoria al 1° settembre. In sintesi l'autore afferma che è inconcepibile perché: «in tale data le specie sono ancora in fase riproduttiva» ergo, sparando a questi individui il danno sarebbe raddoppiato. Poi se la prende con il prolungamento della stagione venatoria sino al 30 gennaio per sassello e cesena assurdo in quanto: «In questo periodo le specie sono in fase di accoppiamento,
e molte femmine già portano il germe delle uova». In fine, la passera comune dovrebbe essere tutelata vietandone la caccia perché: «unica specie endemica italiana, a livello mondiale, e inserita nella “lista rossa” come uccello in estinzione».
Che dire? Passeri e storni sono specie cacciabili solo in regime di deroga (quando concesso) il cui prelievo è soggetto a severe limitazioni di tempo e quantità. È evidente, pertanto, il tentativo del «sapientone» di confondere le acque con forzature che colpiscono l'immaginario di chi non sa distinguere un passero da un piccione.

Tordo sassello e cesena poi, sono specie «nordiche» che si riproducono a latitudini dove la primavera giunge a maggio. Affermare che già a gennaio presentano le caratteristiche dell'entrata in estro, preludio del ciclo riproduttivo, è un'altra «spiritosa invenzione» priva di documentazione scientifica.
Sfortunatamente per noi, oltre a questi personaggi legati ad ambienti ostili alla caccia, dobbiamo fare i conti con un'altra specie di pomposi eruditi che allignano tra le nostre fila e che danneggiano i nostri sforzi di salvare le cacce tradizionali alla migratoria con motivazioni basate sulla scienza e non su sentimentalismi,
che non legioni di sfegatati «anti tutto». Disgraziatamente essi hanno un'innata capacità di «rubare la scena» a quanti svolgono il proprio lavoro con serietà, competenza, passione e dedizione e che rifuggono da plateali comparsate.
È un problema di enorme gravità al quale è sempre più difficile far fronte in quanto generato da individui affetti da un'insaziabile fame di «gloria». Ogni giorno spuntano qua e là cercando di far ombra a coloro che un domani possano dare impiccio. Oggi molti di coloro che abbiano dato una scorsa a un paio di testi che trattano di uccelli si autopromuovono «ornitologi» e,
tanto maggiore è la loro ignoranza in materia, tanto maggiore sarà il sussiego con il quale sbandiereranno la loro incompetenza ammantandola di un'improbabile aura «scientifica». Ci troviamo nella medesima situazione di chi, dopo aver leggiucchiato un po' di Dante e Manzoni ne estrapola alcune frasi a casaccio, le mischia in maniera casuale, le riversa in un libro e pretende di essere un nuovo «genio letterario». Ma il campo della letteratura è aperto a tutte le fantasie. Se di questi elementi possiamo ridere,
degli altri dobbiamo preoccuparci e agire di conseguenza prima che i danni prodotti raggiungano la soglia dell'irreversibilità.
*Coordinatore nazionaleSky-Way Project


psitta
00martedì 22 agosto 2006 08:14
News 2 di Agosto 06
Tre pappagalli sequestrati in pieno centro storico

Un mendicante si serviva degli animali, appositamente ammaestrati, per avere qualche offerta dai passanti. La Lav denuncia: "Non è un episodio isolato"

Roma, 21 agosto 2006 - Pescavano da un'urna bigliettini di carta, in cambio di qualche soldo. Questa era la condizione di tre pappagalli ammaestrati, sfruttati da un mendicante che li utilizzava come strumento per l'accattonaggio.

Dopo la segnalazione di una responsabile della Lav di Roma, gli agenti del Primo Gruppo della polizia municipale hanno provveduto alla confisca degli animali e alla sanzione per l'uomo che li deteneva, già con diversi precedenti penali a carico.

L'intervento delle forze dell'ordine è avvenuto venerdì 18 agosto in pieno centro storico, in applicazione dell'articolo 14 del nuovo Regolamento Comunale sulla tutela degli animali che pone il divieto su loro utilizzo per l'accattonaggio.

Ed è l'ennesimo episodio di una serie. Situazioni simili infatti si verificano sempre più spesso e riguardano in special modo cuccioli di cane di pochi giorni di vita. Come denuncia la Lav, "Un vero e proprio fenomeno organizzato di sfruttamento di animali per motivi di lucro".



psitta
00venerdì 25 agosto 2006 08:06
Deforestazione e schiabitù in Amazzonia
SCHIAVITU' E DEFORESTAZIONE IN AMAZZONIA
Postato il Mercoledì, 23 agosto @ 19:00:00 EDT di davide

DI HUGH O'SHAUGHNESSY
Bastille Day Weekend Edition

Santarém, Brasile -- Per decenni il movimento verde si è legato a doppio filo a questa parte di mondo. La foresta che copre l’Amazzonia, il 60 per cento della superficie di uno dei paesi più grandi del mondo è, ci hanno detto, una risorsa per l’umanità. In effetti lo stesso grande Rio delle Amazzoni è una risorsa per l’umanità. Non contiene forse un quinto di tutta l’acqua dolce del pianeta?

Dopo tutto è il fiume più grande del mondo, dodici volte più grande del Mississippi che scorre davanti a ciò che resta di New Orleans e sedici volte più voluminoso del Nilo che scorre davanti alle più durature Piramidi. Trovandovi alla foce del Rio delle Amazzoni, giù a Belém o sulla grande isola di Marajó, potrete vedere così tanta acqua scorrere davanti a voi in un giorno quanta se ne potrebbe vedere stando per un anno sul Ponte Westminster di Londra vicino al Big Ben. Iniziando la discesa in aereo su Belém si può vedere una minuscola città di un milione di persone appollaiata sulle sponde fangose del Rio delle Amazzoni, resa insignificante dalla massa d’acqua che le scorre intorno e oltre fino all’orizzonte.

L’altro giorno ero qui a Santarém presso il fiume Tapajós, uno dei più grandi tra i mille affluenti del Rio delle Amazzoni, mentre correva verso la sua confluenza con il Rio delle Amazzoni. Il Tapajós misura 16 chilometri di larghezza e scorre attraverso uno degli stati dell’Amazzonia, il Parà, più grande di Irlanda, Francia, Italia, Belgio, Olanda e Lussemburgo messi insieme.

L’Amazzonia contiene circa un quinto di tutte le specie di piante, animali e insetti presenti sul pianeta, metà delle specie di uccelli, la maggior parte dei pappagalli, dei roditori e delle formiche, per non parlare dei serpenti più lunghi. E, sostengono i Verdi di tutto il mondo che i Brasiliani ignoranti permettono che la foresta Amazzonica sia abbattuta senza pietà mentre il grande Tapajós viene inquinato dagli scarichi di mercurio provenienti dalle miniere d’oro a monte. Tutto questo deve essere salvato dai suoi irresponsabili abitanti. Preso in cura. Internazionalizzato. Riscattato. Preservato per le future generazioni. Ora. Subito. Non c’ è tempo da perdere.

Ora questo argomento, così spesso ripetuto dai media e dai gruppi di pressione occidentali, è bizzarro. Nessun coinvolgimento internazionale di tale entità, per il paese di qualcun altro, si rispecchia in una richiesta di supervisori stranieri per prevenire un disastroso inquinamento da petrolio come quello causato all’Alaska dalla petroliera Exxon Valdez. O per un controllo straniero delle scarse ma politicamente significative acque del fiume Giordano controllate da Israele, centro di una disperata lotta per l’acqua tra i ricchi Israeliani che fanno crescere piante ben irrigate per i supermercati europei e i maltrattati Palestinesi che hanno solo bisogno di qualcosa da dare a bere ai loro figli.

Una delle ragioni per cui è bizzarro risiede nel fatto che le argomentazioni Verdi sull’Amazzonia raramente dedicano tanto tempo agli abitanti umani della regione quanto ne dedicano alla flora e alla fauna. Un rapporto appena pubblicato da Venessa Fleischfresser, accademica di primo piano alla Federal University di Paranà, mostra che una maggiore attenzione ai problemi umani della regione che sono così spesso ignorati nel discorso ambientalista può far regredire il danno ecologico che si sta causando.

Ha scoperto che quelle aree dell’Amazzonia in cui la deforestazione avviene nel più grande abbandono sono quelle in cui la schiavitù è più comunemente praticata. Ora la regione ha una lunga e vergognosa storia di schiavitù. I primi missionari gesuiti, che cercavano di evangelizzare gli Indiani, lottavano contro i conquistadores portoghesi e i proprietari terrieri che li volevano ridurre in schiavitù. La pressione politica su questi missionari era così grande nel XVII secolo che decisero di togliere la loro opposizione all’introduzione di schiavi stranieri dall’Africa se agli indigeni fosse stato risparmiato il lavoro forzato. Poi alla metà del secolo XVIII gli stessi gesuiti vennero espulsi dalle terre controllate dai Portoghesi e l’Ordine stesso fu soppresso. L’educazione in Brasile, che a quel tempo era principalmente nelle loro mani, ebbe una flessione da cui sta iniziando a riprendersi solo adesso. Ci fu quindi una rivolta di massa di Indiani, neri e bianchi poveri in Amazzonia nel 1835 che alla fine fu repressa con la più incredibile crudeltà nel 1840. Allora il boom della gomma condusse a una maggiore schiavitù per i seringueiros, coloro che erano reclutati per incidere gli alberi della gomma. I baroni della gomma Sud Americana che facevano lavorare i seringueiros fino alla morte vennero fermati solo dopo la pubblicazione di un rapporto incriminante scritto da Roger Casement quando era diplomatico britannico e prima di giocare il suo destino con i rivoluzionari irlandesi e di essere condannato all’impiccagione nella prigione di Pentonville nell’agosto 1916.

Oggi c’è una nuova forma di schiavitù, legata al fatto che i proprietari terrieri in Amazzonia si concentrano sul disboscamento per piantare fagioli di soia. A causa di una forte domanda in tutto il mondo, particolarmente di quella dovuta alla veloce crescita dell’economia cinese, la soia è il raccolto del momento in Brasile.

La dottoressa Fleischfresser mostra che la schiavitù è ampiamente diffusa in Amazzonia con le persone povere e disoccupate della campagna trasportate qui dal Nord Est e messe a lavorare al disboscamento della foresta. Il costo del trasporto con l’autobus è addebitato a loro. Devono acquistare ciò di cui hanno bisogno nei negozi dei proprietari terrieri e i loro magri guadagni non sono mai sufficienti per permettere di saldare un debito che gradualmente aumenta. Il defraudamento dei lavoratori è lo stesso che fu messo in atto nei confronti dei serigueiros presi in simili legacci dai baroni della gomma ai tempi di Casement.

Anche se molti casi di schiavitù non vengono scoperti, tra il 1999 e il 2001, 2.600 persone vennero trovate e liberate dalla schiavitù mentre nel 2002 altre 1.149 persone furono emancipate. Questo aveva richiesto l’approvazione di una legge che rendeva tali abusi un crimine federale e li sottraeva allo spesso traballante sistema giudiziario dei singoli stati. C’è un’azione in corso per mettere in piedi un programma molto richiesto di protezione dei testimoni, per salvaguardare coloro che forniscono prove dalla casuale e spesso letale violenza dei proprietari. Otto lavoratori, per esempio, furono assassinati in un ranch in un villaggio chiamato São Félix do Xingu nel febbraio 2003 e meno di un anno dopo tre ispettori del Ministero del Lavoro vennero uccisi a Unaí, la sede di molti proprietari terrieri nello stato del Pará.

Il modello di schiavitù e violenza si trova principalmente nelle aree in cui si sta verificando il disboscamento illegale. La corruzione connessa al disboscamento illegale è rilevante. Nel dicembre 2004, per esempio, la Polizia Federale arrestò 18 dipendenti statali nello Stato del Parà e li accusò di trasferire - dietro corruzione – alle proprietà dei grandi proprietari terrieri enormi distese di terreno pubblico i cui alberi sarebbero poi stati abbattuti.

L’attenzione internazionale venne dirottata verso i problemi della zona solo quando la missionaria americana Dorothy Stang fu uccisa da killer pagati dai proprietari terrieri il 12 febbraio dell’anno scorso. Nata in Ohio, la suora settantatreenne risiedeva in Brasile dal 1966 e aveva preso la nazionalità brasiliana. Dal 1982 faceva parte della Commissione Pastorale della Terra dei vescovi brasiliani. Sorella Dorothy si era appassionata nell’insegnare a leggere ai contadini: nove schiavi su dieci sono analfabeti. Ha fornito diverse prove a una commissione parlamentare d’inchiesta sul disboscamento illegale, facendo i nomi di persone e di imprese.

Ha vissuto nonostante la maggior parte delle dittature militari appoggiate dai governi occidentali che rovinavano il Brasile e le sue foreste. Nel suo meraviglioso libro, “La grande bocca: il Rio delle Amazzoni parla”, Stephen Nugent, lui stesso cittadino americano, spiega, "La struttura dell’economia nazionale è inseparabile dalle politiche statunitensi in questo emisfero in cui il Brasile ha... funzionato come uno dei maggiori mercati – controllato tra il 1964 (quando un colpo di stato supportato dagli USA consegnò il Brasile nelle mani di una cricca di generali) e il 1985 (quando i generali se la svignarono) da una classe che fece un lavoro meraviglioso nel riempire le proprie tasche."

Sulla morte di Sorella Dorothy il governo del Presidente Lula si è lanciato in azione, ha creato una task force ministeriale e trasportato in elicottero 2.000 soldati sulla scena del crimine. Violenza e schiavitù non sono state ancora estinte qui.

Ma il Presidente Lula ha rafforzato il suo primato nel contrastare i problemi amazzonici. Dal momento in cui è entrato in carica nel gennaio 2003 ha posto ordinanze di protezione su più di 240.000 chilometri quadrati di terra, più di tre volte l’area delle 26 contee e due volte quanto il suo predecessore decretò nei suoi quattro anni di mandato.

Ha introdotto un sistema di sostegno familiare che aiuta le famiglie non abbienti a mandare i bambini a scuola e in questo modo fornisce loro gli strumenti per ottenere una vita migliore per se stessi. Lula, che è largamente in testa nei sondaggi e può vincere un secondo mandato presidenziale di quattro anni nelle elezioni che si terranno il primo ottobre, sa che i problemi dell’Amazzonia risiedono più nelle persone che non nelle piante o negli animali.

E’ qualcosa che gli ecologisti stranieri che si agitano sul Brasile dovrebbero iniziare ad imparare.

Hugh O'Shaughnessy scrive, tra le altre cose, per la rivista dublinese Village.

Hugh O'Shaughnessy
Fonte: www.counterpunch.org
Link: www.counterpunch.org/oshaughnessy07142006.html
14/17 luglio 2005

Traduzione per www.comedonchisciotte.org di CAMPALLA
psitta
00mercoledì 6 settembre 2006 14:03
STAR DELLA TV: È DIVENTATO FAMOSO CON I SUOI DOCUMENTARI ESTREMI IN MEZZO ALLE SPECI PIÙ PERICOLOSE DEL MONDO. ESCLAMAVA «CRIKEY!» E SFUGGIVA ALLE LORO FAUCI
Ucciso da un pesce
La morte-beffa di Crocodile Hunter
Colpito al petto da una razza velenosa
dopo aver sfidato alligatori e serpenti
5/9/2006
di Bruno Ventavoli




Una famiglia australiana porta fiori
in memoria di Irwin
Le immagini
E’ stata una beffa la morte di Steve Irwin, meglio noto al pubblico televisivo di mezzo mondo come «Crocodile Hunter». Dopo aver stuzzicato gli animali più feroci, dagli squali ai serpenti ai coccodrilli è stato ucciso da un pesce. Una banale pastinaca, che lo ha colpito in pieno petto con l’aculeo della coda.

Steve Irwin si era immerso nella Grande Barriera corallina davanti al Queenland, girava materiale per il suo prossimo documentario, «Le creature più letali dell’Oceano» (titolo drammaticamente azzeccato), e per il futuro programma tv di sua figlia Bindi (nessun omaggio alla ministra italiana: l’omonimia è casuale), di 8 anni. E’ deceduto sul colpo. «Credo non abbia avuto neanche il tempo di accorgersene» ha detto John Stainton, da 15 anni socio e amico. Se se ne fosse accorto, probabilmente, avrebbe gridato ancora una volta il suo inconfondibile urlo mediatico «Crikey!». Perché lui se ne infischiava del pericolo. «Non ho paura di lasciarci le penne», diceva. E per completare la sua weltanschauung aggiungeva: «E se c’è da salvare un koala, un coccodrillo, o un serpente, ragazzi miei, io lo faccio senza pensarci due volte».

Australiano doc
Steve Irwin non amava filosofare. Si divertiva ad agire, a sfidare la natura e a raccontarla al pubblico televisivo affondato in poltrona. Australiano doc, biondo, fisico massiccio, sempre vestito con sahariane kaki, aveva inventato uno stile originalissimo. Prima di lui, i documentari erano immagini patinate con voci impostate di attori in sottofondo (ottime per addormentare i bambinetti molesti).

Oppure serie cronache di avventure rischiose che mettevano meno brividi di uno spot sui dentifrici. Lui irruppe spavaldo e fracassone nel regno degli animali, trasformandolo in una specie di happening. Lo trovavi immerso nella natura selvaggia, sorridente come fosse uscito da un trattato di Rousseau. Andava a disturbare le belve feroci, poi schizzava indietro all’ultimo momento prima di finire nelle loro fauci. Si comportava insomma come se fosse in un reality estremo ma sorrideva beffardo. E poi spiegava usi e costumi degli animali competente come Darwin.

Somigliava a Paul Hogan, l’attore australiano che aveva interpretato «Mr. Crocodile Dundee». E aveva gli stessi modi rudi del film. Era diventato ricco e famoso. E naturalmente bersaglio di polemiche. Molti lo accusavano di trattare gli animali selvatici come creature da circo. Ma alla fine nessun critico riusciva a offuscare la sua professionalità di naturalista e di documentarista. Nel 2004, durante riprese in Antartide, fu accusato di molestare foche, pinguini, balene. Ma dimostrò di non aver fatto nulla di male. E girò «Crocodiles & Controversy» per spiegare che le controversie erano fuori luogo.

Esagerò anche un’altra volta. Si fece riprendere mentre cibava un coccodrillo immane con in braccio il figlioletto Bob di un mese. Sprezzante del rischio e del complesso d’Edipo. Protestarono le associazioni di tutela dei minori. Protestarono gli animalisti. Protestarono tutti. Irwin disse serafico che né la pargoletta né il bestione erano mai stati in pericolo. Spiegò che gli australiani sono tipi duri. Lui stesso, da bambino, era cresciuto in mezzo alle belve feroci. Aveva incominciato ad amarli e apprezzarli.

A sei anni un pitone
Steve Irwin aveva 44 anni. Quando era bambino, i genitori gestivano il Queensland Reptile and Fauna Park, e lui giocava con i rettili del parco. Per il sesto compleanno il paparino gli regalò un pitone. A nove anni sapeva trattare i coccodrilli meglio di Tarzan. Quando i suoi coetanei mandavano bigliettini d’amore alla compagna di banco lui andava a catturare i rettili con trappole di sua invenzione nelle periferie dei centri abitati. Come unico compenso chiedeva di poter tenere i bestioni vivi e portarli nel parco di famiglia. Irwin rilevò il parco dai genitori.

E nel ‘92 vide tra i visitatori una bella turista americana. Terri. Capì che amava la natura ed era matta come lui e la sposò. In luna di miele andarono a catturare coccodrilli. E con l’aiuto dell’amico John Stainton si filmarono. Venne fuori il primo episodio della serie «Crocodile Hunter» che poi spopolò nel mondo. Settanta puntate, viste da 200 milioni di spettatori. Il pubblico globale si divertiva un sacco a guardarlo mentre faceva scherzetti alle belve feroci e urlava sul grugno il solito «Crikey!». Le bestiacce cercavano di azzannarlo. Poi si rimettevano a cuccia, stupite e deluse. Roba pericolosa? «Non credo - diceva -. E comunque non riuscirei mai a maltrattare un animale che mi ha morsicato, perché se l’ha fatto è colpa mia, non loro. Io guarisco in fretta, se mi staccano un braccio, me ne faccio ricrescere subito uno nuovo». Paura di qualcosa? Migliaia di volte gli avevano posto questa domanda. Finalmente ammise: sì, dei pappagalli.

Un barbecue per Bush
Numerosi i messaggi di sincero cordoglio. «Era un Noè dei nostri tempi» ha detto Mark Townend, presidente della Real società del Queensland per la prevenzione della crudeltà sugli animali, «e dovrebbe essere riconosciuto come tale». David Suzuki, documentarista di fama internazionale, ha ricordato che Irwin «è riuscito a ottenere rispetto per animali spesso demonizzati». Persino il premier australiano, John Howard, si è espresso per piangere la morte dell’australianissimo documentarista: «Abbiamo perso un figlio meraviglioso e pieno di vita. Amava il rischio e ha dato gioia a milioni di persone».

Gli esperti dicono che le razze sono animali pacifici che non attaccano mai l'uomo. E dicono anche che il veleno della razza non è mortale, a meno che non venga colpita una parte vitale. Insomma, pare che sia stato un misto di fatalità e di sfida eccessiva. Ma Irwin non si tirava mai indietro. Non sapeva resistere al richiamo della natura selvaggia. Aveva persino partecipato a un barbecue per sostenere George W. Bush.

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