Non so se questo argomento è stato già postato da qualcuno, casomai trascinatemici.
Oggi pomeriggio sono andato a vedere “Io non sono qui”.
In sala eravamo in tre: il sottoscritto, un signore di sessant’anni e una signorina. Pazzesco! Spero di sbagliarmi, sarà stato l’orario… ma che tristezza sapere che se avessero proiettato Boldi e De Sica il cinema sarebbe stato strapieno!
Però in tre si sta bene, se avessi avuto con me l’armonica mi sarei messo anche a suonare.
Gran bel film. Che dovrebbe vedere chiunque sia cresciuto a pane e De Gregori, chiunque sia stato stregato dal pizzico delle corde su una chitarra, chiunque pensi che una canzone non debba partecipare a una gara ma che debba trasmettere, invece, altre emozioni.
Il regista, Haynes, ha saputo inscatolare svariate fasi della vita di Dylan in quella di un uomo che fugge su treni merci puzzolenti con la chitarra al collo, all’inizio interpretato da un bambino di colore di nome Woody Guthrie (omonimo) e nella maturità da un cowboy (Richard Ghere) quasi uscito fuori dal film Pat Garrett & Billy the Kid.
Ma quell’uomo che scappa sui treni e che suona lo strumento ammazzafascisti di Guthrie fin da bambino, in realtà non era un uomo in carne ed ossa. Era lo spirito di Woody Guthrie , era il soffio vitale del cambiamento che animava tutto ciò che stava accadendo allora, era la consapevolezza di protestare, finalmente, anche con una chitarra o con la penna, era l’America che diceva basta al Vietnam. Ma anche le prime avvisaglie della Beat generation di Jack Kerouac e di Allen Ginsberg.
A rappresentare tutto questo fermento, contemporaneo all’esistenza di Robert Zimmerman, era la vita di quel bambino sul treno, cresciuto attraverso la vita di Robert Zimmerman. Geniale!
Haynes, con grande originalità, ha infilato la biografia di Dylan (quasi usandola) come la lama della katana di un Samurai, entrando ed uscendo dal corpo del piccolo Woody ad una velocità impressionante. Lama che entra in quarant’anni di storia americana; lama che esce, subito dopo, dai muscoli di quell’inquietudine generazionale; lama che entra nelle membra della protesta dei primi anni Settanta e che esce, grondante di sangue, dalla carne di una gioventù che trovò il coraggio di gridare, suonare, cantare. Una spada che ha accompagnato la vita di Bob. O, per come si vuol leggerla, viceversa.
Straordinaria Cate Blanchett per la somiglianza a Dylan, anche se avrei preferito un doppiaggio con voce maschile e delle unghie un po’ più corte (troppo lunghe!).
La colonna sonora è da brividi, le Gibson e le Fender da sballo!
Pur di non perdermi la sigla finale, Like a Rolling Stone, sono rimasto seduto in sala fino alle indicazioni tecniche della casa cinematografica.
Non mi accadeva dai tempi dei film di Paperino!
Insomma, un film da non perdere!
link ufficiale:
www.bimfilm.com/iononsonoqui/