§Capitolo Undicesimo§
§CAPITOLO UNDICESIMO§
I’m ‘round the corner from anything that’s real
I’m across the road from hope
I’m under a bridge in a rip tide
That’s taken everything I call my own
One step closer to knowing
One step closer to knowing
I’m on an island at a busy intersection
I can’t go forward, I can’t turn back
Can’t see the future
It’s getting away from me
I just watch the tail lights glowing
One step closer to knowing
One step closer to knowing
One step closer to knowing
Knowing, knowing
I’m hanging out to dry
With my old clothes
Finger still rd with the prick of an old rose
Well the heart that hurts
Is a heart that beats
Can you hear the drummer slowing?
One step closer to knowing
One step closer to knowing
One step closer to knowing
To knowing, to knowing, to knowing
(U2,One step closer, How to dismantle an atomic bomb)
A volte ci sono cose di cui tu non ti accorgi.
Strisciano sotto la superficie,si nascondono,emergono a tratti,per dileguarsi di nuovo negli abissi della mente.
Anni fa non si sarebbe neanche lontanamente immaginata un Percy lì,nella sala dei ricevimenti, che tracannava del Martini e conversava piacevolmente con il padre,come un vecchio amico di famiglia.
Era ai limiti del paranormale.
Le situazioni cambiavano molto più velocemente di quanto ci si aspettasse.
La gente era costantemente attratta dal potere,lo cercava,incespicando,come un dio a cui avvicinarsi e adorare sino allo sfinimento. Percy rientrava in modo splendido nella categoria.
Lei si aggirava tra i gruppetti di invitati simile a un fantasma indesiderato,lui si integrava impeccabilmente,distribuendo sorrisi a destra e a manca.
Ah,questa smania di farsi un nome,di diventare qualcuno!
Staccarsi dalla famiglia Weasley era stato una “fesseria” all’atto pratico, ma non alla stessa stregua sul piano teorico.
Lucius aveva constato che non era dotato di eccessivo coraggio,però era un cancelliere efficiente e ciò sarebbe bastato. Avevano fin troppi giovani pronti a morire per loro e altrettanti bloccati ad Azkaban.
Fra poco ne avrebbero avuti anche sottoterra.
Percy le accennò un saluto.
Vivian rispose di rimando. Un gesto vago.
Non era altro che uno spregevole galoppino.
Posò su un tavolo il suo aperitivo rosso fragola appena iniziato.
Meglio allontanarsi per un’oretta e ricomparire più tardi.
Notò d’improvviso una testa bionda che lasciava il party; decise di seguirla.
Draco aveva un passo incredibilmente spedito e in un batter d’occhio si ritrovò in un’ala del maniero che non esplorava da quando era bambina.
Il fratello,nel frattempo,non rilevando la sua presenza era scomparso dietro il vano di un passaggio segreto costituito da un vecchio scaffale di libri impolverati. Un classico,pensò,storcendo la bocca.
La stanza era in penombra,ingombra di mobili coperti da inquietanti teli bianchi,un pianoforte semiscoperto e privo di qualche tasto.
Tuttavia a calamitare il suo interesse fu un qualcosa di diverso.
Due vividi occhi verdi la fissavano dal capo opposto della parete. Si fece strada tra il mobilio per osservarli con acuta attenzione.
Erano uguali ai suoi.
Il proprietario era un giovane dipinto su un quadro,l’espressione severa e colma di passione,il portamento eretto,un’eleganza signorile.
Lo ammirava affascinata.
Percorse con lo sguardo i suoi lineamenti,aggrottando la fronte,dove…?
Lentamente,come in un sogno,si concentrò sulla sua figura riflessa nello specchio tra le vetrate.
Si toccò delicatamente con le dita.
Il contorno degli occhi.
Il naso.
Le labbra.
Il mento,come se li vedesse per la prima volta.
Il cuore perse un battito.
Era reale?Perchè le sembrava che l’insieme assumesse le linee sfumate dell’irreale.
Si sentiva vicina ad Alice nel Paese delle Meraviglie che scopriva un impronunciabile segreto.
L’uomo,l’uomo che le era di fronte,ci mise tanto a formulare coscientemente questo pensiero,era simile a lei. Erano delle gocce d’acqua.
Incredibile?
Da piccola aveva desiderato nelle sue fervide fantasie di non essere figlia dei suoi genitori,ma di un qualche eroe della sua fantasia o un personaggio famoso…Non si sarebbe figurata che…Era per gioco…era evidente,no?
Indietreggiò.
Come era stato possibile?
Quando aveva stabilito di essere cieca?
Era penetrata in differenti occasioni in quel luogo e non aveva…
Dedicò di striscio un’occhiata alla persona ritratta,come se temesse si animasse. Il ragazzo doveva aver avuto la sua medesima età all’epoca della sua realizzazione.
Non aveva ravvisato la somiglianza per quello,può darsi.
E-era…era ridicolo.
Udì un rumore.
Si nascose nell’ombra.
Nove sagome dai mantelli inchiostro sgusciarono dallo scaffale della biblioteca.
Mangiamorte.
-Vuoi unirti a noi,sorella?- chiese baldanzoso Draco dalla maschera.
Lei affacciò il viso alla tenue luce lunare.
- Mi piacerebbe,fratello,solo che qualcuno deve pur intrattenere gli ospiti…-sorrise,strategica.
I compagni di Draco sogghignarono sommessamente sotto le maschere.
Il biondo non diede segno di essere stato soddisfatto dalla reazione di Vivian. Si coprì il capo col cappuccio e disparve con quelli.
Lei abbandonò in fretta quel posto,scottata da brucianti considerazioni.
Narcissa le avrebbe dovuto spiegare.
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- Harry,tesoro,vuoi un’aspirina?- Molly lo squadrava,la fronte corrugata,il mestolo gocciolante di minestra.
Il ragazzo moro si tolse gli occhiali,esausto. In teoria doveva essere abituato a convivere con quel dolore lancinante,però la verità era che non ci si faceva comunque l’abitudine. Era come se la sua testa si spaccasse in due e si dividesse in una miriade di pezzetti indefiniti.
Era stanco. Dormiva poco e male da giorni. Si sentiva vittima di un invecchiamento precoce a cui era stato esposto in quegli ultimi due anni e mezzo. Non si domandava perché non avesse una vita normale e aveva lasciato da tempo la strada che conduceva verso questa. Al contrario,interrogarsi su che senso avesse la sua esistenza si era tramutata in una consuetudine. Era una costante. E a sedici anni era insolito che gli si formasse un pensiero del genere così frequentemente.
-No,grazie.- esitò- Non mi fa effetto.
Molly lo guardò con compassione. Si infastidì.
Distolse lo sguardo, e si accinse a tormentare l’anello che aveva all’anulare. Gliel’aveva regalato la signora Weasley per Natale.
“Conservalo con cura,è antico.”
Un drago dagli occhi fiammeggianti.
Un regalo inconsueto,aveva accantonato in definitiva gli orripilanti maglioni marroni?Sarebbe stata una sorpresa.
Non amava in modo esagerato quelle bestie e l’aver affrontato l’Ungaro Spinato gli impediva di esprimere un giudizio a loro favore.
L’argento della lega si era leggermente annerito.
Di notte gli occhi si illuminavano a tratti,di giorno,invece,giaceva inanimato sul suo dito.
Aveva notato che i suoi incantesimi erano migliori nella riuscita dal momento che se l’era infilato. La ragione per la quale Molly gliel’avesse donato restava un mistero.
La lancetta di Ron dell’orologio di casa Weasley si spostò su Home.
Bene,era tornato infine. Stare a fissare la madre di Ron che faceva girare faticosamente la minestra nel pentolone sul fuoco del camino non era una vista esaltante.
-Ah,eccolo.- realizzò distrattamente la signora, voltandosi appena alla successiva entrata del figlio nell’abitazione.
Ron salutò Harry,si pulì il cappotto dai cristalli di neve e si sfilò gli scarponi sporchi di fango e nevischio.
Appoggiò la sciarpa di lana su una sedia di legno.
Il sorriso morì sulla bocca di Harry. Il suo amico aveva un cupo cipiglio,come se gli avessero provocato un grave torto o avesse incontrato recentemente Draco Malfoy,e serbava,saldo, qualcosa tra i guanti di cui ancora non si era liberato.
-Sei stato al Ministero da tuo padre?
- Si,non c’era. Credo che sia in missione per conto di quelli della Fenice.- il suo tono era controllato,attento ad non alzare la voce.
Molly assaggiò la brodaglia,fece schioccare il palato e mormorò allegramente tra sé: -Ottimo!
-E come mai sei tornato a quest’ora?- lo incalzò Harry. La rossa non pareva troppo interessata.
-Ero a fare una passeggiata.- gli riferì scostante.
Buttò quello che aveva tra le mani e si strappò i guanti dalle mani.
-A pensare.- calcò.
Harry si trovò sotto il naso una vecchia foto animata.
- Dove l’hai…?-bisbigliò.
Ron indicò,funereo,con il pollice una direzione non precisata alle sue spalle. Ufficio.
Era un gruppo di ragazzi con l’uniforme di Hogwarts. Harry non riusciva a distinguere di che Casa fossero,ma questo non aveva rilevanza,dato che via via che metteva a fuoco le persone poté indovinarle. Un ragazzo alto stringeva la vita di sua madre,Lily che rideva,radiosa,all’obiettivo,accanto c’erano un Lucius Malfoy e un Arthur Weasley giovanissimi che si affibbiavano reciprocamente le corna sui capi,dietro di loro era un ragazza bionda dall’aria annoiata,una Molly dal dolce sorriso e il pensieroso Severus Snape,in disparte.
Ron tentò di non incrociare i suoi occhi stupiti.
Stava esercitando su di se un grande sforzo per non esplodere e calmarsi. Il suo conflitto interiore era palpabile.
Harry non voleva capire,per una volta.
Se Lily aveva avuto un altro fidanzato,per lo più Serpeverde,supponeva, prima di suo padre, lui non ci badava. Lo poneva a disagio,questo si. D’altronde bisognava scacciare l’infantile convinzione che la storia dei suoi genitori partisse dal matrimonio,come se il passato non esistesse.
Ron,però,poverino,era sconvolto.
Si riprese,flemmatico, l’istantanea e si appropinquò a Molly,calandole davanti agli occhi la fotografia.
-Spiegami.- le ingiunse.
La signora Weasley fece un sobbalzo tale da far quasi rovesciare il pentolone.
L’afferrò con uno strattone e si voltò finalmente verso il figlio.
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Da quanto puntava,ipnotizzata,la lunga illuminazione al neon sul soffitto?
Le aveva ferito gli occhi al risveglio.
Poi si era abituata alla sua luce devastante,fredda e sprezzante.
Il lezzo di disinfettante le solleticava le narici.
Aveva i muscoli intorpiditi,e sollevando le dita avvertì qualcosa sul dorso della mano.
La pungeva.
Un’ombra si chinò su di lei,oscurandole la visuale. Le stava estraendo l’ago fastidioso.
Contorse la bocca in un flebile spasimo. Voleva alzarsi,ma al minimo movimento fu arrestata da una stretta potente al polso.
Non oppose resistenza.
Sussurrii.
-…ha gridato per l’intera notte…-
-…non si è addormentata?...-
-No…due ore…-
Volse impercettibilmente la testa. La memoria silenziosa e buia,non forniva risposta a una strana fame che teneva in scacco il suo stomaco,saliva dolorosa per l’esofago e inviava input frenetici ai suoi neuroni. Avrebbe dovuto ricordarsi…si,che? Che c’era da ricordare escluso quell’ospedale in cui era segregata da…da quando?
Era come se ci fosse sempre stato.
Un’ennesima ombra,stavolta acquisiva lineamenti nitidi: fronte spaziosa,capelli radi,occhiali quadrati,sorriso affabile.
- Come ci sentiamo,signorina?
Puntellò il palato con la saliva per sciogliere la bocca impastata.
- Dentro la mia mente c’è un buco nero,dottore. Risucchia ogni mio ricordo.
L’uomo la scrutò,esterrefatto. Non era preparato a un tale paragone. Doveva ammettere che calzava a pennello. Egli stesso era stupito dalla sua perspicacia e lucidità,avendo perso la maggior parte delle sue rimembranze. E aveva il vago sospetto che li sostituisse con altri di natura totalmente impensabile. Delirava e i momenti in cui era quieta coincidevano spesso con lunghe dormite indotte da una massiccia somministrazione di sedativi,calmanti e sonniferi.
Ciò che raccontava era ai limiti dell’umano,paranormale. Il medico rifiutava di prestare orecchio a pensieri artefatti dalla sua mente distorta. Doveva essersi schiantata il capo contro una roccia o un qualsiasi corpo contundente. Le sue dita erano incrostate di terra,fango,tagli superflui sui polpastrelli e alcuni profondi su palmi e polsi. Doveva aver vagato per parecchie miglia,o peggio,essersi trascinata. In un bosco piuttosto insidioso e scarsamente esplorato. La polizia aveva condotto indagini su vasta scala ma,malgrado i numerosi tentativi,non erano riusciti a risalire al suo luogo di provenienza. L’avevano pescata in una stradina sterrata che conduceva diritto alle scogliere di Land’s End e questo era tutto quello di cui erano al corrente.
Un’anziana donna veniva a visitarla quotidianamente. Era lei che l’aveva avvistata agonizzante. Le aveva salvato la vita. Sarebbe bastato un ulteriore giorno per spedire Kathleen all’altro mondo. “Kathleen” era il nome che le aveva affibbiato la gentile vecchia. Melanie,si chiamava. Nutriva un affetto filiale per quella povera sprovveduta.
Esaminò il volto della giovane ragazza sprofondato tra i cuscini scomposti. I capelli erano appiccicaticci, lunghe occhiaie violacee erano comparse sotto le sue preziose gemme verdi,le guance erano scavate,il colorito cereo. Voleva curarla,pure se era ignaro della maniera ideale. I suoi non erano problemi fisici…mentali,anzi,era palese.
Non era un insensibile come i suoi colleghi,se l’avessero trasferita nel reparto psichiatrico,non avrebbe recuperato affatto la memoria.
Incrociò le braccia,sospirando. La colpa poteva essere sua,può darsi. L’aveva letteralmente annichilita,imbottendola di farmaci che le avevano causato più male che bene.
Non era una paziente collaborativa. Era turbolenta e di rado accettava di conversare con lui con serenità.
Kathleen strabuzzò gli occhi,senza apparente motivo,come se avesse scorto qualcosa all’altezza della sponda del letto.
- Non ti ho chiesto nulla,insulso elfo.- sibilò.
Rabbrividì,la sua voce era incredibilmente affilata; provava sempre l’impulso di scappare allorché le sue visioni si manifestavano tangibili nella stanza assolata.
- Tom.- invocò,lamentosa- Tom,levamelo dai piedi!
Inclinò la testa a destra e a sinistra,roteando gli occhi al cielo e aprendo caricaturalmente le labbra,come a voler imitare il modo di parlare di qualcuno.
-Certo,certo…-farfugliò- Tom? Tom,insomma,vuoi venire?!
Si voltò verso la finestra in fondo alla stanza,tirandosi bruscamente su a sedere.
Il rosso sole dell’alba macchiava il manto pervinca del cielo.
- Tom?
Il respiro si fece affannoso.
-TOOM!- squittì.
Rivolse un’occhiataccia avvelenata a lui e ,immediatamente dopo,alla flebo a cui era attaccata.
- Dov’è?Dove l’hai nascosto?- strillò,piangendo e buttando le coperte all’aria.
- Lo rivoglio indietrooo- si strappò l’ago della flebo,gettando anche il supporto metallico a terra. Il contenitore di plastica scivolò sul pavimento,producendo un “blob” rumoroso.
Massacrò di pugni il materasso,il viso paonazzo per il pianto.
-RIDAMMELOOO!!!- gridò,isterica.
Il dottore fece un cenno all’infermiera che uscì terrorizzata dalla camera.
Ci volevano rinforzi per sedarla.
Compì qualche passo verso Kathleen. Riteneva che sbraitasse contro di lui,ma era in grave errore.
-Tu,megera!-si sporse dal bordo del letto con energia- Gli hai riempito la mente di bugie! Non credere,non credere che non mi ricordi,infida bastarda!
Allungò il braccio per artigliare la lampada sul suo comodino.
- Ok,ok,Kathy,ora abbassa quella cosa,non fare niente di cui in seguito potrai…
-…subirne le conseguenze?- domandò con un sorrisetto sardonico. Si rigirò l’oggetto tra le mani: -Oh,è la mia vita.- confessò piano con tristezza.
- Sono qui per ascoltarti.- azzardò un tentativo. Fu vano.
Raccogliendo ogni rimasuglio di forza dal suo corpo,scagliò la lampada con una foga disperata.
-Muori,lurida schifosa!
La schivò per un pelo.
Abbandonò di corsa la stanza. Era abbastanza persino per lui.
- Non mi sfuggirai! Ci vorranno anni, ma il tuo destino volgerà inesorabilmente al termine,stronza.- mormorò tra sé e sé .
L’indomani fu trasferita.
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Trovò la madre intenta ad intrattenere una gradevole discussione con il segretario di Stato magico,un tipo minuto,magro come un chiodo,con scialbi baffetti grigi ingialliti dal tabacco,gli occhietti sporgenti e indagatori,pronti a individuare la minima anomalia.
-Ah,Vivian,saluta il nostro caro signor Buckley…- la sollecitò,interrompendosi istantaneamente avendo catturato la sua espressione confusa e in apprensione.
- Ti senti bene,Vivy?- le chiese con il tono premuroso che usava quando era ammalata.
La analizzò con circospezione.
Bianca come la porcellana,i fili dorati della sua chioma erano acconciati in uno chignon semplice,le iridi acquamarina fisse nelle sue,la bocca sottile semiaperta nell’ansia di non conoscere cosa turbasse la figlia.
Che doveva pensare? Non voleva nemmeno confidarle il pensiero netto e sanguinoso che aveva sconvolto il suo cervello e il suo cuore nel momento in cui era rimasta intrappolata dal magnetico sguardo del ragazzo immortalato nel quadro. Era come se avesse scardinato un antico timore che affondava le radici nell’infanzia. La sua pelle era marmorea,ma non possedeva le gocce blu di Narcissa o celeste grigiastro di Lucius. Le sue forme non erano quelle spigolose della sua aurea genitrice. Erano morbide,a dispetto della sua magrezza.
Abbassò gli occhi.
Era assurdo.
-Mi scusi,gliela rubo un secondo,segretario,le dispiace?- domanda retorica di genuina formalità.
-No,non si preoccupi.- le sorrise,fingendosi privo d’interesse. Era morbosamente curioso il nanetto.
Si allontanarono dalla sala. Narcissa aveva la faccia costellata di mille punti interrogativi ed era sconcertata dall’espressione di Vivian che la metteva in allarme.
Aprì una porta verniciata di grigio perla.
- Entriamo.- suonava più come una supplica che come un invito.
Era la vecchia stanza dei giochi avvolta nella semioscurità,flebilmente rischiarata dalle luci notturne del giardino.
- Lumos!
I pixies saltellarono nelle gabbie,i liquidi occhi neri indirizzati su di lei,carichi d’aspettativa. Erano inerti e avevano perduto la vivacità di un tempo,i gridolini,però,li caratterizzavano ancora.
Le fate si accesero di calde luci rosa,verdi,gialle e azzurre,spandendo la polvere fatata intorno.
- Petrificus totalus!
L’animosità generale fu annullata da un’atmosfera rarefatta che aveva negato momentaneamente il respiro agli esserini e li faceva galleggiare a mezz’aria come se fossero immersi in una gigantesca bolla di sapone.
- E’ Draco,giusto?Gli è capitato qualcosa?- la apostrofò come se avesse indovinato solo allora il motivo di tanto mistero.
- Per essere franca,ho smesso da un pezzo di occuparmi di quello che fa o combina,mamma.- dichiarò,schietta.
La sua durezza impressionò Narcissa.
- Avete litigato?
- Non ha importanza ora.
- Ha importanza,invece…-obiettò vivamente.
-Mamma!- la riprese,spazientita.
Ammutolì.
In diverse circostanze l’avrebbe rimproverata della sua mancanza di rispetto e della sua insolenza, ma l’istinto le diceva che adesso non era davvero quella la questione all’ordine del giorno.
- Ho visto un ritratto che aveva tratti simili ai miei,mamma.- alzò di scatto gli occhi concentrandoli sui suoi- Che significa?
- Tom…- mormorò,incredula. Quella stanza era chiusa con un incantesimo di sbarramento perenne,difficile da eludere,come era riuscita Vivian a intrufolarcisi?
- Seguivo Draco e mi sono trovata per caso lì.- le spiattellò.
Narcissa piegò le labbra, stizzita. Se il suo poco accorto e spavaldo figlio non avesse commesso un’imprudenza simile! Aveva di sicuro installato una camera invisibile come luogo di ritrovo per i giovani mangiamorte lì vicino. Questa non ci voleva. No,sul serio.
Non era obbligata a svelarle la verità, Lily era morta in fondo e si era trascinata dietro i cocci del suo passato.
Non doveva scombussolarla.
Le avrebbe reso la verità,si morse l’interno della guancia,accettabile.
Lily era morta…in fondo.
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- Ninna nanna,ninna oh,questo piccino a chi lo doo- cantilenava quella nenia da tre mesi,e nonostante ciò non si era abituata alle levatacce di notte a cui la obbligava quel batuffolo di nome Draco.
Un frugoletto dalla testina platino,quasi bianca, due occhioni come ghiaccioli trasparenti,e un conturbante profumo di latte misto all’odore di borotalco che i bambini hanno sempre.
Si era appena addormentato con i pugnetti appoggiati sul petto,allorché udì il portone sbattere violentemente al piano di sotto.
Trattenne il respiro. Chinò lo sguardo,timorosa.
Sorrise sollevata. Il rumore,inspiegabilmente,non l’aveva destato.
Lo pose ,delicata, nella culla e accostò sofficemente la porta. Vide uno spiraglio di luce nell’ala est. Proveniva dallo studio.
Camminando lo stomaco le incominciò a contorcersi. Aveva una brutta sensazione, come se fosse successo qualcosa di irreparabile. In quell’ultimo periodo Tom era stato nervoso,suscettibile,a quanto le raccontava il marito,e stava perdendo il suo ascendente sugli altri. L’influenza che aveva permesso Bellatrix avesse su di lui,lo stava inesorabilmente consumando in una rete di dubbi che non era per nulla tipica di lui.
E quella Sibyl da quattro soldi gli aveva infuso strane idee,nocive per l’intera organizzazione. Comunque sia,al di là dei problemi esterni che ci potevano essere,l’unica ragione del suo lento declino era lo spegnimento della fiamma che accendeva il suo entusiasmo,la donna della sua vita,Lily.
Era tra le schiere di Albus Silente,che le aveva promesso protezione.
Si morsicò il labbro.
Al prezzo di cosa?Le aveva fornito le coordinate del quartier generale?I loro nominativi?
Lily ne poteva essere capace?
Scosse il capo.
Lucius stava rovistando tra delle carte. Il suo viso era un gioco di ombre,creato dalla bassa illuminazione della lampada da tavolo. Le leggeva a palpebre socchiuse,le scartava celermente,le accartocciava nel cestino come se ne andasse della propria esistenza.
- Lucius?-fece, esitante. Perché era venuta?Ora che c’era non voleva sapere. Desiderava tapparsi le orecchie,rintanarsi in un angolo,volare fuori dal mondo. Eppure restava immobile in quel punto,trattenuta da una potenza più dannosa della paura di conoscere…la curiosità.
Lucius si girò. Un breve istante. Sufficiente. La disperazione disegnata in volto,pareva sul ciglio di un cratere che stava per eruttare.
- Tom ha assassinato Liy ed è morto.- proferì a bruciapelo.
Qualcuno le aveva lanciato una pietra dritta in petto? Si resse a stento in piedi.
- C-come hai detto?
“Assassinare” non era un verbo del vocabolario di Lucius. Significava soltanto una cosa…
- Siamo finiti.- tradusse per dissipare la perplessità di lei.
- Che vai farneticando?- chiese con una smorfia che intendeva essere la parodia di un sorriso,non più padrona dei suoi muscoli facciali.
Lucius non l’ascoltava,concentrato nel suo lavoro. Raccattò vari documenti,fece comparire anche un teschio dalle orbite incastonate di rubino…roba di contrabbando. Nascose tutto nel mantello. Le consegnò un fagotto nero e una maschera.
- Bruciali.- le comandò,guardandola alfine negli occhi. Le parlava con flemma e chiarezza,come si fa con una bambina dura di comprendonio.
-Meritiamo di essere portati in prigione,vero?
Chissà per quale causa gli rifilava una domanda talmente sciocca. Era naturale…ma aveva recepito una scintilla di determinazione nelle sue pupille che l’aveva fatta dubitare sul suo futuro.
Spense la luce e la oltrepassò.
- Ah,fa lo stesso con il tuo travestimento,non si sa mai.- le consigliò.
- Dove vai?
- A salvare la nostra vita.- si dileguò nel buio.
Narcissa si accasciò sul marmo gelido,piangendo per lei,per la sua amica e per…la bimbetta di cui distingueva la sagoma che le stava davanti nell’oscurità,incerta se avvicinarsi o meno.
- Vivy,vieni.- le intimò con la voce incrinata.
La abbracciò,non stritolandola di poco. Emise uno strillo soffocato. Allentò la stretta,scusandosi.
-Sei orfana,piccola.
Vivian le carezzò i capelli,non capendola. Lei era sua mamma,altre non ce n’erano.