Bobby Charlton: il gentleman del calcio

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Nick the Toll
00domenica 19 settembre 2004 20:34
Sulle mura dell'Old Trafford, il glorioso stadio di Manchester, c'è un orologio che i tifosi chiamano "Munich Clock". Non segna il tempo, ma è fermo sulle 3.04, in ricordo di uno dei momenti più tragici dello sport inglese: l'incidente aereo del 6 febbraio 1958, nel quale persero la vita otto giocatori e tre dirigenti del Manchester United, insieme ad otto giornalisti e tre membri dell'equipaggio. Lo United tornava da Belgrado, dove aveva pareggiato 3-3 contro la Stella Rossa guadagnando la semifinale di Coppa dei Campioni. L'aereo che trasportava la squadra si fermò a Monaco per un rifornimento, ma al momento di ripartire non riuscì ad alzarsi in volo per colpa della neve sulla pista, e si schiantò sul recinto dell'aeroporto prendendo fuoco. Riuscirono a salvarsi solo il manager Matt Bunsby, il difensore Bill Foulkes e uno dei giovani talenti della squadra, allora ventunenne: Bobby Charlton.

Un'avventura del genere distrugge chi l'ha vissuta, o lo rende molto migliore. Bobby Charlton ne uscì rafforzato, nel carattere e nella personalità. Giocava già da due anni in prima squadra, e si era guadagnato la stima dei tifosi e dei compagni con la sua bravura e i suoi gol. Divenne l'uomo-chiave della rinascita. Piano piano, il Manchester risalì la corrente e costruì intorno a Charlton una squadra forte e competitiva, vincendo dapprima la Coppa d'Inghilterra nel 1963, poi il campionato nel 1964 e nel 1967.

Chi ha visto giocare Bobby Charlton lo ricorda come un vero uomo-squadra. Aveva iniziato la sua carriera come ala sinistra, ma col tempo aveva accentrato il suo raggio d'azione per sfruttare le sua tecnica e la sua visione di gioco. Pur indossando la maglia numero 9, giocava da regista, alla maniera dell'ungherese Hidegkuti e dell'argentino Di Stefano. Al tempo stesso, non perse mai la confidenza con il gol: nella sua carriera andò a segno 245 volte con il Manchester e 49 in Nazionale. Soprattutto, Bobby era un vero gentleman, in campo e fuori. Non discuteva mai con gli arbitri, e in tutta la sua carriera non subì mai un'espulsione. Tutti ricordano la sua correttezza e il suo rispetto per gli avversari: era un rappresentante ineguagliabile di quello che in tutto il mondo viene chiamato "fair play".

Bobby Charlton fu fra gli artefici della vittoria della nazionale inglese nei mondiali del 1966, giocati davanti al pubblico di casa. Gli inglesi avevano iniziato in sordina, pareggiando 0-0 con l'Uruguay, ma già dal secondo incontro con il Messico Charlton diede la sveglia alla squadra, segnando un gol-capolavoro dopo una rapida discesa di trenta metri. L'Inghilterra vinse 2-0, e altrettanto fece nella partita successiva con la Francia. Dopo il controverso quarto di finale con l'Argentina, deciso da un gol di Hurst e dalla discutibile espulsione del capitano argentino Rattin, la miglior partita di Bobby Charlton fu la semifinale contro il Portogallo, nella quale segnò due gol dopo altrettante improvvise accelerazioni a rete, alle quali non riuscì ad opporsi la difesa portoghese. Nella finale contro la Germania, il suo duello con Beckenbauer fu una delle chiavi della partita. Dopo la gara, Beckenbauer ebbe a dire: "L'Inghilterra ha vinto perché Bobby ha giocato un po' meglio di me". Non stupì nessuno il titolo di Calciatore dell'Anno assegnato al campione inglese di lì a poco.

Un'altra competizione che vide protagonista Bobby Charlton fu la Coppa dei Campioni del 1968, conquistata dal Manchester nella finale di Wembley contro il grande Benfica di Eusebio e Coluña: ancora una volta i portoghesi. Bobby segnò il primo gol per i Red Devils, con un colpo di testa all'inizio del secondo tempo, ma Jaime Graça riportò l'incontro in parità a nove minuti dalla fine, sfruttando un'indecisione della difesa inglese. Eusebio mancò un paio di occasioni nel finale, e fu necessario andare ai supplementari. Lì gli inglesi si scatenarono, vincendo il match per 4-1: l'ultimo gol dello United, quasi un sigillo, fu ancora di Charlton.

E' giusto ricordare anche il quarto di finale Inghilterra-Germania ai mondiali del 1970, nel quale l'allenatore inglese Alf Ramsey sostituì Bobby a metà del secondo tempo, con l'Inghilterra in vantaggio per 2-0, per fargli risparmiare energie in vista della semifinale. Forse fu un caso, ma i tedeschi riuscirono a pareggiare e poi a vincere per 3-2 nei supplementari. E così fu la Germania a giocare quella storica semifinale contro l'Italia...

Tre anni dopo Bobby Charlton appese le scarpette al chiodo, ma è rimasto sempre un ambasciatore del calcio inglese nel mondo, e per questo è stato nominato baronetto nel 1994. Ancora oggi è uno dei nomi più celebri del football mondiale.
ugo.p
00lunedì 20 settembre 2004 06:24
Nick complimenti per l'ottimo pezzo su Charlton,[SM=g27811] sia per come e' scritto sia per i sentimenti che sei riuscito a farmi rivivere. Leggendo mi e' ritornata alla mente la sua figura, la sua classe e soprattutto la sua era. Un'era in cui il calcio era uno sport di uomini, uomini che si affrontavano anche duramente ma sportivamente. Un'epoca nella quale le parole "attaccamento alla squadra" avevano un significato.
Charlton, ma anche Eusebio, Beckenbauer,Riva ecc non sono stati soltanto dei campioni, sono stati delle autentiche bandiere, degli esempi di sportivita' da poter additare ai propri figli. Confrontando Charlton e gli altri alle figure meschine che popolano il calcio odierno, viene da pensare che ormai questo sport andrebbe vietato ai minori.[SM=g27812]
Tidus forever
00lunedì 20 settembre 2004 12:43


Non a caso Bobby Charlton è considerato uno dei più grandi calciatori di ogni tempo: non c'è classifica di merito in cui l'inglese non rientri nei primi 10 di sempre, alle spalle di giocatori come Pelè, Maradona, Crujiff, Di stefano ed Eusebio. Uomo squadra e trascinatore come pochi, non ho avuto la fortuna di vederlo giocare, se non in vecchi filmati. Appartiene al calcio romantico di un tempo, fatto di sudore, sacrifici e passione, e quindi non posso non ricordarlo con grande piacere ed un pizzico di malinconia.

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