Erri De Luca - l'ospite incallito

lemieparole
00giovedì 3 luglio 2008 20:24
giulio einaudi editore
Ecco uno dei motivi per cui vale la pena entrare in libreria e una persona che vorrei senz'altro conoscere. E' il suo nuovo libro di poesie (che mio padre ha avuto l'arguzia di regalarmi).........


"Maniera"

Accosto la fronte alla tua, si toccano,
dico: "E' una frontiera".
Fronte a fronte: frontiera,
mio scherzo desolato, ci sorridi.
Col naso ci riprovo, tocco il naso,
per una tenerezza da canile:
"E questa è una nasiera", dico
per risentire casomai
un secondo sorriso, che non c'è.
Poi tu metti la mano sulla mia
e io resto indietro di un respiro.
"E questa è una maniera", mi dici.
"Di lasciarsi?", ti chiedo. "Si, così".


"Consiglio"

Fai come il lanciatore di coltelli, che tira intorno al corpo.
Scrivi di amore senza nominarlo, la precisione sta
nell'evitare.
Distràiti dal vocabolo solenne, già abbuffato,
punta al bordo, costeggia,
il lanciatore di coltelli tocca da lontano,
l'errore è di raggiungere il bersaglio, la grazia è di
mancarlo.



"legno"

Una barca da pesca, le traversine in rovere della
ferrovia
le botti sfruttate dal vino, i manici di arnesi,
l'aratro, la chitarra, il legno tenuto per il pugno
dissanguato di resina e unto dal maneggio:
di questa materia seconda va fatto l'altare.



"Da noi"

Da noi non si pronuncia l'ultima vocale,
le parole restano sospese.
L'inverno è viern', il resto è la stagione.
Prima e dopo sono primm' e dopp',
hanno più carne e ossa del presente, che è solamente:
mo'.
L'ammor' nuosto è più tosto di amore,
più svergognata 'a famm' della fame,
i soldi sono 'e sord, il soldato 'o surdat',
più sordo che assoldato.
Da noi il "c'è" non c'è, pero ci sta.
Nessuno ha, però ci sta chi tiene.
Da noi non piove: chiove. La pioggia non infradicia
ma 'nfraceta, marcisce.
Il sangue è 'o sang' e vale meno di un bicchiere
d'acqua.
Da noi se ne devi andartene, fai che sei già partito,
pure prima di adesso, primm' 'e mo'.
Teniamo il verbo più veloce del mondo, andare: i'.
Se te ne devi andare, t' n' ia i'.












lemieparole
00lunedì 7 luglio 2008 16:13
"il padrone di casa"

Al pianosesto insieme agli sdraiati appesi ai tubicini
delle gocce.
rivado all'altroieri, che è tutto il passato rimasto.
Prima era vita scorsa, svergognata, uscita illesa
dalle imboscate, poi d'improvviso sgambettata
dentro,
riacciuffata sotto i colpi di grazia del defibrillatore.

Al pianosesto in vena i litri dell'anticoagulante,
in faccia a una finestra sulle cime dei pini
che infilano aghi nel vento,
so di aver detto a uno che spingeva la barella:
dica a mia madre che non mi fa male.
E di avere ascoltato di risposta: glielo dirai tu.

Era sabato, un sasso premeva sul petto.
Con tutte le trazioni che so fare sugli appigli
non riuscivo a toglierlo da lì.
Così vado a scalare nelle gole del Nera:
a braccia aperte, all'aria della roccia passerà.
Era anche lì, e più pesante, il sasso sopra il cuore.
Al pianosesto, terapia intensiva, lo chiamano il padrone di casa.
Perché sfratta in giornata la vita recidiva.

Due amici, Silvia e Carlos, mi accompagnano a Terni, all'ospedale
e sopra la barella scoppia e smette il cuore per tre volte,
tre volte lo ripigliano, a calci con le scosse.
Lo racconto perché devo fortuna a chi la mancherà,
si massaggerà il petto com facevo io
credendo che passava, invece niente.
E niente è lì dove si va, destinazione.






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