§The Sinous Line of the Snake§

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Dona86
00giovedì 26 febbraio 2004 14:32
§ The Sinous Line of the Snake §
by
Donatella Rosetti

Periodo: verso il sesto libro,assolutamente AU.
Spoilers:quinto libro eventualmente.
Disclaimer:Tutti i personaggi,tranne Vivian,appartengono a J.K.Rowling. Non scrivo a scopo di lucro,ma per puro divertimento!
Nota:Ed eccoci alla mia seconda fanfiction,spero che vi piacerà più della precedente!!! Mi raccomando,commentate! Un consiglio: ascoltate il cd degli Evanescence mentre leggete questa storia(se lo avete,ovvio!).









§INTRODUZIONE§

La bufera di neve continuava imperterrita a imperseverare.
I vetri della finestra della sua camera da letto erano appannati.
Sarebbe scesa in cucina,era in apprensione per il marito. Erano le otto di sera e ancora non c'era sentore del suo ritorno.
Andò in cucina,accorta a non svegliare i bambini che ora dormivano profondamente,sia ringraziato Merlino,dopo averla fatta penare tanto.
Sbirciò alla finestrella presente al di sopra del lavabo.Il paesaggio era tetro,non si distingueva nulla tranne i fiocchi di neve che turbinavano nella notte.
Udì un flebile colpo alla porta.
All'inizio le parve di esserselo sognato ed esitò,incerta se aprire.
Il colpo si ripeté più vigorosamente.
Chi poteva essere?Il suo consorte in quei periodi si materializzava sempre dentro casa per non correre rischi.
Aggrottò la fronte. Può darsi...?
Con espressione decisa liberò la porta dagli incantesimi di sbarramento e questa si spalancò facendo irrompere il vento nell'atrio.
Sulla soglia stava eretta una donna dai capelli carmini e occhi verdi smeraldo. Il suo mantello cobalto le svolazzava intorno,a tratti gonfiandosi.
Si sforzava di indossare un'aria calcolatrice ma con scarsi risultati. Nelle sue pupille era leggibile un'intensa disperazione e un senso di turbamento.
La donna che le aveva aperto si portò le mani alla bocca.
-Per la barba di Merlino...!
La rossa si guardò svelta attorno.
-Ho bisogno di parlarti.
La sua voce era controllata: non lo sarebbe stata per molto.
La proprietaria dell'abitazione si scansò e la invitò preoccupata ad entrare.
-Grazie.
Si sedette su una sedia del grande tavolo di quercia al centro della stanza.
- E' così accogliente qui. Mi ero scordata la sensazione che si prova ad essere in un ambiente familiare.- commentò nostalgicamente,sfiorando un lavoro a maglia abbandonato su un lato del tavolo.
-Vuoi un tè,un caffè,qualche...?
Lei smorzò un sorriso e fece un gesto di diniego.
Estraè da un punto non precisato sotto il mantello un diario verde bosco con una cornice di grovigli di fili dorati sulla copertina.
La donna lo riconobbe. Il suo diario.
-Voglio che lo abbia tu.
-Ma è il tuo diario e io non ,bé,hai ancora tanto da scrivere!
Il volto di lei si ottenebrò.
-Non credo.
Perseverava a non capire,a essere confusa.
-Sono incinta.
Ci fu un silenzio di tomba.
Ritrovò la facoltà di parlare.
-Di nuovo?Quando,chi...?
Lo sguardo dell'ospite fu eloquente.
Adesso anche l'altra si dovette sedere, dentro di lei stava prendendo piede una crescente agitazione.
- E' maschio?
-Sì.- rivelò con un sospiro.
Un brivido percorse la donna.
-Avevo pensato di abortire...non me la sono sentita. Inoltre,era troppo pericoloso,mi avrebbero potuta scoprire.- si mise febbrilmente le dita sulla fronte.
-Cara...
- No.
Bloccò all'altezza del polso la mano che la donna aveva cercato di posizionarle sulla spalla. Lei la allontanò,offesa da quell'atteggiamento brusco.
-Scusa. Non merito di essere consolata. Pago le conseguenze delle mie scelte.
-Te ne penti?-le domandò l'altra meravigliata.
- No. Se ritornassi indietro,mi innamorerei nuovamente di lui in un batter di ciglia,certe cose non si possono cambiare.
La donna davanti a lei si morse il labbro inferiore,chiaro segno che non condivideva il suo pensiero.
-Cosa intendi fare?
-Farlo nascere,il che dovrebbe accadere tra sette mesi,e trovargli un posto sicuro dove nasconderlo e proteggerlo. Al momento sono le mie uniche priorità.
-Lui lo verrà a sapere.- le fece notare.
Le lanciò un'occhiata sfuggente e si tormentò nervosa le mani. Si rizzò di scatto dalla sedia.
-Devo andare.- la informò flebilmente.
-Lo ami nonostante tutto,vero?
Quella si fermò sull'uscio per un attimo,colpita al cuore da quella domanda come se una freccia le avesse trapassato il petto.
-Salutami i tuoi figli.- e dicendo questo si smaterializzò.
- Asp...!
Troppo tardi,la donna si ritrovò sola nella cucina a fissare con ansia il luogo in cui l'amica era scomparsa.


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Si annodò la cravatta con strisce verdi e argento,afferrò un fermaglio con una minuscola fata con ali di farfalla,raccolse parte dei capelli con quello e il resto lo lasciò ricadere sulle spalle.
-Signorina si sbrighi,il treno per Hogwarts non l’attende,neanche se è un’illustrissima Malfoy!- un’elfa domestica sovraeccitata era spuntata con un *poff* e si affrettava a caricarsi un pesante baule sulla schiena.
- Hahaha! Sweety,non ti ricordi mai che dal sesto anno in avanti posso materializzarmi e smaterializzarmi a mio piacere.- la ragguagliò canzonatoria.
-Però,signorina Vivian, Hogwarts è a miglia da qui!- sbattè i suoi occhioni elfici, poco convinta.
Lei soffiò, facendosi strada fuori dalla sua camera e scese la scalinata di marmo bianco venata di grigio del maniero dei Malfoy. Sweety la rincorreva strepitando con velocità impressionante considerato il bagaglio che trasportava. Si aggrappò alla veste di Hogwarts della ragazza.
-La preego, sia prudente, signorina!-gli occhini lacrimosi.
Lei rise di gusto e assentì per rassicurarla.
- Sweety,lasciala.- ordinò una voce autorevole e gelida dalla base della scalinata.
L’elfa tremò, si inchinò con deferenza e sparì rapidamente dalla circolazione.
Vivian salutò l’uomo con un sorriso smagliante.
-Buongiorno,padre.
Lui le offrì il braccio,sorridendole a sua volta.
-Spero che per Natale tu non abbia impegni,vorrei che ti trovassi a casa per quel tempo.
-Padre!-lei lo rimproverò- Deve ancora incominciare l’anno scolastico e tu mi vuoi già a casa?!-esclamò scherzosa.
Lucius Malfoy non fu capace di replicare.
In quell’istante giunse un Draco trafelato e con la chioma scompigliata e con il pigiama addosso.
-Che ore sono?
Lucius lo fulminò con lo sguardo.
- E’ l’ora che tu sia sul treno di Hogwarts,signorino.- interferì Narcissa con le braccia conserte e gli occhi inceneritori-Vesto!
Un lampo di luce blu e Draco si ritrovò nella sua divisa di Hogwarts.
La ragazza diede un bacio alla madre abbracciandola e fece un cenno rispettoso della testa al padre.
Un attimo dopo si materializzò nel cortile della sua scuola.
Respirò a fondo l’aria tiepida di inizio di settembre.
Silente stava passando per i portici in stile gotico proprio in quel mentre.
-Ah,signorina Malfoy!-la interpellò,per niente sorpreso dalla sua improvvisa apparizione-La desidero nel mio ufficio alle sei del pomeriggio,se per lei va bene.
Lei annuì gentilmente.
Da in cima a una torre che si affacciava sul cortile,una figura alta e con il volto coperto da un cappuccio di un ampio mantello nero la osservava.
Vivian,avvertendo una strana sensazione,si voltò e scrutò la torre dietro di lei.
Non c’era nessuno.
Fece spallucce e si avviò all’interno del castello.



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Kathleen chiuse l’ennesimo libro che aveva come argomento la magia. Niente. Niente di niente. Non menzionava né babbani ,né Auror e Mangiamorte.
Ogni tanto la riscuoteva la mania di cercare qualche prova tangibile che il mondo che il suo psichiatra sosteneva si fosse creata esistesse. Rimaneva sempre delusa. Tutti parlavano di magia,però nessuno in verità la praticava nella maniera che lei intendeva.
Tirò un sospiro esausto e sorseggiò il caldo infuso di erbe che le permetteva di dormire indisturbata fino alla mattina successiva,evitandole gli incubi che le facevano visita di frequente.
Doveva persuadersi che il suo mondo magico era un mero parto della sua fantasia. Un modo per scacciare la realtà della condizione in cui era sedici anni prima, costretta a vagabondare per le strade, a nutrirsi di rifiuti, a chiedere l’elemosina. Se non fosse stato per Melanie, la vecchietta che si era accorta dello stato penoso in cui versava,adesso lei sarebbe morta da un pezzo.
Eppure aveva un vuoto di memoria profondo quanto un cratere su quel periodo della sua vita. Ecco perché insisteva nella sua ricerca,prendeva in prestito i libri della biblioteca di Penzance e li divorava,speranzosa di cogliere qualche indizio. Non poteva essersi immaginata un universo talmente dettagliato senza alcuno stimolo esterno.
Spense la lampada della scrivania,si massaggiò gli occhi stanchi,si avvolse in uno scialle e uscì dall’abitazione.
Si diresse verso la scogliera che si trovava a soltanto cinquanta metri da lì. Percorse il sentiero che si inerpicava su una montagnola d’erba e intanto pensò ai ricordi che aveva.
La maggioranza di quelli era popolata da un ragazzo,poi uomo,a cui lei pareva tenere particolarmente e una morsa di nostalgia l’attanagliava.
Giunse alla scogliera. Il fragore delle onde era assordante e il maestrale soffiava violento.
E se stessero bluffando?Se lei fosse stata una persona totalmente diversa da come l’avevano forzata a credere?Assurdo.
Forse aveva paura. Si sentiva smarrita alla prospettiva di allontanarsi dalla sua casa,dalla Cornovaglia. I cambiamenti l’atterrivano. Preferiva rimanere all’oscuro,rifiutarsi di non vedere,piuttosto che perdere la tranquillità che quegli anni in compagnia dell’anziana Melanie le avevano regalato. Questo,però, non le impediva di dare una sbirciata a qualche scritto “singolare”. Si,questo era abbastanza autoconvincente.
- Kathy!Kathy!-una vecchia signora apparve,affannata,dal sentiero. Era lievemente curvata in avanti,una crocchia di capelli argentei era sistemata sulla nuca. Indossava un golf lilla,una gonna lunga a fiorellini che accentuava la sua bassezza,e calzava delle scarpe da tennis.
Lei si girò,radiosa.
-Si, Melanie?
- E’ pronta la cena…Bambina mia,cosa sono quegli occhi tristi?
Ma che attrice era,se non riusciva nemmeno a nascondere la minima emozione a una povera donna che soffriva di cuore?








Dona86
00giovedì 26 febbraio 2004 14:33
Re:
§CAPITOLO PRIMO§


Si chiamava Nyx Vivian Morrigan Malfoy. Benché Nyx fosse il suo primo nome,tutti le preferivano Vivian.
Era la primogenita dei Malfoy,ma non aveva molte caratteristiche in comune con la sua famiglia di appartenenza,se venivano esclusi ghigno,eleganza nel portamento e una classe innata.
Sin da piccola era stata addestrata a maneggiare le Arti Oscure; questo non voleva significare che amasse servirsene,anzi. Riteneva che fosse indispensabile conoscerle,così da saper contrattaccare eventuali malintenzionati, normalmente però utilizzava magia regolare. Ad essere concreti era ancora minorenne, anche se abbastanza matura per i suoi diciassette anni.
Aveva ogni cosa che desiderasse: una dei rappresentanti dell’istituto,nonché facente parte della prestigiosa casa dei Serpeverde,eccelleva in Difesa contro le Arti Oscure,Aritmanzia,Trasfigurazione e Cura delle creature magiche,era la favorita di Piton,riscuoteva consensi ed era addirittura rispettata da diversi Grifondoro…Ma non è oro tutto ciò che luccica. Dentro di sé nutriva una radicata insoddisfazione e un orribile disagio. Capelli corvini e iridi color menta,il suo aspetto era sul serio poco somigliante a quello degli standard Malfoy.
Ne aveva sofferto da bambina.
Gli amici di suo padre sembravano non curarsene,la trattavano perfino con esagerata riverenza,di questo non si lamentava,l’appagavano le loro attenzioni. Era a Hogwarts che si erano manifestati i veri problemi. I membri di case differenti dalla sua,come quegli insignificanti Tassorosso si dilettavano ad affibbiarle epiteti non necessariamente lusinghieri. Un giorno,all’età di undici anni,dominata da una forte frustrazione e brama di rivincita,aveva composto la pozione Capelli Vispi che poteva colorare la sua chioma delle tonalità più disparate. Era stato un autentico fallimento,se non un disastro. Invece di tingersi di un lucente biondo platino,erano diventati di un orribile verde marcio. Per la vergogna era tornata al Maniero e si era tappata lì fino a quando l’effetto della miscela non fosse svanito.
Gli insulti di quegli spregevoli,ormai rari e che venivano comunque liquidati con occhiatine di superiorità o indifferenza totale,non erano nulla a paragone degli atteggiamenti che alcuni insegnanti della scuola assumevano in sua presenza. Severus Piton,pur se la erigeva su un piedistallo come suo solito,accusava disagio se lei rideva o aveva un’ espressione truce in un giorno storto. Lo stesso accadeva pressappoco con la McGrannitt.In Silente coglieva un bizzarro scintillio negli occhi quando conversava con lui e a volte lo scopriva ad increspare la fronte,tipo fosse in pensiero per qualcosa di specifico.
Aveva provato e provava rabbia.
Perché non mi guardano come se fossi una persona qualunque?
Una domanda che si era posta spesso. Non augurava a nessuno di vivere quello che aveva trascorso lei. Era terribilmente sgradevole essere in un gregge di pecore bianche e percepire che lei era l’unica nera.
Con gli anni aveva imparato a non condannare le sue singolarità,ma a valorizzarle. Camminava a testa alta,si adoperava ad essere gentile il più possibile,sebbene l’individuo con il quale aveva a che fare era uno che avrebbe volentieri strozzato. Lucius le aveva insegnato che la gentilezza e le buone maniere pagano e sono un ottimo biglietto da visita,oltre che a un efficace sistema di affermazione. Non aveva torto.
Scese l’ultimo gradino delle scale a chiocciola e il passaggio segreto verso l’ufficio del preside si richiuse con un rumore sordo.
- Cioccor….-una donna dai riccioli ramati arrestò la pronuncia della parola d’ordine. Stava scrutando Vivian.
Lei la squadrò con curiosità.
-Si?-chiese garbatamente.
La signora si ridestò dalla momentanea trance da cui era stata colta.
-Oh,n-niente,niente,cara. P-pensavo che non ci fossero alunni a quest’ora da Silente.- balbettò.Gli occhi di quella ragazza l’allarmavano. Avrebbero potuto perforare un diamante per quanto erano penetranti.
-Si sbagliava.
Udirono un cicaleccio elevato di voci provenire dall’entrata.
-Mi scusi,devo andare. Arrivederci.-si diresse verso un corridoio scarsamente illuminato dalle fiaccole ai lati delle pareti.
-Arrivederci.
Cosa ci faceva una Weasley alle sette di sera in attesa di accedere all’ufficio?Strano. Quella in cui si era imbattuta era Molly Weasley,senza dubbio.
I Weasley.
Lucius non li sopportava e le raccomandava sovente di non mischiarsi con quella plebaglia. Personalmente non capiva questo accanimento contro di loro. E’ vero,suo padre disprezzava la maggioranza dei Grifondoro,però non si permetteva il lusso di insultarli apertamente quando vi capitava faccia a faccia.
Non ebbe tempo per riflettere molto sulla questione perché la travolse in un stritolante abbraccio Freya,una Serpeverde.
-Mi stai rompendo le ossa,Freya.- esalò Vivian,il fiato corto.
Lei la sciolse dall’abbraccio.
-Scusa,ma due mesi in Francia dove fanno finta di non sapere l’inglese e regna un caldo afoso e umido,non vedevo l’ora di ritornare nella vecchia e gelata Inghilterra!
-Uhm,carissima,hai visto il termometro recentemente?
Lei fece uno sguardo vago.
-Mmm,bè…qui almeno è fresco.
E si tuffò nella narrazione della sua tediosa estate alla villa sul mare a Marsiglia.
-Mi stai ascoltando?
-Più o meno.
-Ih,ih,ih…cosa vuole il preside da te?
-Eh?!Hai applicato Leggilimanzia?-era sdegnata.
-Ma che!Sai che non sono brava in roba simile!Gazza si stava lamentando che a Hogwarts adesso potevano materializzarsi tutti e dove saremo andati a finire,che il preside li doveva punire non limitandosi a uno solo,bla,bla,bla…Io l’ho sentito per caso e ho intuito che fossi stata tu. Sei una delle poche ad averne l’autorizzazione qui.
- Quell’uomo è snervante.- commentò irritata.
-Se si può definire “uomo”!
-Direi un ibrido,allora.
Scoppiarono a ridere.



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Ron gettò un’occhiata all’orario di quel mercoledì,nella vana speranza che non fosse davvero quello che aveva letto.
Sospirò affranto.
Due ore di Difesa contro le Arti Oscure,due ore di Pozioni e due di Incantesimi. Ci sarebbe stato da che stare allegri!
-Chissà chi sarà quest’anno il professore di Difesa?
Hermione tirò fuori pergamena,inchiostro e penna piumata.
-L’importante è che non sarà sicuramente l’Umbridge.
Harry e Ron ghignarono.
-Ci provasse!!!
Lavanda Brown fece concitatamente capolino nell’aula,le guance arrossate per la corsa.
-Che ci fate qua?!La lezione si svolge nei sotterranei!Presto,presto!!!!
Harry,Ron ed Hermione si fissarono a vicenda. Che il loro peggior incubo si stesse avverando?Nella loro mente si affacciò minacciosa l’equazione SOTTERRANEI=PITON.
Hermione,pur se scioccata,raccolse le cose dal banco e le risistemò nella cartella.
-Che fate lì imbambolati?!Spicciatevi!
E disparve frettolosamente. Hermione odiava essere in ritardo a qualsiasi lezione.
Si trovavano nella Torre Nord,ci sarebbero voluti degli abbondanti dieci minuti per arrivare ai sotterranei e loro non erano più in orario.Harry frugò nelle tasche ed estrasse la Mappa del Malandrino.I suoi occhi scandagliarono rapidi gli eventuali passaggi segreti. Diamine!Non ce n’era l’ombra.
-Credo con tutto il cuore che…-esordì Ron.
-NO.- lo zittì il compagno-Ho avuto un’idea.
Si concentrò e sussurrò:-Accio Firebolt!
-Ma sei impazzito?!?!?E’ proibito!!!!
-Non c’è altro modo, Ron!
Ron sbuffò.
-E va bene.Spero proprio che non ci becchino….Accio Nimbus!
Sfrecciarono per le scale incantate,e giù per i corridoi;ecco la scalinata dei sotterranei.
D’improvviso le loro scope frenarono e sparirono con un rumoroso *PAFF*,ed Harry e Ron furono catapultati sul pavimento.
Harry tastò le mattonelle per riprendere possesso dei suoi occhiali,persi durante la caduta al suolo. Allorché li riposizionò sul naso,constatò che di fronte a lui si stagliava la figura alta e snella di Vivian Malfoy.
-Signor Potter,Weasley,avreste potuto farvi male!-esclamò derisiva.
Ron stava per insultarla,ma Harry gli diede una gomitata,ingiungendogli con un gesto di tacere. L’H ricamata con filo argentato sopra allo stemma della sua casa brillava nella semioscurità.
Vivian regalò una smorfia di approvazione al ragazzo con la cicatrice.
-Cinquanta punti in meno a Grifondoro.-dichiarò asciuttamente.
-Bastar…mmmm!!!-Harry gli aveva schiaffato una mano sulla bocca,impedendogli di parlare a…sproposito.
-La prossima volta,signori,sarà preferibile che arriviate con i metodi tradizionali fin qui.- indicò le loro gambe.



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-Adesso non solo il fratello,anche lei!-Ron era furibondo.
-Aveva ragione.- sentenziò Hermione- Siete degli spericolati,credo che le missioni che avete affrontato contro Voldemort- il rosso rabbrividì- siano una minaccia per il vostro ego.Non potete avere la presunzione di infrangere le regole quando vi pare e piace solo perché così facendo siete scampati alla morte un paio di volte!
-Un paio di volte?!Hermione,pensavo che tu stessi dalla nostra parte!-si ostinò Harry.
-Shhh…
Dei passi echeggiarono,sessanta cuori battevano come tamburi nei petti dei loro proprietari. Nessuno desiderava Piton quale insegnante di Difesa contro le Arti Oscure.Se Pozioni era terrificante,non c’erano obiezioni che quella materia, che era cara ad ognuno dei presenti, si dimostrasse altrettanto.
Severus Piton fece il suo ingresso con la sua scura veste.
Non era solo. Squadrò la classe come di consueto.
-Signor Longbottom,non sbianchi- gli intimò annoiato-non sarò io il vostro professore di Difesa. Bensì,prego,si faccia avanti,-gli studenti spalancarono le bocche e sbarrarono gli occhi dalla sorpresa-la signorina Vivian Malfoy.
-Calmatevi,cal-ma-te-vi.Non sarà una lunga permanenza.Tre mesi al massimo.In fondo la signorina Malfoy ha il M.A.G.O. da sostenere.Ma non le rubo ulteriori minuti…-si rivolse ossequiosamente alla ragazza-Buona giornata.
Chiuse delicatamente la porta dell’aula dietro di sé.
Un chiacchiericcio fastidioso si diffuse tra i banchi.
Vivian si schiarì platealmente la gola.
Le teste degli alunni si girarono verso di lei.
L’immancabile mano di Hermione Granger era sospesa in aria.
-Prego?-le si rivolse Vivian ,sorridendole.
-Come mai hanno assunto una studentessa di Hogwarts?
-Non mi hanno assunto,è una cortesia che faccio al professor Albus Silente.C’è scarsità di gente adatta a ricoprire il ruolo di questi tempi per la faccenda di Voldemort- alcuni sussultarono al suono del nome-…ed eccomi qui!
Se pronuncia tanto audacemente il suo nome deve essere una strega potente,si interessò Hermione.
I ragazzi misero diligentemente i libri sui banchi.
Vivian se ne accorse.
-Mmmh…c’è urgenza di un minuscolo cambiamento.- mormorò. Schioccò le dita e con un tonfo i testi furono sostituiti da altri con una foderina di un rosso sgargiante. A grandi lettere c’era stampato: ARTI OSCURE,Conoscerle e Difendersi da esse di Mary La Sinistra.
Gli allievi ne puntarono sbalorditi e con gli occhi schizzati oltre le orbite la copertina.
-Tranquilli,sono stati approvati da Silente.- li rassicurò.
Marietta Edgecombe dei Corvonero domandò timorosa:
-Vuole trasformarci in Mangiamorte?
Vivian rise cristallina.
-E perché dovrei?
-P-perché…-si bloccò Marietta,incerta se esprimere quello che le passava per la mente.
-Perché i Malfoy sono dei maghi oscuri.-rispose per lei Hary,risoluto
-Harry!-sibilò Hermione,sinceramente disgustata dal comportamento dell’amico.Harry non le badò,aveva lo sguardo diretto negli occhi di Vivian.
Lei aveva mutato espressione.
-Signor Potter,dovresti riflettere o in definitiva collegare il cervello prima di sputare sentenze.- lo ammonì a denti stretti.
-Come?Non lo sono?-azzardò Ron,reso spavaldo dall’intervento del compagno.
-A parte il fatto che dovreste badare agli affari vostri,no,non lo sono.- stava guardando Harry negli occhi e più intensamente.
Harry e Ron stavano per replicare,ma Hermione diede un calcio alla sedia del ragazzo dai capelli scarmigliati,che le stava davanti.
-Basta!-fece quasi stentorea.
-Qualcuno ha altri pettegolezzi da sottopormi?-chiese glaciale e in tono provocatorio.
Silenzio.
C’era un generale imbarazzo per le insinuanti affermazioni dei due Grifondoro,quindi Vivian decise di far buon viso a cattivo gioco e diede voce alle domande che leggeva sui visi della sua classe.
-Perché analizzare e studiare le Arti Oscure se non siete Mangiamorte?Una domanda stimolante.La sciate che vi sfati un mito: non si fronteggia il “nemico” esclusivamente con incantesimi di difesa.Gli Auror durante il loro corso di studi non prendono in esame unicamente i meccanismi con cui frenare l’avversario,dedicano pure particolare attenzione a come operano le magie oscure,per rifarsi al vecchio detto:Bisogna conoscerlo il nemico prima di affrontarlo. Conoscerlo e CAPIRLO.
Hermione ascoltava rapita.
Harry era scettico.
-Questo OVVIAMENTE non significa che voi dobbiate diventare automaticamente Mangiamorte imparando le Arti Oscure. Quella è una scelta.Una scelta che ciascuno di voi può fare liberamente.
-Io direi che è una predisposizione!-sbottò Ron.
-Cosa intendi?-Vivian gli diede corda,voleva vedere dove andasse a parare quel Weasley.
Stupito per la considerazione,Ron espose,accalorato,le sue teorie:
-Secondo me,è da attribuirsi al carattere e anche alla casa in cui si viene smistati. C’è bisogno di ricordare qual è la casa che ne ha sfornati di più?
-Quale,scusa?- Vivian la tirò fino alla fine.
- Serpeverde,logico.
-Logico?Mmm- fece il giro della cattedra e si posizionò di fronte ad essa-Entrambe le teorie del signor Weasley sembrerebbero apparentemente corrette,tuttavia…
Ron alzò un sopracciglio.
-…è mio dovere correggerle drasticamente .Lei,signore,pensa che uccidere sia nelle facoltà di una sola ristretta cerchia di persone?Che sia una sorta di predisposizione?
-Credo.-deglutì Ron,ora non ne era molto sicuro: a giudicare dai modi della giovane professoressa doveva attendersi una demolizione priva di pietà delle convinzioni che trascinava con sé sin da bambino.
-Crede?Fa bene a “crederlo”. RITENGO che ciò che il signor Weasley e probabilmente la maggioranza,se non intera, di voi non sappia che siamo fondamentalmente animali e abbiamo un istinto.L’istinto ha differenti sfaccettature,una di queste è uccidere. Tutti,da un Tassorosso a un Serpeverde,da un Corvonero a un Grifondoro,siamo perfettamente in grado di ammazzare. Dipende da cosa ne facciamo dell’istinto.Se stabiliamo di ascoltarlo o no.E’ pure questo che dà un equilibrio alla nostra vita.-Potter stava per intervenire,lei con un cenno della mano lo invitò ad aspettare.-Indubbiamente c’è chi prende gusto ad uccidere.Non si può negare.Quello che desidero chiarire è che tutti siamo predisposti a questo tipo di istinto.
-Ce lo può dimostrare?-Hermione era intrigata dalla discussione.
Vivian annuì e diede una scorsa al registro.
-Lidia McNair, chi è?
Una ragazzetta castana e con gli occhiali si alzò in piedi.
-Sì!
-Tuo zio,che in questo momento è ad Azkaban,rammenti di che casa era?
-Corvonero,professoressa.
-Grazie.-sorrise e tornò a rivolgersi al prefetto dei Grifondoro- Bellatrix Lestrange era una di voi,l’aiutante di Voldemort,Peter Minus,era un Tassorosso.
Harry si mosse a disagio sulla sedia.
-Vuole difendere i Serpeverde?
-No e penso che il signor Weasley non abbia completamente torto nelle sue convinzioni.Il sistema di Hogwarts è fuorviante.Le case possono essere un luogo di ritrovo,di comunicazione attiva però,come ogni cosa,hanno il rovescio della medaglia.Voi ragazzi siete omologati in una breve lista di qualità,alquanto discutibile.Quante volte,ad occhio e croce, la metà di voi si è vista costretta a fare suo un modo di essere che non era esattamente corrispondente al proprio carattere?
Grifondoro e Corvonero si scrutarono scambievolmente,confusi e contemporaneamente consapevoli che quello su cui li stava illuminando Vivian era l’amara verità.
-Certo,ci si abitua.La questione è che va a pesare sulla personalità e la influenza. Ad undici anni,non vi dimenticate,un ragazzino ha una personalità in formazione.
Hermione aveva la bocca aperta,le pupille luccicanti.Non ci si era mai onestamente soffermata a ragionare su un argomento simile.
Vivian battè le mani.
-Stop.Dobbiamo fare un po’ di pratica…
Neville stava raccattando le sue cose dal banco.
-Dove ha intenzione di andare signor Longbottom?
-V-via d-di qui.Non voglio essere un potenziale Mangiamorte!-urlò focosamente.
-E chi lo vuole?-Vivian si accigliò.
-Lei!I miei genitori sono a St.Mungo a causa di una di loro,perché io dovrei farmi insegnare magie talmente ignob…!-gli si strozzarono le parole in bocca,avrebbe incominciato a piangere fra qualche istante.
-Allora,se ci tiene alla vita dei suoi genitori,si comporti da persona ADULTA e si sieda!
Harry era convinto di aver già notato quella maniera di profilare comandi…Lucius Malfoy,può darsi?
Neville,umiliato,eseguì l’ordine.
-Considereremo dapprincipio le cose semplici,per esempio la maledizione Cruciatu.
I ragazzi osservarono interdetti un serpentello verde e con la pelle lucida,con una striscia gialla che attraversava il dorso del corpo che avanzava sulla mano di Vivian.
-Vuole tentare lei Longbottom?-lo interrogò invitante.
Il serpentello si arrampicò sulle dita,Vivian esercitò una leggera pressione dei polpastrelli su di esso e si tramutò in una bacchetta.
Ci furono “Oh” di ammirazione nell’aula.
Vivian inferse un colpetto al tavolo della cattedra e comparve una grossa falena grigia.
Il pomo d’Adamo di Neville fremette.



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La sala comune era deserta,si sentiva solamente lo scribacchiare veloce della sua penna d’oca. La sua attenzione ricadde sulla scatolina color crema avvolta da un nastro beige chiuso da un folletto con un berretto rosso che le ammiccava birichino. Era tenace quel ragazzo,doveva ammetterlo. Erano due anni che la corteggiava e due anni che lei lo respingeva con cocciuta determinazione. A quanto sembrava non si rassegnava alle sconfitte,al contrario,lo incoraggiavano a perseguire il suo scopo.
Lo odiava,ma con distacco. Se poteva,cercava di evitarlo e di parlarci il minimo indispensabile in quanto prefetto della casa. I palloni gonfiati come lui si sgonfiavano appena ricevevano il M.A.G.O. e uscivano dalle mura di Hogwarts.La sua bocca si inarcò in un sorrisetto soddisfatto.
Corrugò la fronte.
Uhm,non era scontato. Dato che mostrava una tendenza a primeggiare in ogni attività che intraprendesse,era improbabile che non riuscisse a districarsi perfino nell’ambiente del lavoro.
Sentì un brusio alla porta.
I suoi occhi scattarono in direzione delle voci.
Lui irruppe nella sala con al seguito i suoi fedeli compagni,o almeno così credeva lui.
Lei,che era in un tavolo poggiato contro la finestra,finse di essere troppo assorta nella stesura della relazione su una pozione impegnativa per voltarsi a salutarli.
-Oh,la tua futura ragazza non ha scartato ancora il tuo regalo,amico!-ebbe l’indelicatezza di esclamare un avvenente giovane moro.
Imprecò mentalmente.
Ecco,le si era avvicinato.
-Dunque perché non lo fai?-alitò sul suo orecchio.
Ah,questa poi!
Aveva sempre accuratamente evitato di scontrarsi duramente con lui,però, a quanto pareva,occorreva una manovra risolutiva.
- Oooh,mi dispiace!-si scusò con aria innocente.
Per un attimo gli occhi di lui furono pervasi dalla gioia, per immediatamente mutare in un secondo tempo.
Con un fluido movimento della bacchetta, la ragazza aveva incenerito la scatolina e con essa l’oggetto contenutovi.
Lui boccheggiò,incredulo per quello che aveva lei aveva osato fare. La ragazza tornò noncurante alla sua relazione,ciononostante era persuasa che non sarebbe riuscita a concludere nulla. L’atmosfera era tesa e lei era al corrente che si sarebbe scatenata una tempesta di lì a una manciata di secondi.
Vide con la coda dell’occhio quel pidocchioso squittire qualcosa sottovoce a lui.
Lei ridusse gli occhi a due fessure.
-Bene,bene,bene…-aveva un tono basso,pericolosamente tremante- Cosa mi volevo aspettare da una che se la fa…
Lei si rizzò in piedi,scaraventando la sedia sui tappeti del pavimento.
-Non dire di più,non parlare a vanvera.Non sono faccende che ti riguardino.-sibilò.
Lui continuò per niente intimorito dal suo avvertimento.
-Invece ne parlo quanto voglio!Ti avevo suggerito di non frequentare la bionda,ma tu hai fatto di testa tua,hai stretto amicizia con quella feccia e quel…quel…Snivellus!
-Fosse quello il più temibile!-rincarò eccitato l’idiota che aveva squittito all’orecchio del giovane che stava gridando con tale ardore contro di lei.
-Non sei degna di esibire sul petto lo stemma della nostra casa,ora che stai rintanata in quel covo di serpi…
L’eco di uno schiaffo rimbombò nella sala.
-Guarda all’interno di te stesso e scoverai con infinita meraviglia che tu e i tuoi puerili compagni siete la feccia di Hogwarts!
-Il nemico ti ha addestrato bene.- affermò il bel ragazzo moro.
Era livida di rabbia.
-Il nemico che…?!Ah,scusate tanto,-accennò a un inchino-se sono la sola a non essersi resa conto di essere in guerra!Mi chiedo: quando crescerete?-scosse il capo,rassegnata-Siete degli ipocriti.
-Anche tu.
-Vuoi sapere un segreto mio amato cercatore?I pregiudizi non portano in alcun luogo. Non è uno stemma che fa una persona.
Si infilò il cappotto e, prima di sparire, rivelò:
-E non mi sono sentita mai più vera di così.-il suo sguardo si era addolcito,l’ira sbollita,e pareva che lui le facesse pena.
Un ragazzo alto dal viso severo applaudì.
-Complimenti,grande capo dei miei stivali,l’abbiamo persa.- si ritirò nel dormitorio maschile.
L’altro si passò le mani tra i capelli ribelli,pentito della sua scenata,anche se non l’avrebbe ammesso per nulla al mondo.
E questa era una delle sue enormi debolezze.






Note:Ho tradotto Head Girl come rappresentante degli studenti anche se mi rendo conto che non rende giustizia al termine.
Snivellus l’ho lasciato uguale al quinto libro.
Per gli altri cognomi sono arrangiata secondo un personale metro di giudizio.

Dona86
00giovedì 26 febbraio 2004 14:35
§CAPITOLO SECONDO§



Kathleen osservò le gocce di pioggia picchiettare prepotentemente sulla vetrata. I lampi squarciavano il cielo plumbeo e malgrado fossero le tre del pomeriggio,regnava un’oscurità innaturale sulla città.
Lo strombazzare insistente dei clacson,il rombo dei motori delle auto imbottigliate nel traffico arrivavano fino allo studio del suo psicanalista.
Detestava la confusione e la vita frenetica delle metropoli. Purtroppo,però,era lì che risiedeva il suo “medico”. Si diceva che fosse il migliore nel suo campo. Sebbene lei si chiedesse come un perfetto estraneo potesse tentare di analizzare la sua psiche,le paure seppellite nella sua mente,se neanche lei non riusciva a comprenderlo. Melanie aveva obiettato che in ogni caso le sarebbe servito per scacciare via le sue inquietudini , rimastele da quel remoto giorno di novembre in cui l’aveva raccolta dalla strada. Ma in cuor suo Kathleen sapeva che ci sarebbe voluto ben altro che semplici sedute con uno sconosciuto, che cercava di carpire ed interpretare i suoi segreti più nascosti, per sbarazzarsi dei suoi timori.
Il tamburellare della penna sulla scrivania di mogano la fece riconcentrare sul discorso che lo psicanalista,un uomo calvo,viso rubicondo con ispidi baffi biondicci,aveva avviato da pochi minuti.
-Quindi,sarà bene soffermarsi sulle cose che maggiormente turbano il suo inconscio…
Diede una scorsa a una cartelletta di fogli,riflessivo.
-Sogni?
-Nessuno.
Alzò gli occhi indagatori.
-Ne è certa?
Kathleen asserì energicamente.
Charles Smith,questo era il suo nome,la scrutò sospettoso.
-Spariti misteriosi uomini,telefoni che suonano e mondi fiabeschi alquanto al di fuori dell’ordinario?
-Sì.- mentì,evitando il suo sguardo.
Il medico si allontanò dalla poltrona e camminò avanti e indietro per la stanza. Stava attendendo uno sfogo,una confessione.
Inutilmente.
Non si sarebbe confidata. La cura che stava conducendo con lui non le giovava. Si stava rivelando un buco nell’acqua. I suoi incubi erano vividi,simili a quelli dei suoi due anni trascorsi nella clinica psichiatrica. Li aveva di rado,ma di tanto in tanto si insinuavano nel suo pacifico sonno,vincendo l’effetto delle erbe e dei rimedi farmacologici. Alcune volte si destava improvvisamente,il fiatone che era un rantolo rauco,e la testa in fiamme.
-Così non va.- sentenziò il signor Smith,amareggiato.
Kathleen interpretò quell’affermazione come un barlume di speranza.
-Sto bene,dottor Smith,non me lo sto inventando. Sono tredici anni che faccio la spola da uno psicanalista all’altro. Perché lei non molla?Crede di essere all’altezza di risolvere il mio caso?
-Ci provo. Mi ascolti,signorina Davies,lei non può convivere ancora per molto con queste sue assurde fantasie,alla lunga rischiano di renderla pazza,ne è conscia?
La bocca della donna si dischiuse in un sorriso ironico.
-Se non lo sono già.
Lui la fissò sorpreso.
Sulle pupille era disceso un velo di esasperante tristezza.
Con movimenti automatici lasciò cadere le sterline sulla scrivania e prese la via dell’ascensore. L’uomo la rincorse.
-La prego,stavamo giungendo a un punto di svolta,lei non…
Lei aveva spinto il bottone giallo;l’ascensore arrivò.
Lui bloccò con un gomito la porta che si stava richiudendo,il volto contratto in un’espressione implorante.
-Mettiamola in questo modo: per lei sono un soggetto interessante. Probabilmente non le era mai accaduto di avere una paziente come me. Lei mi vuole studiare e non aiutare nel mio disagio.- chiarì diplomaticamente- Non insista,per favore.
Lui ritirò il braccio,borbottò un imbarazzato buonasera,permettendo alla porta della cabina di richiudersi con un *tunc* ovattato.
Tirò un sospiro di sollievo.
Se n’era sbarazzata; non si capacitava. Di solito era la sua anziana benefattrice che intratteneva le sue relazioni con i dottori. In questa occasione lo aveva spedito elegantemente in quel posto senza l’ausilio di nessuno. Era stufa di stare passiva e di essere sballottata di qua e di là,tipo una rara razza di un qualche animale estinto. Ne avrebbe discusso con Melanie che,ad essere schietti,aveva unicamente premura della sua salute e felicità.
7-6-5…i numeri dei piani si illuminavano lesti e lei si trovò a pensare ai suoi incubi notturni. Oltre a qualche flash,il suo inconscio le presentava una scena che negli ultimi giorni aveva sognato di frequente. Un telefono squillava imperterrito in un atrio spazioso con un gigantesco arazzo sulla parete destra. Il ricamo era sfocato e comunque lei badava solamente allo squillare dell’apparecchio. Si avvicinava con un anormale morsa allo stomaco,attanagliata da un panico incontrollabile;afferrava la cornetta. Dall’altro lato del filo c’era un silenzio spettrale per qualche attimo finché delle urla laceranti,sconnesse,strazianti inondavano il timpano del suo orecchio sinistro. Cosa significava? Non era un ricordo…una sua distorsione,può darsi.
La verità era che brancolava nel buio.
Aveva delle immagini che le si susseguivano davanti e non ce la faceva a carpirne la segreta essenza.
Scavare nel passato si sarebbe potuto dimostrare un errore.
Un brivido le percorse la schiena mentre scioglieva l’ombrello dal laccetto in cui era raccolto e lo apriva,immergendosi nella folla caotica che invadeva i marciapiedi di Londra.




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Harry sbirciò contrariato Hermione che stava compilando il questionario assegnato da Vivian per il prossimo martedì.
-Noi pensiamo di disertare le lezioni di Difesa.
-“Noi” chi?- Hermione lo degnò dell’ascolto vagamente seccata.
Harry chiamò a raccolta con un gesto diversi Grifondoro,tra cui Dean Thomas,Seamus Finnigan,Neville Longbottom,Parvati Patil ,Lee Jordan e,naturalmente,Ron Weasley.
-Ah. Avete il mio rispetto.- e tornò a dedicarsi al suo compito.
-Suppongo che tu partecipi alla nostra iniziativa.- la interpellò in una maniera che assomigliava a un comando esplicito.
-La cultura non si disprezza.- decretò placida.
- C-come?
- Harry,sono solo tre mesi. Non ce la fai a resistere dal contestare?
Lui era allucinato.
-Non,cavolo,non capisci che ci sta addestrando?!
-Oh,ragiona,Harry…
-Io sto ragionando!Ha costretto Neville ad eseguire una Maledizione senza Perdono su una farfalla!!!L’ha autorizzato a torturarla!
Si era accorta che il tono di voce dell’amico si stava alterando,stabilì comunque di mantenere la discussione su una linea pacata.
-Non essere ridicolo. Neville è stato in grado di farle il solletico,nonostante Vivian le avesse fornito precise istruzioni. Dubito che riusciremo a fare meglio di lui entro un mese…
-Vuoi soffermarti sul lato umano della faccenda?!-la implorò Ron,esacerbato.
Hermione stava per montare su tutte le furie.
-Sono certa che Vivian Malfoy,a dispetto del cognome che porta, sarà una brava insegnante. Imparare le Arti Oscure non può che esserci di urgente bisogno,per fare questo ci servono oggetti o animali su cui testarle. Nelle lezioni che si terranno questa settimana potremo chiederle di usare degli oggetti per evitare che la sensibilità di qualcuno sia offesa,vi va bene così? Non mi pare il caso di organizzare una sommossa appena iniziata la scuola,e per uno stupido motivo per giunta!
- Hermione,senti,…-tentò di dialogare flebilmente Harry.
-In quanto prefetto, *esigo* che tu non appronta alcun movimento per nuocere al benessere e alla tranquillità della casa. La questione è chiusa.- premette con vigore la penna d’oca sulla pergamena,lordandola d’inchiostro,il volto paonazzo dalla rabbia.
Ron ed Harry la squadrarono inferociti,Ginny,che aveva assistito all’acceso litigio qualche metro di stante,non poté trattenere un sorriso beffardo.




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Suo padre era un Mangiamorte. Ne era consapevole. Come era consapevole del fatto che le decisioni per cui aveva optato nel corso della sua vita non la riguardavano. Quello che le dava fastidio e non sopportava era che qualcuno desse adito a delle insinuazioni in pubblico. Le malelingue si moltiplicavano a macchia d’olio e lei non si fidava che di pochi eletti che,poi,condividevano la sua medesima pena.
Lei non si voleva invischiare. Quella guerra non la sentiva sua,punto. Le motivazioni per cui le due fazioni avverse combattevano le sembravano sterili,risalenti a un’epoca in cui lei non era ancora nata, colme di rancore e di torti subiti. Lo considerava un conflitto personale tra gente che un tempo si era odiata e continuava a nutrire astio senza un valido perché.
La Gazzetta del Profeta l’aveva ribattezzata “La Seconda Guerra contro Colui che non deve essere nominato”; a Vivian pareva maggiormente un conflitto interrotto agli albori degli anni ’80 e ripreso simile a una guerra fredda babbana,con isolati episodi terroristici,deboli focolai destinati a spegnersi con una folata di vento. Aveva la netta sensazione che entrambe le parti si fossero dimenticati degli obiettivi primi e si fronteggiassero più per spirito di rivalsa che per far valere i corrispettivi ideali.
Ringraziava Lucius che non l’aveva mai obbligata ad entrare nella cerchia di sottoposti dell’Oscuro Signore. Non le garbava essere comandata e trattare con deferenza qualcuno a cui lei non doveva nulla. Non le andava di abbassarsi al livello di quel disgustoso leccapiedi di Peter Minus; per lui ogni parola che usciva da quell’imitazione di essere umano con le iridi scarlatte era legge e oro colato all’unisono. Storse il naso,nauseata.
E se si sbagliasse?E se suo padre stesse congetturando di iniziarla all’ordine delle maschere incappucciate?
Scacciò rapidamente il pensiero.
- Vivian,posso scambiare una parola con te?
Christian Zabini,un ragazzo biondo grano con occhi zaffiro,stava ritto davanti a lei con una mano poggiata sulla ringhiera di pietra della terrazza chilometrica che era posta a ridosso della Torre Est, dove lei amava rifugiarsi spesso.
Lei distolse lo sguardo dalla Foresta Proibita, di cui si aveva un’estesa visuale da lì, per concentrarlo su di lui.
Zaini rise.
-Non ti impegni per niente per dimostrarmi una briciola d’affetto,vero?
-Non appenarti,mio caro,convincerò mio padre a rompere il fidanzamento.- gli accarezzò una guancia,la voce suadente- So essere persuasiva,se voglio.
Lui gli afferrò la mano che lo stava carezzando di botto.
-Sei una vipera.
Lei si liberò dalla stretta con nonchalance.
-Non sapevo che ti accorassi in tal modo per questa situazione,mi reputi già una tua proprietà?
-No,però…
-Non sei qui per una visita di cortesia o sono in errore?
Lui si guardò intorno,circospetto. Non erano molti gli abitanti di Hogwarts che si spingevano sulla terrazza,specialmente in quella stagione.
-Non mi piace questo clima. Pattuglie di Auror che ispezionano centimetro per centimetro il castello,ogni singolo granello di polvere. Mi sento soffocare.
Non esagerava, ne era cosciente. Ma,conoscendolo, riteneva che quello sfogo avesse un intento mirato.
-Ci sono state tre ispezioni nella nostra casa.
-E…?
- Bè,tu eri stata informata,potevi…
- …evitarle?- scuotè la testa,incredula- Cosa credi che sia?Onnipotente?
Lui era nervoso,guardingo.
Ad un tratto capì.
-Misture illegali?
-Sì.
Lei roteò gli occhi.
-Ti avevo raccomandato di sbarazzartene.- provò disperatamente di conservare un tono calmo- Le hanno trovate?
-Non ancora.
-Liberatene il prima possibile,non vorrai comprometterti?
Lui rimase muto. C’era dell’altro,oh,si!
-A meno che non li colga il sospetto che qualche allievo all’interno di Hogwarts non sia uno di loro.- lui non riusciva a guardarla negli occhi,lo aveva punto sul vivo.
-Un figlio ribelle…A quanto so, tuo padre non lo era. Prega che non incomincino a controllare le braccia. Scommetto che ultimamente il tatuaggio non sia restato una nera chiazza sbiadita.
-Non credo che giungano a questo punto.- valutò Christian.
-Non sarebbe uno spettacolo piacevole per Blaise. Il fratello, che emula con ogni sua fibra, un Mangiamorte. Nz,nz!-agitò l’indice a ridotta distanza dal suo naso affilato- Chris,non è la tua guerra.
-Posso dare una mano.- obiettò.
-Ma se si scannano tra di loro a momenti?!- si indignò Vivian- Apri quei maledetti occhi,Chris, questa guerra non ci appartiene.
-Non mi convincerai a cambiare opinione.- le fece presente,irremovibile.
-E chi lo vuole, Chris? Sei tu che rischi la vita per una causa non tua,non io.
-Mi coprirai?
Lei si stava avviando alla rampa di ripide scalette che erano il mezzo per accedere alla terrazza.
-Implora i numi che non ti scoprano.- disse cruda.




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Quella visione lo tormentava.
Disteso sul letto, si passava le dita tra le ciocche con inquietudine. Era letteralmente roso dalla gelosia.
Come aveva osato baciarlo,baciare quel…!Il sangue gli ribolliva nelle vene dall’ira. Assestò con impeto un pugno al materasso.
Se lo sarebbe dovuto immaginare. Era il suo rivale e il solo che lo avesse vinto superbamente a Quidditch,in quattro o cinque partite da cancellare dalla memoria.
Il cielo si stava schiarendo; un delicato rosa mattutino dipingeva la volta celeste.
Non avrebbe dovuto seguirla quella notte,impicciarsi della sua vita privata. Eppure aveva assecondato la vocina ronzante e pertinace che gli intimava di pedinarla per una buona causa: salvarla. Oh, ma era al corrente che l’egoismo allo stato puro l’aveva guidato giù per il cortile per ricevere la meritata pugnalata al cuore. Era caduta nelle sue grinfie,e lui aveva le mani legate.
Benché avesse preso coscienza delle circostanze,non era disposto a passarci sopra.
Perché ha scelto lui e non me?,era questa la domanda con cui si arrovellava il cervello.
Non se la sarebbe cavata liscia quell’ “aristocratico” del cavolo che fondamentalmente era uno smaccato mezzosangue!
Lanciò via le coperte furiosamente.
Questo era un affronto a lui,ai Grifondoro e a chiunque con un principio di buon senso!
Non poteva non muoversi. Se quella storia fosse circolata e,di conseguenza , diventata di dominio pubblico,lui non sarebbe stato più capace di mettere piede nella Sala Grande.
Abbrancò il diario scolastico. Non gli sarebbe scappato la prossima lezione di Erbologia.
Sogghignò.
Quella lasciva avrebbe pagato salato i baci che gli aveva donato in quell’angolo buio del castello,quel lontano pomeriggio del sesto anno.
Un misto di paura ed eccitazione si era impadronito di lui : il suo avversario non era un consueto cretinetto del secondo o del terzo,che lui maltrattava per noia. Era uno alla sua altezza. I suoi occhi lampeggiarono; può darsi che gli fosse superiore se c’era da dare credito ai pettegolezzi che giravano sul suo conto. Non gli interessava. Le sfide erano la sua passione.
Una cosa era attestata: non ci sarebbe stato verso per riportarlo sui suoi passi.




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Delle risatine sommesse le punzecchiarono le orecchie,come delle vespe insolenti.
Ah,erano loro,notò avvelenata. Le ragazze dei pezzi grossi, o comunque quelli che contavano qualcosa. Ed eccola la traditrice,capelli fiammeggianti,avanzare ridendo e scherzando nella sala con la sua zuccherosa e dalle curve morbide amica dai riccioli cremisi. Mancava all’appello una, si accorse tediata.
Gli fece posto con un sorriso meccanico impresso sulla faccia.
-Grazie.
-Di niente.
Era preferibile essere cordiali e remissivi con quelle,e non fargli intendere quello che realmente pensavi.
Quella che le stava accanto era sinceramente detestabile e la repelleva all’inverosimile. Era una persona decisa,sicura di sé, con un sano pizzico di ambizione ed infarciva il tutto con una dolcezza ed un rispetto con cui trattava ognuno,dal professore all’elfo domestico più abietto, estenuanti. Secondo lei, quella era una scorza. Quelli erano aspetti del suo carattere che mostrava alla gente,poteva anche darsi che in privato fosse totalmente l’opposto. Oh,sì che lo era!Sennò, come si spiegavano le compagnie che frequentava. Oscuri astri incombevano sul suo segno.
Sfogliò isterica il libro.
Per non contare che colui al quale cercava da tre anni di strappare un invito al Ballo del Ceppo,adesso era il suo fidanzato. Grrrr!
Sollevò gli occhi indispettita.
-Che c’è?- domandò sorridente.
-Ah…nulla.- le rispose fioca.
Un scalpiccio frettoloso, che diventava sempre più nitido,risuonò nel largo corridoio che si affacciava per metà sulle scale incantate.
Una ragazza dalla chioma dorata,le iridi cerulee e la pelle d’alabastro apparve sulla soglia. Aveva l’affanno e un’espressione sconvolta.
-Ciao!-la salutò giovialmente la riccia.
Il prefetto dei Grifondoro la osservò,perplessa.
Alla bionda non ci volle tanto per appurare che si era guadagnata le occhiate incuriosite del folto gruppo di persone che fino ad un attimo prima stava svolgendo serenamente i suoi compiti. Alzò il mento altezzosa,come a dire “cosa avete da guardare?!”.
Diversi ritornarono velocemente ai loro doveri.
Lei esortò il prefetto ad avvicinarsi,e quest’ultima rilevò che pur se conservava un moderato controllo,i suoi occhi emanavano una paura indicibile ed erano spiritati.
-Che è successo?
-Si tratta del Capitando della vostra squadra di Quidditch…-la informò,ansando.
-Cosa vuoi che me ne fre…
-…e del tuo ragazzo.
La rossa sbiancò,percependo del freddo allo stomaco.
- D-dove sono?-riuscì ad articolare.
-Nella zona delle serre. Non ho idea del perché ce l’abbia con lui, ha sbraitato qualcosa sulla mescolanza delle case; ho fiutato guai imminenti e mi sono precipitata qui…Ehi,no,aspetta!
La sua interlocutrice si era fiondata a precipizio giù per le scale. Una di quelle in cui si trovava l’informatrice si mosse con un cupo *CLUNC*.
-Non essere avventata-ata-ata!!!- strillò alla ragazza cinque metri più sotto, ma l’eco della sua voce si perse nel vuoto.





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Un tipo passionale quello scarmigliato che gli era di fronte e che stringeva convulsamente la sua bacchetta, ansioso di usarla su di lui.
Cosa stava blaterando?
Alzò un sopracciglio.
-Hai capito,serpe?
Si che aveva capito. Aveva capito che lui quella notte li aveva spiati e aveva violato la loro intimità. Spettava a lui gridare ed inveirgli contro,non il contrario. Tuttavia,rimase quieto e concesse che si delineasse sulle sue labbra un sorrisetto sarcastico. Gli sembrava un pagliaccio quel suo coetaneo. Forse ad essere il più popolare della scuola equivaleva ad essere il più stupido?
Era patetico. Combatteva una battaglia in cui era già stato sconfitto,ciononostante si aggrappava con le unghie e con i denti al suo piccolo mondo perfetto,e allorché qualcuno sgarrasse, si ostinava a volerlo recuperare e a rimetterlo nel ruolo che occupava nella sua ristretta dimensione. Era addirittura comico nel tentativo disperato di salvare una ragazza che non l’amava e lo ripugnava.
Non era lì per discutere,lo sapeva benissimo. Voleva un confronto. Uno scontro fra leoni per accaparrarsi la femmina. Gli riservò uno sguardo sprezzante. Non sarebbe calato così in basso. Silente lo marcava stretto insieme ai suoi amici, sicuramente quel ficcanaso stava scrutando la scena, nascosto da qualche parte. No,decisamente non gli avrebbe reso pan per focaccia. Quanto al suo avversario,che non si preoccupasse, gli avrebbe dato il ben servito all’esterno di quelle quattro mura.
Fece per andarsene e accennò ai suoi compagni di fare altrettanto.
Stava per aprirsi un valico tra il modesto gruppetto di curiosi che gli si era radunato attorno,quando l’altro lo costrinse a fermarsi con queste parole:
-I tuoi tirapiedi sanno che hai il sangue sporco? Che sei un mezzosangue?Io penso di no. Sei un falso.
Tutti trattennero il fiato. Il rappresentante d’istituto era generalmente uno mite e perfettamente disciplinato, malgrado ciò sono proprio quelli i tipi imprevedibili.
Il cuore gli sanguinava per l’infinita vergogna e l’angoscia che il suo accusatore aveva risvegliato in lui.
Si voltò,furente: gli occhi induriti,la mascella contratta, la bacchetta in bella mostra.
Il Grifondoro indietreggiò,constatò troppo tardi che aveva superato il limite.
- Come-hai-detto?- scandì,il tono lieve in grado,però,di ferire le orecchie.
Il ragazzo castano abbandonò l’esitazione che l’aveva sorpreso qualche secondo precedente. Sfoderò la bacchetta.
-Mezzo-sangue. –gli ripeté.
Erano all’apice della tensione.
Le verghe sfrigolarono.
-A…
- Noooooo!!!
Una favilla infuocata fendette la massa di gente che in una manciata di tempo si era assiepata intorno ai duellanti. Era una ragazza,che senza riacquistare il respiro,urlò a squarciagola:
-EXPELLIARMUS!
In un nanosecondo le bacchette volarono nella mano destra della rossa. Le sfuggì una smorfia di dolore.
-Li…
Incontrò il suo sguardo ed il capitano si sentì l’essere più infimo dell’intero globo terrestre. Non l’avrebbe perdonato. Se fino a quel giorno lo aveva a malapena tollerato,ora l’avrebbe classificato meno di zero e sarebbe stato invisibile per lei.
Albus Silente arrivò,trafelato. Subito gli studenti gli fecero spazio. Ci fu un breve scambio d’occhiate tra lui e il Serpeverde.
Il prefetto della casa dei Grifoni procedette verso l’insegnante e gli porse le bacchette,le pupille sul percorso acciottolato che guidava alle varie serre, le labbra serrate. Celò la mano nel risvolto della manica. Silente la squadrò,interrogativo.
-I punto accumulati da Grifondoro e da Serpeverde sinora saranno tolti.- mormorò,abbastanza comunque da farsi udire dai due coinvolti.
Rientrò ad Hogwarts,non degnando alcuno di uno sguardo.
Silente esaminò con sollecitudine le verghe.
Erano imbevute di sangue.
Si rese conto con raccapriccio che se lei non li avesse disarmati,i duellanti si sarebbero scagliati,privi di qualsiasi remora,l’unica irreversibile tra le Maledizioni senza Perdono: l’Avada Kedavra.




Dona86
00giovedì 26 febbraio 2004 14:38
§CAPITOLO TERZO§



Sorseggiava il suo Queen Mary, placidamente seduta al tavolo dei Serpeverde,estraniata dal resto dei suoi compagni. Scostò stancamente il giornale che le aveva consegnato la sua aquila.
“SMENTITA LA NOTIZIA SULLA PRESUNTA SCOPERTA DEL QUARTIERE GENERALE DEI MANGIAMORTE: ERA UN VECCHIO PALAZZO BABBANO IN ROVINA”…Credevano di scovarli così facilmente?Neanche suo padre le aveva svelato la sua ubicazione. Quelli del Ministero erano un branco di incompetenti. Avanti di quel passo la sua stessa struttura si sarebbe sfaldata a poco a poco,sarebbero andati verso la rovina. E era ciò che Voldemort voleva.
Freya mescolò il caffè con il cucchiaino,posizionò il dorso della mano sotto il mento,e le appiccicò il suo sguardo malizioso addosso:
-Nessun risvolto piccante con Chris?
Vivian inarcò un sopracciglio.
-Come?-fece finta di non capire.
Freya spalancò i suoi occhi di ossidiana,meravigliata.
-Spezzerai il fidanzamento?
La strega assentì.
-Oh.- pareva dispiaciuta,comunque non demorse- Mi sembravate una coppia che poteva funzionare,lui è un tipo a posto,proprio quello che ti ci vuole per dimenticare…
-Morditi la lingua,tesoro.- la gelò.
Freya si mangiucchiò un’unghia. Non si faceva intimorire dalle risposte brusche che a volte Vivian le riservava,ma era al corrente di quanto fosse delicato il solo menzionare l’argomento “ragazzi” con lei. Quindi,decise di tagliarsi una fetta di torta di mele e di accondiscendere tacitamente alla volontà dell’amica.
Il tintinnio di un cucchiaino d’argento sulla fine coppa di cristallo colma di idromele richiamò l’attenzione delle insonnolite tavolate. Silente era in piedi,dietro alla tavola degli insegnanti.
- Miei cari studenti, ho ritenuto che la sicurezza non sia mai abbastanza. Di conseguenza, ho invitato gentilmente qui nella nostra scuola una nuova unità di Auror- un nutrito gruppo di persone con larghi mantelli blu notte si mostrò alla sala-Sono, inoltre, fiero di comunicarvi che al comando di questi vostri protettori c’è un allievo che è uscito soltanto tre anni fa da Hogwarts,tra l’altro con i migliori voti in Difesa contro le Arti Oscure e Incantesimi,nonché superbo portiere dei Falmouth Falcons e un tempo dei Grifondoro.- gli Auror lo spintonarono scherzando al centro del palco,dove stavano consumando la colazione i professori e lei lo vide: alto, cresciuto, un uomo rispetto al ragazzo esuberante ed esageratamente focoso che aveva lasciato Hogwarts.
- Oliver Wood!
La sala fu uno scoppio di applausi,soprattutto da parte degli scolari più anziani che ricordavano la nomea di Oliver.
Lui sorrise,lievemente impacciato e fu in quell’istante che i loro occhi vennero in contatto e quello che lei percepì le provocò un battito in meno. I suoi occhi,i suoi dolci occhi nocciola,erano pervasi da un rancore abissale e da un’ostilità indescrivibile…ed erano diretti verso di lei. Lui distolse lo sguardo,sprezzante.
Perché? Perché quell’occhiata?Non doveva essere lei a comportarsi in tal modo?Avvampò e si tirò improvvisamente su a sedere.
- Vivian!-esclamò Freya,stralunata.
La ragazza non udiva l’amica,ne si accorgeva di alcuni allievi che la stavano scrutando con interesse,attirati dal suo scatto inaspettato. Non poteva restare un attimo di troppo. Prese il suo fascio di libri e disparve all’interno di una pesante porta di quercia.



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Oliver Wood.
Le sembrava ormai una memoria lontana…ed adesso cosa era accaduto? Se lo era visto piombare tra capo e collo sul palco della Sala Grande con un sorrisone in faccia,manco fosse l’uomo più felice della terra! Magari si era anche divertito a burlarsi di lei alle sue spalle,per quanto ne sapesse.
No,si doveva dare una calmata, il battito cardiaco aveva un ritmo spropositatamente veloce.
SPRANG,SBAM!
Si rannicchiò su una poltrona,il salotto dei Serpeverde deserto. Non gli importava se qualcuno l’avesse sbirciata in quello stato,era talmente immersa nei suoi turbinosi pensieri che non si sarebbe avveduta di eventuali spettatori indiscreti.
Quanti anni erano trascorsi da che aveva abbandonato il Quidditch in qualità di cercatrice?Due?Tre?Probabilmente tre. Dal momento in cui i Grifondoro avevano vinto la Coppa del Quidditch. C’erano state poche occasioni di sostituire il fratello in campo da quando aveva assunto il ruolo di primo cercatore della squadra, però ,in fondo, era sta un’ottima soluzione. A quell’epoca trovarsi nella medesima partita con Oliver come avversario la faceva agitare,sudare le mani, causare delle leggere trafitture allo stomaco,e assumere un colorito che la rapportava ad un rosso peperone. All’inizio era una semplice cotta adolescenziale,o almeno lei così pensava,che gradualmente si era rivelata un qualcosa di più. Il problema era che nelle questioni amorose si dimostrava una timida e un’imbranata cronica e la inorridiva la sola stesura di una lettera per il suo amato. Le pareva irraggiungibile il suo capitano,ma suo padre le aveva insegnato che per ottenere quello che si desidera bisogna essere disposti ad adoperare tutti i mezzi possibili. E lei lo fece. Entrò in simpatia con delle ragazze della squadra dei leoni alati e nel giro di un paio di settimane era riuscita a farsi presentare Oliver Wood. Il loro rapporto non oltrepassò i confini dell’amicizia, la considerava nient’altro che una bambina,al massimo ragazzina, però Vivian aveva subodorato che,in alcune occasioni, tentava sempre di non sbilanciarsi il più del dovuto,di rimanere ad una certa distanza da lei. Quando comprese che era amore, sfortunatamente era tardi. Lui era già partito per Londra,terminato il settimo anno scolastico. Voleva essere accettato nei Falmouth Falcons e ce l’aveva fatta. Si erano promessi di scriversi ed in un primo tempo l’afflusso di missive fu numeroso, per poi diradarsi ed infine smettere definitivamente.
L’aveva odiato per questo e non solo: per averla trattata da mocciosa finché non se ne era trovato innamorato nel mentre in cui stava impacchettando le sue cose,per non averle donato speranze o parole di conforto sul loro futuro, per non averla illusa.
E adesso lo odiava ancora con maggior risentimento ed era costretta a provare un astio viscerale nei suoi confronti per quello sguardo di livore ingiustificato che le aveva rivolto nella Sala Grande e perché…era un Auror. Dei,aveva sospeso la sua carriera sportiva per quello!
Incominciava gradatamente a rendersi conto del modo in cui la sua parziale indifferenza agli eventi stesse crollando.
Ripeté mentalmente la parola.
Auror.
Fu colta dal panico. E se lui sospettava che fosse una Mangiamorte?
Questo avrebbe spiegato il suo atteggiamento. Eppure…eppure Oliver non era persona da avere preconcetti sulla gente. Che cosa aveva innescato in lui quella reazione e cosa lo aveva spinto,in conclusiva, a schierarsi da una parte?Stava per essere promosso capitano nei Falmouth Falcons,per quale motivo aveva deviato il suo percorso,intraprendendone uno diverso?
Ma in definitiva ciò di cui Vivian aveva più timore era che presto pure lei sarebbe stata obbligata a mollare la sua proverbiale noncuranza agli avvenimenti. Un brivido le attraversò la schiena.
Per la prima volta nella sua vita veniva situata davanti a un bivio. Niente sotterfugi o sentieri agevoli. Solamente lei e quelle due strade.
-A quanto sembra devo acquisire il tuo permesso per setacciare la casa dei Serpeverde.-la riportò alla realtà la voce diplomatica di Oliver alla sua sinistra. Silente non aveva esitato nel sguinzagliarli immediatamente.
Lei tentò concitatamente di ricomporsi,accavallando le sottili e tornite gambe che la gonna a pieghe della divisa lasciava intravedere e squadrandolo con il cipiglio di sfida che era il cavallo di battaglia dei Malfoy da generazioni.
-Non hai l’autorizzazione del preside?
-Sì,ma non posso presentarmi d’improvviso ,terrorizzando i cari membri di questa casa. Devi dirmi tu l’orario di riferimento in cui il dormitorio e la sala comune sono vuoti.
-Non ti pare vagamente di ripeterti?-gli chiese con una vena di irritazione.
-Scusa?
-Intendo il presentarti all’improvviso. Già fatto,grazie.- gli chiarì stizzosamente.
-Non sono qui per ascoltare le tue battutine velenose.
-E allora fuori di qui!-ruggì,irata.
Lui irruppe in una risata.
-Dovresti piantarla di atteggiarti ad una principessa a cui tutto è dovuto e che considera Hogwarts come un suo secondo castello!-la rimproverò,spietato.
Lei divenne verde di bile. Perché,per quale ragione riusciva a tastare i suoi nervi più sensibili? Lei che reputava di aver reso dell’autocontrollo un’istituzione. La mandava letteralmente in bestia.
-Se non esci subito da qui…
- Che mi fai,eh? Mi scagli una Maledizione senza Perdono?
Che bambino. Certi uomini hanno proprio la crescita ritardata. Non gli era passato nemmeno per l’anticamera del cervello che aveva ridotto a brandelli quel suo muscolo che ora batteva simile a un tamburo nel suo petto?
Evidentemente no.
-Venite nella fascia oraria tra le sette e mezza e le nove.- gli comunicò sbrigativamente e si voltò,il discorso per lei era chiuso.
Stava attendendo che lui se ne andasse e,invece, le pose a bruciapelo questa domanda,che lui giudicava retorica:
-Ti credi migliore di me,vero?
Essa rimase sospesa nell’aria umida dei sotterranei,scottante per colei a cui era stata indirizzata.
Oliver non si aspettava una risposta e scomparve nel portale di ferro decorato con due grossi cobra intrecciati.
Delle lacrime bagnarono l’acca argentata della divisa di Vivian.




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Melanie stava rovistando tra le cianfrusaglie del suo vecchio cassettone.
Diamine,dov’era?
Era sicura di averla riposta lì.
Ah,può darsi…Aprì un cofanetto turchese. Eccola finalmente!
La estrasse delicatamente. Era una collana d’oro bianco sobria con un ciondolo alquanto insolito: rappresentava un giglio con una biscia attorcigliata allo stelo del fiore.
Melanie inforcò gli occhiali che erano appesi al collo da una catenella dorata. Bizzarro. Molto bizzarro.
Quella collana la indossava Kathleen nel giorno in cui l’aveva scoperta nella brughiera,vicino Land’s End. Era davvero strano che l’avesse lei,una donna che giaceva piuttosto malridotta in mezzo ai cespugli d’erba. Era costosa ed esageratamente raffinata per una ragazza dai vestiti laceri e le unghie incrostate di terra.
Era priva di sensi,povera bambina,quando l’aveva notata,distesa su quei morbidi cuscini erbosi,il viso esausto. Allorché si era svegliata in ospedale l’anziana signora le aveva raccontato che l’aveva raccolta per strada. Non sapeva la causa per cui l’aveva fatto. Forse perché la sua identità era sconosciuta,non si possedeva alcuna fotografia,documento su di lei oppure, semplicemente,perché non aveva sperimentato la gioia di una figlia e suo marito Herbert era morto prematuramente.
L’avevano imbottita di farmaci,calmanti. Strillava fino a quasi farsi uscire l’anima dal corpo. Frasi sconnesse su dei tizi chiamati Mangiamorte e c’era un nome che ridiceva con ostinata insistenza…Com’era?
Accidenti alla vecchiaia.
L’aveva farfugliato,estenuata,così spesso.
Il suo,al contrario,non se lo ricordava. Il medico della clinica le aveva riferito che gli venivano in mente degli episodi specifici del passato e modestamente reputavano che anche in quel caso si trattasse di vaneggiamenti.
Le suggerirono l’ospedale psichiatrico. Melanie si rifiutò; nonostante questo la informarono che se voleva riabilitarla non esistevano maniere differenti. Lei,onestamente, non pensava a cosa ci fosse di peggio per una persona spaurita e che versava in una condizione pietosa come Kathleen di quel posto dimenticato da Dio.
Si toccò il crocefissetto in legno che pendeva dal collo.
Un luogo straziante e opprimente da togliere il respiro. Lì provarono a convincere Kathleen che quelle che la sua testa le mostrava erano menzogne, elaborate per scappare dalla realtà della vita. I maghi proliferavano soltanto nella carta di qualche libro per bambini e le sue erano fantasticherie ben studiate.
Melanie guardava i dottori con la fronte corrugata e profondamente impressionata dalle occhiate imploranti della sua protetta.
Fu lei a rassegnarsi. Può darsi per il fatto che aveva capito che non avrebbe infilato il naso fuori da lì unicamente quando avrebbe ammesso di soffrire di una sorta di schizofrenia.
Riconobbe di essersi inventata tutto e per i motivi che soddisfacevano la diagnosi dei medici.
Da quell’attimo represse una parte di lei,che mano a mano si spense definitivamente. E il suo sguardo cambiò,divenendo velato e malinconico. Aveva addormentato il suo lato combattivo, quello che saltuariamente morsicava le braccia degli inservienti nelle sue crisi più acute,durante le quali gridava,quello che le consentiva di tenerla salda sulle sue posizioni allorché gli specialisti volevano persuaderla dal mantenerle.
Quella che Melanie aveva imparato a conoscere non era la vera Kathleen. Per accettare quella situazione si era completamente autoannullata. Non era giusto,ma d’altronde come si sarebbe dovuta comportare?
L’aveva chiamata Kathleen di comune accordo con lei. Aveva un suono melodico,e secondo la sua opinione,ottimo per ricominciare una nuova esistenza che sarebbe stata,lei ci metteva la mano sul fuoco,migliore della precedente.
Prese uno straccio che aveva depositato sopra al cassettone e lucidò con cautela il ciondolo.
Lanciò un gridolino e gettò sul pavimento la collana.
Quel medaglione era stato sul punto di arrostirgli un dito.
- Mel? C’è qualcosa che non va?- Kathleen si affacciò alla porta della camera da letto dell’anziana,in apprensione.
- No,ci vuole un po’ di acqua fredda,ecco tutto,Kathy.
La donna si accorse della collana sul parquet.
La vecchia non fece in fretta a riafferrarlo che lei lo aveva già nel palmo della mano.
- Cos’è?
-Oh,una sciocchezza,cara,che mi regalò mio marito Herbert all’epoca del nostro fidanzamento.- sorrise,simulando un tono schietto.
- Mi sembra familiare…-lo stava contemplando,nello sforzo di rimembrare dove lo avesse visto.
Melanie si accorse con orrore che benché scintillasse ancora di luce propria, il ciondolo non bruciava affatto Kathleen.
- Te lo regalo.
- Ma te l’ha dato…- protestò.
- Credo che sia più adatto a te…e chissà che un giorno non ti ritorni utile?- ipotizzò.
Lei ristette per qualche secondo,perplessa; in seguito la ringraziò e scese nel salotto del piano terra.
Melanie si sciacquò il dito incriminato nel lavandino dell’angusto bagno azzurro della sua camera.
E se non fossero state delle menzogne quelle sulla magia?



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Gli oggetti presenti nella sua stanza vorticavano senza sosta.
No,non doveva nuovamente svenire.
Se fosse successo,non se lo sarebbe perdonato.
Afferrò spasmodicamente lo spigolo del tavolo. NON cedere.
Lo spalancarsi della porta la fece sobbalzare. Riservò un’occhiata rabbiosa all’intruso,non le importava chi fosse…
- Narcissa?
Nell’entrata si ergeva una giovane altera,i biondi capelli sciolti sulle spalle,con alcune ciocche imbrigliate in trecce occasionali. Evitò di scrutare i suoi occhi. Il rischio era che potesse tradirsi.
Narcissa avanzò verso di lei con un vassoio completo di una caraffa d’acqua,delle fette di pane burroso e un piatto di roast-beef,poggiandolo su un tavolinetto da tè.
Si sedette sul letto e incrociò le braccia.
- E’ una settimana che ti dai malata e tre giorni che non mangi nulla.
Aveva esordito pacatamente,però la conosceva troppo bene, quella non era un’innocua constatazione. Aveva fiutato qualche cosa,non era una donna stupida. Si risolse in ogni caso di continuare con la sua copertura.
- Disturbi di stomaco.- spiegò, perseverando nel fissare un punto imprecisato del pavimento.
- Vuoi che rida? Non sei divertente. Non ti reggi in piedi e fai del sarcasmo?- l’apostrofò con inattesa crudezza.
Narcissa proiettò le sue iridi zaffiro sul viso pallido dell’altra,osservò lo smeraldo dei suoi occhi. Si fissarono per un singolo minuto,ma bastò per confermare i sospetti del’amica.
Era sconvolta. Perché non gliel’aveva detto? L’avrebbe potuta aiutare ad abortire…Sospirò.
-Da quando dura?
Lei sussurrò,riluttante:
-Più di due mesi.
-Due mesi?-rise,isterica-E per quanto me l’avresti tenuto nascosto?
La donna si guardò intorno, accorta, ignorando il quesito.
- C’è dell’altro? Perché c’è,giusto?-la squadrò,incredula.
Lei le diede le spalle,fingendo di essere interessata al paesaggio che si ammirava dal finestrone.
-No,solo questo.
Sì,davvero non le aveva confidato tutto. Non sarebbe finita lì. Comunque, adesso quello che l’angustiava oltre misura era la questione del bambino: doveva prendere le redini della faccenda. Era suo il compito di confondere le carte,far sì che nessuno dei loro “compagni” indagasse sulla causa dei malesseri della sua amica, specialmente l’uomo di quest’ultima. Quello rappresentava l’estremo pericolo,decretò raggelando in una fitta di terrore.
Narcissa scivolò accanto alla donna e la costrinse a guardarla negli occhi,stringendole le mani nelle sue.
- Promettimi che mangerai.- la pregò- O lo perderai questo bambino.
- Io…- le si spezzò la voce. Era stufa,stremata dall’ostentare quella sicurezza che in verità non possedeva. Era fragile,simile a cristallo. Quel bambino non si sarebbe dovuto formare…no,no,che andava a pensare?Per gli Dei, ogni giorno si chiedeva se quello non fosse niente di meno che un incubo e lei si sarebbe destata tra qualche istante per scoprire con sollievo che lui dormiva vicino a lei,sereno,la vita che nasceva nel suo grembo soltanto una sensazione distorta. Invece la realtà era più cupa di un normale incubo e la stava divorando inesorabilmente,distruggendo quello che era e ciò in cui credeva.
E si sentì in colpa.
Perché non aveva descritto a una delle sue migliori amiche in che modo stavano sul serio le cose. Non gliel’avrebbe potuto dire,infatti molto presto non l’avrebbe più rivista.
O Merlino,per quale motivo si erano spinti sino a quel punto? Il cambiamento radicale era imminente,dopodiché lei non avrebbe potuto fare dietro-front.
Il suo pensiero andò a lui.
L’aveva amato con trasporto, era stata la prima a seguirlo e …sarebbe stata la prima a fregarlo.
Pianse,versò lacrime fino allo sfinimento,rovinando la veste di broccato di Narcissa.
Si era consegnata al nemico e aveva decretato la loro sconfitta.



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Il tradimento è un insignificante biscia che si annida in ciascun essere umano e vi rimane latente sino all’istante in cui qualche pulsione esterna o sconvolgimento interno lo risveglia. Allora la biscia dapprima muta impercettibilmente,in seguito repentinamente in un serpente a sonagli dalle fauci affilate e la velenosa lingua biforcuta,pronto a mordere quando meno te lo immagini.
Ti coglie impreparato, ciononostante devi farci i conti. Non esiste un qualche antidoto che contrasti il suo veleno che paralizza lentamente gli apparati del tuo organismo. La paura si diffonde; in un certo senso è come se un po’ tutti ne fossero contagiati.
A quel punto che fai?
Si sentiva incorporeo, tipo se vedesse la scena dall’alto e si autoassicurasse di essere in un sogno.
La lettera era nelle sue mani,anche se non la percepiva al tatto per quanto era costernato e scioccato.
Il tempo scorreva pigramente, a rallenty.

“Caro Amore mio,
me ne sono andata. Questa è una guerra inutile e voglio metterci la parola “basta”. Non si può pretendere di ricostruire un sistema se le persone che ne fanno parte non cambiano. Non cercarmi.”

Una stilettata nel petto.
La ferita che gli aveva provocato si stava rivelando di una penosità di gran lunga insostenibile rispetto a una fisica.
La lettera non l’aveva scritta lei,era stata confezionata da diverso pugno,tuttavia,se possibile,lo addolorava maggiormente. Testimoniava che la sua donna non era capace di affrontarlo faccia a faccia. Perché l’aveva tradito? Qual era stato quel meccanismo che aveva dato il via in lei a una tale risoluzione?
Ridusse in frammenti la carta da lettere.
“me ne sono andata”
Chi volevano prendere in giro?
Chissà in quale modo quegli uccelli di fuoco l’avevano ammaliata? Non era una che scendeva con facilità al compromesso.
No,ci doveva essere una giustificazione di fondo. Era una persona che si scoraggiava raramente.
C’era qualche affare di cui non era al corrente?
L’aveva guardata avviarsi nell’atrio del quartier generale insieme agli altri,dedicandogli un sorriso. Non il consueto,delizioso sorriso,ma uno pieno di amarezza.
Capeggiava due squadre quella sera e le avrebbe condotte incontro alla morte o Azkaban. E lui era lì,impotente,non era in grado di muovere un muscolo.
Chi le aveva fatto questo?
Chi l’aveva persuasa a passare alla linea avversaria?
CHI?
Sentì che sarebbe impazzito se non avesse saputo le ragioni per le quali lei si era affidata alla parte avversa.
Doveva trovarla.
Era imperativo.






Dona86
00giovedì 26 febbraio 2004 14:40
§CAPITOLO QUARTO§


Uno squillo.
Ancora.
Incessante.
Sollevò la cornetta,alterata.
-Pronto!
Era più un’esclamazione che una domanda.
Eccole.
Urla.
Urla che le perforavano i timpani.
-Cosa volete da me?!-chiese piangente,le dita premute sulla bocca.
Non l’ascoltavano.
Continuavano,incuranti e implacabili.
Sbatté con furia il ricevitore.
L’atrio intorno a lei si dissolse.
Una strada.
Le macchine sembravano non vederla. Tentò di mettere a fuoco il luogo,ma non fece in tempo.
Era in un soggiorno.
Conserve e servizi di piatti all’interno di una credenza a destra;vicino all’ingresso,un tavolo di legno al centro con sopra una crostata di fragole intatta;a sinistra una TV spenta.
Dov’erano andate le persone?
Uno spostamento d’aria.
Una donna di mezz’età la fissava,sorridente.
Ebbe una strana sensazione,le pareva già di conoscerla,la sua fisionomia le era familiare. Com’era possibile?
-Sei in ritardo.- la sua voce veniva da lontano e si rese conto che adesso la guardava in malo modo. Si approssimò a lei e le mormorò allarmata:
-Forse è meglio che tu ti reca di sopra.
Il labbro della donna si spaccò,colando sangue.
Lei si scostò atterrita.
Che…?!
L’altra inclinò la testa.
-Fai presto!-la incitò, il sangue che le si spandeva sugli indumenti.
Fuggì. Lentamente,tipo se avesse dei macigni a sostituzione dei piedi.
Ora era nel corridoio: vi regnava una quiete tombale. Le sue gambe non rispondevano più ai suoi comandi,restavano immobili,come se avvertissero anche loro il sentore di pericolo che si era impadronito di lei.
Malgrado ciò,DOVEVA procedere.
Ad ogni gradino che saliva percepiva stringersi il cuore sempre più acutamente e il respiro era irregolare.
Dopo un periodo che le parve interminabile,arrivò alla cima della rampata e notò una porta bianca aperta in fondo alla sua sinistra,il resto del pianerottolo immerso nell’oscurità.
Si affacciò sull’uscio e le mancò l’aria.
Dalle pareti molestamente candide della camera da letto scendeva una pioggia di un liquido carminio e immediatamente sottostanti, si trovavano due cadaveri scomposti,le pupille dilatate,le bocche tese in una smorfia penosa.
Erano un uomo e una donna,quest’ultima era la medesima in cui si era imbattuta nel soggiorno.
Kathleen si portò le mani ai capelli e gridò,uno strido roco e disperato.


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Si destò di botto,il suo fiato ridotto a un rantolo,drizzandosi repentinamente a sedere sul letto.
Si coprì la bocca con le mani.
Un conato.
Si precipitò in bagno e vomitò sino all’esaurimento.
No,quello non era semplicemente un incubo.
Tirò lo sciacquone e si poggiò alle fredde mattonelle.
Si sentiva sfibrata ed era certa che per quella notte il sonno non sarebbe tornato.
Non poteva continuare così in eterno.
Le lacrime le si formarono spontanee,pizzicandole gli occhi.
-Basta,basta…-piagnucolò supplice al cielo.
Lo sguardo le cadde sullo specchio di fronte a lei. Aveva la capigliatura arruffata,gli occhi arrossati e la pelle del viso cinerea.
Non seppe se si trattasse di un’allucinazione dovuta al suo stato semiassonnato o se ci fosse effettivamente qualcuno in quel suo stesso gabinetto,fatto sta che le sembrò di scorgere distintamente qualcheduno accanto a lei. Un uomo dai lisci capelli corvini che gli scivolavano per una buona porzione su un occhio,le iridi di un verde brillante che la scrutavano magnetici.
Lei lo riconobbe e cacciò uno strillo selvaggio.
-Vattene via!Vatteneeeee!!!!!-si sgolò.
Non si voltò per verificare se non se lo fosse solamente figurato,ma picchiò con tutta la collera che conteneva in corpo sul vetro dello specchio, non si accorse nemmeno che sotto la pressione dei suoi ripetuti colpi esso si stesse rapidamente frantumando,e si arrestò unicamente quando il suo cervello registrò la sconvolgente immagine dei suoi pugni sanguinanti.
Le mani le bruciavano e lei si accasciò a terra,squassata dai singulti.
-Oh,Signore,proteggici tu!
Melanie,spaventata,la soccorse in vestaglia.
Kathleen non le diede spiegazioni,né si adoperò nell’inventarne qualcuna.
Osservava passivamente l’anziana mentre la medicava,riempiendola di affettuose parole di rimprovero.
Tremò lievemente.
Lo sapeva che sarebbe giunto.
Però non in quel modo e non in quella notte.
Era l’inevitabile punto di svolta,oltre il quale non le sarebbe stato più ammesso marciare indietro.
Non sarebbe scappata.
Una inusuale scintilla di determinazione scaturì dai suoi occhi.


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Draco Malfoy contemplava pigramente il fumo che proveniva dalla sua sigaretta consumata a metà. Si concedeva ogni tanto questo vizietto quando era …suscettibile.
Lo rilassava.
La lettera del padre era giaceva svogliatamente in un angolo del basso tavolinetto dalle gambe intagliate.
Lo richiamava a casa per Natale. Quanto mancava?Ah,un mese.
Impaziente il genitore.
Tentò di ignorare la sottile contrazione di disagio che percepì allo stomaco.
Non poteva trascurare,d’altronde,che fosse alquanto atipico. In genere,Lucius e Narcissa Malfoy per Yule e la ricorrenza cristiana si riunivano con la loro comitiva per andare a festeggiare a Parigi. Avevano condotto questa routine dal momento in cui lui e Vivian erano stati abbastanza grandi da provvedere da sé ai loro bisogni,il che per un Malfoy significa dai dodici anni in su.
Rimpatriata?Nostalgia?Nah…suo padre non era il tipo. Se era sua madre che lo voleva rivedere,lo avrebbe capito. Gli era affezionata. Non che Lucius non lo fosse,però,allorché gli si prospettava l’occasione,si irrigidiva nei gesti e appariva quasi meccanico.
Da piccolo questo atteggiamento lo innervosiva e faceva scatenare numerosi pianti nella sua stanza dei giochi. Voleva che lo prendesse in braccio,che lo coccolasse,che lo riempisse di baci come Narcissa e,invece,il massimo in cui riusciva era una spettinata ai capelli e un lieve buffetto sulla guancia. Adesso riteneva che già quei minimi accenni d’amore costituissero uno sforzo non indifferente per lui. Non doveva aver avuto un’infanzia serena.
Aspirò una boccata.
Vivian magari ne era al corrente. Sua sorella era una persona discreta,ma era assuefatto che lei in qualsiasi situazione sapesse più di quanto sembrasse. O può darsi che fosse solo una sua ingenua impressione. Fin da piccino si era sentito perennemente inferiore a lei ed era arrivato addirittura al punto di invidiarla per le eccessive premure che le dedicava il padre,come se valesse chissà quanto,come se fosse una rara gemma da preservare. Non ricordava neppure una circostanza in cui Lucius Malfoy gli avesse destinato qualche sberla. A lui,al contrario,sì che aveva menato e scendendoci pesante alcune volte. Da bambino era stato una vera e propria peste,faceva comunella con i coetanei babbani che incontrava per le strade del paesino limitrofo all’estesa tenuta dei Malfoy; mostrava loro innocue magie a puro scopo ludico e si sbucciava di continuo le ginocchia correndo simile a un forsennato per la vallata.
I giochi avevano avuto presto termine con una bella scarica di botte che gli avevano fatto ritornare alla memoria a chi dovesse la sua vita su questo mondo. Per un anno visse un’esistenza da recluso nel maniero: poteva soltanto uscire per passeggiare nel giardino,per contro Vivian si godeva tranquillamente la sua infanzia senza considerevoli scossoni. Quando finalmente fu autorizzato a respirare di nuovo l’aria del Norfolk,ormai il danno era compiuto. La voglia di giocare e di vivere spensieratamente la sfogava raramente,rinchiudendosi dentro la sua camera e fantasticando di essere in luoghi esotici a caccia di tigri bianche e coccodrilli dalla pelle grumosa. A discapito di ciò,assecondava il padre,se poteva,persuaso dal fatto che se lo avesse reso orgoglioso o almeno soddisfatto di lui,lo avrebbe guardato con occhi diversi.
Difformemente,Lucius era un maldestro cronico nei rapporti con il figlio e gli sorgeva naturale lodare o ammirare i pargoli degli amici piuttosto che lui,Draco.
Aveva cessato di tentare di aggiudicarsi la sua approvazione.
Non gliene fregava nulla.
Scansò languidamente un ciuffo ribelle che ricadeva sull’occhio sinistro e si concentrò apparentemente sulle imponenti colonne di marmo verde screziato di nero della sala comune dei Serpeverde.
Fino a quel giorno.
Non possedeva un sesto senso spiccatamente sviluppato,ma non serviva un mago esperto in arti divinatorie per intuire che,in realtà,l’allegra cenetta famigliare della Vigilia babbana rappresentava un aspetto secondario della serata.
Doveva avvisare Vivian?
La lettera per lei non era stata recapitata dal suo famiglio,l’aquila Dana.
Era plausibile che non esistesse alcuna missiva per lei,gli suggerì una vocina malevola nella sua mente.
Il blocco di ghiaccio nel suo stomaco si appesantì ulteriormente.
- Draco Malfoy!
Una ragazza dagli occhi grigi e dalla faccia da carlino incorniciata da una cascata di boccoli mielati irruppe simile a un ciclone nel salone dei Serpeverde.
- Che ti illudi?T’ho visto come te la mangiavi con lo sguardo!-alzò il suo indice accusatore sul ragazzo che era rimasto comodamente seduto dov’era.
Lui schiacciò con una flemma irritante il mozzicone di sigaretta nel massiccio posacenere di vetro in mezzo al tavolinetto e si passò per l’ennesima volta la mano tra i capelli di filigrana.
-Chi?
-La Granger,la signorina so-tutto-io!Quella mezzosangue del cavolo!- esplose,l’espressione imbronciata.
Draco intrecciò le mani,poggiando i gomiti sulle ginocchia.
-E…?
-E…?!E?!?!?Ma come ti permetti?Io te lo proibisco,noi stiamo insieme fino a prova contraria!
Lui la scrutò disinteressato.
Fosse stata una scenata franca,originatasi da dei sentimenti profondi,si sarebbe comportato in maniera differente. Pansy,all’opposto,aveva un’idea dell’amore ancora mediamente infantile,possessiva,bislacca. Era lei l’illusa,convinta che un uomo della sua età si potesse facilmente legare a una singola donna e progettare di condurlo all’altare relativamente presto. L’amore non era poi così romantico come lo descrivevano nei film o in quei insulsi romanzetti rosa.
-Pansy,mi pare di essere stato chiaro quando ti ho detto espressamente che questa non era una cosa seria. O forse non hai memorizzato quel punto al momento di accettare?
-La fissavi spudoratamente.
Non valeva la pena litigare, con gli stupidi,specialmente. Era tempo sprecato.
-Pansy,Pansy,Pansy!- elevò le braccia al cielo- Quanti anni ho?
-Vai per i sedici.
-E tu?
-Altrettanto.
-Brava,vedo che sai contare.- constatò con una punta di crudeltà.
Si levò facendo pressione sul bracciolo del divano.
-Pensi -infilò le mani nelle tasche dei pantaloni di velluto blu,rivolse gli occhi,in alto, alle finestrelle che davano sul prato del parco del castello -che tu sia la donna della mia vita?Che il mio sguardo non si posi su nessun’altra eccetto te?E che ti sono fedele,eccetera,eccetera…?Per quanto la tua capacità di ragionamento sia limitata, lo comprendi da te. Io sono attratto da ognuna delle ragazze vagamente carine che attraversino la mia strada la mattina. E la Granger non è un’eccezione.
Pansy era scioccata,mosse ripetutamente le palpebre.
-Perché?-si avvicinò a lei,che evitò di incontrare i suoi occhi,lui le carezzò il collo,delicato- Perché ho sedici anni. E un esasperato bisogno di sesso.
Si curvò a baciarle il collo ed introdusse le sue dita frementi dentro al maglione di morbida lana rosata di Pansy. Dominato dal desiderio,solo,unico,animalesco. Un lupo affamato.
Stava per slacciarle il reggiseno allorché lei lo respinse con una spinta che lo fece barcollare.
-Porco.-sibilò,e si defilò quasi fracassando dietro di sé la porta del dormitorio femminile.
Lui scotè il capo,l’ombra di un sorriso di scherno sul suo viso. Sarebbe tornata,passata la bufera.
Pansy riaprì d’impeto la porta e gli lanciò il vestito che Draco le aveva regalato per il Ballo di Yule.
- Fila da quella puttanella dal sangue fangoso e, mi raccomando,persuadila nell’indossarlo.- si piegò leggermente imitando l’inchino delle dame di corte medievali,la voce in falsetto.
Scomparve furiosa.
Draco esaminò incredulo il tubino lungo nero, costellato di lucenti perline, dallo spacco audace.
Rise di gusto,il pugno sulla bocca.
Perché no?


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Il sasso sfrecciò sulla superficie del lago e cadde con un tonfo increspando l’acqua e creando dei cerchi concentrici che si espansero fino a una certa distanza dal centro nevralgico.
Lei,tuttavia,era interessata alla piccola implosione che il ciottolo aveva provocato nell’immergersi nelle profondità lacustri.
Uno spiffero di aria gelida si insinuò tra le gambe,lei si strinse nel suo mantello di pelliccia.
Gennaio era stato particolarmente rigido quell’inverno e da due settimane opprimenti nuvole bigie che promettevano pioggia e neve impedivano al,seppur pallido e privo di vigore,sole di fare la sua titubante comparsa.
Il castello di Hogwarts si stagliava in tale quadro con la sua sagoma nera,lugubre.
Delle carrozze e una manciata di automobili,molte col motore acceso,sostavano davanti all’ingresso della scuola. Ragazzi che avanzavano verso le vetture carichi di valigie; le facce apprensive dei genitori accorrevano per aiutarli,impauriti,squadrando timorosi la facciata dell’imponente edificio,smaniosi di spicciarsi per abbandonare quel posto di morte.
Morte.
Sembrava ieri che avessero ritrovato il corpo di una loro compagna in un cubicolo del bagno delle femmine.
Se ne erano accorti dopo tre giorni,quando avevano infine afferrato che il puzzo che veniva dai gabinetti non era dovuto alle fogne,ma alla salma in decomposizione di Mirtilla Sheppard.
Nessuno si era prodigato nel cercarla. Lei era la classica tipa schiva e taciturna che veniva bersagliata quotidianamente d’insulti ed era la vittima preferita di scherzi spesso spietati.
Si sospettava che il colpevole fosse tra gli studenti,uno di loro.
Risalì il pendio ai margini di cui era stata qualche secondo precedente e si diresse verso il portale di Hogwarts,sorpassando i veicoli fermi sulla strada di campagna.
- Lily!Lily, non vai via pure tu?!-la apostrofò una Grifondoro compagna di corsi che stava assistendo il padre nel caricare i suoi bagagli in auto.
Lei fece cenno di diniego,sorridendo.
-Finché non sarò sicura che la scuola chiuderà,resterò qui.
- Oh,Claire,che glielo chiedi a fare?-Alice Chase si intromise-Starà finché LUI rimarrà in questa scuola!No,Lily?
Lei annuì ma pareva che alla ragazza non bastasse,dato che le si accostò e mormorò:
-Non mi stupirei se in tutto questo non ci fossero invischiati QUELLI: io starei all’erta se fossi in te!
-Ah,Alice,quando metterai a freno quella linguaccia e ti occuperai degli affari tuoi?-la punzecchiò,arrabbiata,l’amica.
Lei fece spallucce.
-Non te la prendere…se ne dicono tante!-la rassicurò Claire.
Lily,comunque,era immune da questi pettegolezzi. Nella data a cui risaliva il decesso il suo ragazzo era agli allenamenti della squadra di Quidditch con i suoi compagni,ed era praticamente impossibile che fossero presenti in un altro luogo,ad ammazzare una persona che buona parte del popolo studentesco non conosceva o conosceva relativamente.
Inoltre,ad essere schietta,il dubbio non l’aveva nemmeno sfiorata.
I maschi del gruppo in cui rientrava erano turbolenti,però reputava che assieme ai Malandrini della casa avversa non fossero gli unici.
E come si permetteva di giudicare quella Alice, che aveva un fidanzato che si ubriacava ogni sabato e lei crepava dalla vergogna tutte le volte che la gente glielo faceva scherzosamente ricordare?
Le salutò e si avviò in direzione della scalinata principale.
Ridicola.


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-Hanno scoperto il colpevole.
Lily sollevò la testa dal libro che stava consultando. La biblioteca era deserta alle tre del pomeriggio.
Narcissa si era appoggiata al bordo del chilometrico tavolo.
La rossa si tolse gli occhiali da lettura.
-E chi sarebbe?
- Hagrid.-sussurrò,tipo se si volesse autoconvincere.
- Hagrid?! Assurdo.- sbarrò gli occhi- Lui non farebbe del male a una mosca…
-Sai quanto ami gli animali,i mostri specialmente.- sottolineò la bionda.
Lily chiuse il volume e si rizzò per riporlo al suo posto.
-Quindi…ha confessato a Silente?-si massaggiò una tempia- O numi,Narcissa,è surreale. Stiamo parlando di Hagrid,non è talmente avventato da lasciare a piede libero una sua creatura!
-Non saprei. E’ la parola di Thomas contro quella di un mezzogigante.- rifletté,realista.
Lily corrugò la fronte.
-Che c’entra lui?-trasalì.
-A quanto pare,l’ha colto in flagrante mentre poneva un grosso ragno all’interno di un baule.- notò il volto incredulo di Lily- O perlomeno,Severus me l’ha raccontata in questa maniera.
- Lucius hai avuto modo di…
- No.
Narcissa si esibì in una smorfia eloquente. Era palese che non credesse all’amico ed il silenzio di Lucius era ambiguo.
- Lily,ti prego,non guardarmi così. Sai che lui non ha famiglia, al limite…
-…al limite avrà preso il primo povero disgraziato che gli è capitato sotto tiro e ha deciso di addossargli la colpa?!- continuò per lei con voce stridula.
-Non è una nobile azione,se è questo che intendi.
L’amica tentava di comunicarle qualcosa,Severus non era stato sufficientemente criptico evidentemente.
Giusto,lui sarebbe stato riassegnato all’orfanotrofio se l’istituto avesse serrato i battenti, un’umiliazione per un diciassettenne con grandi ambizioni. In aggiunta,il professor Silente aveva installato una semisorveglianza su di lui dall’istante in cui aveva visto che il suo animale “domestico” era un serpente…
Si tormentò una ciocca ramata. L’inquietudine sbocciò nel suo essere. Il giorno successivo all’accaduto non si erano incontrati,e quello seguente lui era stato monosillabico e aveva schivato le sue domande chiarificatrici abilmente.
Abile.
Abile e permeato da un ineccepibile savoir faire.
Spalancò gli occhi smeraldo e si defilò fuori dalla biblioteca.


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Pronunciò la parola d’ordine,procedimento che non le era mai parso difficoltoso come in quella situazione. Aveva la bocca arida,impastata.
La porta scorrevole di pietra si mosse sui cardini,rivelando la sala comune dei Serpeverde.
Nonostante fosse abituata ai consueti sguardi curiosi ed alcuni disgustati che suscitava la sua presenza in quel luogo,non poté fare a meno di indirizzargli un’occhiata micidiale che li fece rabbrividire.
Lui era disteso sul suo letto,vestito, e stava leggendo un libro, “Delitto e Castigo”.
Guarda caso,commentò ironica.
-Ciao.- reclinò il capo sullo stipite.
Egli le sfoderò un sorriso raggiante ed in un attimo le fu accanto,baciandola ardentemente.
-Non ti aspettavo!
-E io non mi aspettavo che giocassi al giustiziere.
Tom si incupì; provò lo stesso a sdrammatizzare:
- Hagrid è stato imprudente ed io ho svolto il mio dovere di prefetto.
- Diciamo che l’hai incastrato.
Lui piantò le sue pupille in quelle di lei.
-Diciamo che non ti fidi di me.- le rinfacciò con una vena d’insofferenza.
Lily allargò le braccia e le fece stancamente ricadere sui fianchi.
-Cielo,Tom! Un ragno morde e Mirtilla era priva di punture e per di più…dai suoi occhi stillava sangue!-strillò.
Lui sbatté la porta e le afferrò di scatto un gomito.
-Sei completamente impazzita?!- bisbigliò,nervoso.
Allora era vero. Dio,dio…Avrebbe affermato che fosse un equivoco,di essersi sbagliata,VOLEVA sbagliarsi.
Cercò di divincolarsi dalla sua stretta,invano.
-Ho letto di un solo serpente che può essere responsabile di una tale reazione: è il Basilisco,Tom.- la sua voce si stava mescolando al pianto in cui lottava in non irrompere-E come è immaginabile che ci sia qui,in questo castello,una bestia di siffatta natura?-gli sussurrò disperata all’orecchio.
Lui le fece posare la testa sulla spalla,cingendola con le sue braccia.
- E’ stato un incidente,Lily. Soltanto un banale incidente.
-Banale?!
Lei si discostò dal ragazzo,i capelli scomposti,il piglio terribile e gli occhi rossi di lacrime. Agguantò la maniglia.
Tom bloccò la serratura con la bacchetta.
-Dove hai intenzione di andare?Non vorrai spifferarlo a Dippet?!-un alone di paura varcò il suo volto.
Lei scoppiò in una breve risata.
-Pensi sempre che la gente sia pronta a pugnalarti alle spalle,non credi a nessuno,sei probabilmente l’uomo più insicuro di questo pianeta e a me,che sono una dei pochi che ci tiene a te,riservi questo trattamento?!
-Non andrò da nessuna parte,starò placida nel mio angolino attendendo che trascorra la tempesta. Guardando un mio caro amico accedere ad Azkaban senza sapere se rivedrà la luce,inerte.
Lily gli accarezzò con un dito una guancia.
-Solo perché ti amo. Buffo,no?
Lui incrociò le dita della mano destra con le sue e la baciò con trasporto.
E alla ragazza venne da pensare che si sarebbe perduta in quell’amore burrascoso,che l’avrebbe uccisa,gradualmente.
Ma non poteva esimersene dal non viverlo.







Dona86
00giovedì 26 febbraio 2004 14:41
§CAPITOLO QUINTO§


-Non capisco perché ti ostini a stare ancora con quella mezzosangue.
Le fiamme divoravano lentamente i libri di testo e le divise delle loro case. Tom scrutava quello spettacolo in religioso silenzio. Sembrava non avesse ascoltato la donna dall’ondulata capigliatura carbone che gli stava affianco.
Lei ghignò.
-Ah,ma sicuro. Sarà il tuo giocattolo,no?La tua bambola-constatò con ammirazione- Il tuo cagnolino da comandare a tuo piacimento.- si carezzò il mento,estasiata.
Lucius chiuse gli occhi con disapprovazione. Bellatrix…per quale ragione era talmente imprudente con le parole?
Adesso soffocava un grido di dolore. Tom le aveva ghermito il gomito e lei lo sentiva intorpidirsi,ghiacciarsi. E in effetti,vide con sgomento delle scaglie di ghiaccio che si spargevano lungo il suo braccio e minacciavano di aumentare.
Poi,un sibilo,graffiante,che la fece sussultare nel profondo del suo essere.
-Che pensi io sia?Un purosangue come voi?Rivedi le tue informazioni perché…non lo sono. Inutile illudersi. Ma,- sospirò compiaciuto- c’è un “ma”. Io li odio in ogni mia viscera,assieme a quei babbani che devastano questo pianeta. E- si eresse nella sua statura-sono l’erede di Salazar Serpeverde. Ti pare poco?
-No.- lo guardò negli occhi per dimostrargli che non lo temeva...Tuttavia fu costretta ad abbassarli di botto.
Le sue iridi erano sanguigne.
Lucius si ricordò che Tom aborriva bambole e pagliacci. Credeva che segretamente lo spaventassero,tuttavia si era premurato di non palesargli questa sua perplessità. Soltanto una volta il giovane uomo gli aveva confidato che gli facevano tornare alla mente l’assoluta apatia della madre,dopo che il marito l’aveva piantata in asso. Gli cucinava,gli dava le medicine se ne aveva bisogno,lo portava a scuola,senza una minima parola di affetto,di rabbia. Gli sorrideva. Un sorriso identico a quello di una bambola di fine porcellana. Era morta quando Tom aveva cinque anni. Consunta dalla pena. Deperita. Quel particolare era rimasto vivido,potente nella memoria del suo bambino.
-Intendo sovvertire questo sistema e tu lo sai.-continuò- Ed è mio desiderio perseguire in questo obiettivo con la donna che amo,Lily Evans.-le scaglie avevano attraversato l’avambraccio e stavano raggiungendo la spalla- Una bambola?Un cane?No,mia cara. Li detesto entrambi: l’una non ha un’anima,l’altro è troppo servile. In qual modo potrei avere uno di loro accanto?
Nonostante la brusca anchilosi della sua parte destra,Bellatrix non aveva dimenticato la sua sfrontatezza,e si sforzò ad abituarsi al colore innaturale degli occhi del suo amico.
-Resta in qualunque caso una Grifondoro,una che prima di entrare nel nostro gruppo frequentava Potter e compagnia bella.
Tom fece una smorfia,scettico.
-Bella,forse hai rimosso che anche tu provieni da lì?
Bellatrix si morsicò il labbro inferiore.
-Si.-ammise- A mio discapito,non mi sono mai integrata con pienezza nella politica della casa. Lei potrebbe…tradirti.
Lucius scosse la testa e distolse il suo interesse dalla conversazione; Severus,invece,incuriosito,puntò gli occhi su Ridde,per studiare la sua reazione. Bellatrix era sul serio sventata. Thomas sarebbe esploso successivamente a quella insinuazione.
Viceversa,contrariamente alle sue aspettative,si conservò calmo.
La copertura di ghiaccio si sciolse e bagnò il terreno,creando una pozza.
Non le avrebbe provocato del male,era determinante per il suo progetto,rifletté Severus.
-Ci conosci scarsamente,allora.- si moderò ad evidenziare.
Le lingue di fuoco ardevano nel cielo,unica luce che rischiarava il buio di quella notte spenta di stelle. Chissà se ce ne sarebbero state nei prossimi giorni?, a Severus capitò di chiedersi .




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Si liberò dal caldo abbraccio della sua sciarpa e consegnò il suo trolley alla marmaglia di elfi domestici che le si affollò intorno.
La sera precedente aveva gozzovigliato con le sue compagne di stanza e non rammentava quante burrobirre corrette le avessero fatto tracannare. Comunque aveva un mal di testa allucinante ed era in spaventoso ritardo al pranzo con i suoi parenti.
Tramite l’enorme specchio dell’entrata vide delle occhiaie che le solcavano il volto,i capelli disordinati e le guance paonazze.
Mmmh…nooo…
-Nyx!-la sua voce era bassa,controllata,ma sapeva delle piccole rughe di stizza che contornavano la bocca e degli occhi socchiusi di sua madre,che stava lottando per non scatenarsi.
Chiuse le palpebre,portando stancamente la mano alla tempia,rassegnandosi al rimprovero in arrivo.
-Ti avevo raccomandato di prepararti,di non perderti nei soliti festini delle tue amiche perché OGGI è Natale e vengono i parenti-discuteva con lei a denti stretti-…e ti presenti così?
Vivian reclinò il capo,non rinunciando lo stesso al contatto con le pupille di Narcissa.
-Scusa,mamma,se sono arrivata tardi a reggerti il gioco in questo nugolo di falsità. Con tutto il rispetto… -si inchinò brevemente e si avviò a passo lesto verso la sala da pranzo.
Narcissa soffiò,esausta.
Nulla. Non si piegava a nulla. Tutto le era dovuto,e lei,in fondo,cosa dava in cambio?
Viziata. L’avevano viziata oltre misura. E le aveva fatto male,come un pasticcino troppo zuccheroso,alla lunga marciva i denti.
Quel sottile sarcasmo e quella sopita ribellione che ora aveva iniziato ad incendiare il suo sguardo,l’atterrivano.
Assomigliava sempre di più a lui.
Avrebbe scontato l’insolenza che ostentava davanti alle persone e che ultimamente manifestava pure in sua presenza,pensò con una punta d’amarezza,aggiustandosi dietro un orecchio una ciocca dorata che si era sottratta allo chignon elaborato in cui aveva imprigionato parte della sua chioma.
Seguì la linea della rughetta nata quella mattina sul suo bel viso,che aveva preteso fino a qualche anno fa immune alle intemperie del tempo.
Si ritenevano dei,e,al contrario,non erano stati altro che ragazzi disorientati da un mondo adulto che gli stava stretto,scomodo.
Erano passati sedici anni dal momento in cui aveva smesso la vecchia pelle,per indossarne una nuova e asfissiante.
Sedici anni da quando lei li aveva lasciati.
Trattenne una lacrima.
Osservò il piccolo orologio a pendolo sul mobile d’ebano. Lucius tardava e Draco…lo stesso.



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Molly fece cadere una pioggia di petali sul grembo di Lily,ridendo.
-Oh,insomma!Ve la piantate di girare in tondo a raccogliere fiori per me?!-esclamò,affranta.
Molly e Narcissa si accasciarono dolcemente sul terreno del rigoglioso prato smeraldo.
La bionda riprese fiato e disse:
-Non ti sembra formidabile che sia finita definitivamente la scuola?-era radiosa-E ora ti potrai sposare…
Non fece in tempo a terminare la frase che Lily era già sopra di lei,tentando di tapparle spiritosamente la bocca.
- Narcissa Black sei proprio una pettegola!-le gridò.
La ragazza si distese sul letto d’erba,assumendo un’espressione corrucciata.
-Cosa ti fa immaginare che lui voglia compiere un passo del genere?-proferì piano.
-Senti,Thomas lo conosco dal primo anno ad Hogwarts e ti posso garantire che è unicamente la timidezza che lo blocca nel chiedertelo.
-Io potrei non volerlo.- girò la faccia verso Molly che stava rimirando dei bucaneve.
Narcissa si eresse su un gomito,frastornata.
-Non ti comprendo.
Lily non si giustificò subito,ma indugiò nell’ascolto del canto degli uccellini sugli alberi. Una lieve brezza giocò con i suoi capelli carmini.
-In questo periodo è particolarmente assente. Lo vedo di rado ed è taciturno.- fece una pausa-Ho paura perché non mi apre il suo cuore. Ed è freddo. Mi nasconde qualcosa. E non sarebbe una novità.- si era voltata e la fissava.
La bionda spostò lo sguardo sulle verdi chiome delle querce che le circondavano,impacciata. Era perfettamente al corrente di ciò a cui alludeva la sua amica.
-Dunque,rimaniamo ancora un po’ o andiamo al caffè Petit Four?
Molly aveva ascoltato in silenzio,non aveva molta simpatia per Thomas Riddle,e adesso cercava di vertere il discorso su un argomento esplicitamente futile.
-Uhm,è mia opinione che una buona cioccolata calda allontani i pensieri…bui.- Narcissa gettò un’occhiata di striscio a Lily- Non è il medesimo locale dove vai spesso con Arthur?
Le diede un’affettuosa gomitata nelle costole. Le carnose labbra di Molly si dischiusero,producendo una sommessa risatina.
-Nà,sei in vena di gossip questo pomeriggio?-la stuzzicò la riccia,quasi contrariata.
Lei la ignorò e proseguì:
-Davvero,siete affiatati e litigate pochissimo. Mi chiedo come facciate e…se devo essere sincera,secondo me,sarai la prima a lanciare il bouquet!-le guance di Molly arrossirono violentemente. La sola idea la imbarazzava all’inverosimile.
Lily intanto agitò svogliatamente la bacchetta,e nell’attimo seguente si ritrovarono in un magnifico caffè in stile liberty di Parigi. Le Petit Four,appunto. Delle lampade a forma di campanule di vetro smerigliato illuminavano l’ambiente,causando una luminosità soffusa che regalava al posto un’atmosfera intima. Si accomodarono a un tavolinetto,vicino a uno specchio decorato con una donna della Belle Epoque che aspirava il fumo da un bocchino,aspettando che una delle ninfe greche che si aggiravano per il locale le servisse.
-Molly,non riesco a capire cosa ti attragga tanto di lui. E’ decisamente più attraente suo fratello. Com’è che si chiama?Ah!Nicholas!- dichiarò schiettamente l’ex Grifondoro.
Narcissa non poté frenare una leggera occhiatina di dissenso.
-Non è il fratellastro?-si informò,asciutta- Un babbano,se non erro.
Era un’osservazione sciocca,però,pur essendo una strega degna di rispetto,non era esente dai pregiudizi che infestavano il mondo dei maghi su quella specie denigrata e relegata in un angolo come poteva essere la gente comune,ovvero i babbani.
Molly mostrò di non curarsi della precisazione di Narcissa,non era tipo da offendersi ed era consapevole delle idee della sua coetanea.
-Come fai a conoscerlo,se neanche Arthur l’ha mai incontrato,dato che gli è proibito?
-Al sesto anno vidi una foto che Arthur custodiva della sua famiglia in cui c’era anche Nicholas.Lo riconobbi per il bambino della banda con cui scorrazzavo nel mio quartiere. Una cioccolata calda con panna.- era giunta una ninfa che fece comparire immediatamente una nera tazza fumante contornata da un ricciolo candido e soffice- E’ stata una sorpresa!E’ incredibile quanto sia piccolo il mondo.
-Peccato che non abbia ALCUNA dote.- si limitò a farle notare l’algida ragazza dagli occhi zaffiro.
-Dote magica zero,ma sta per diventare avvocato!-si affrettò ad aggiungere Molly- La famiglia del mio fidanzato pare non curarsene,però Arthur sta segregato nella biblioteca di Hogsmeade,a studiare Aritmanzia. La loro ambizione è che ottenga la carica di Ministro della Magia.
Narcissa non dissimulò un’aria diffidente.
Molly sospirò,assumendo un’espressione infelice. Stava contemplando la sua crêpe ricolma di marmellata di lamponi con una spolverata di zucchero a velo.
-Naturalmente,lui non vuole.- azzardò Lily.
L’amica annuì.
-Mutare il governo vigente e rigide istituzioni che durano dal Medioevo…bé,è più stimolante per lui.
Si scambiarono un’occhiata significativa all’unisono.
Narcissa intrecciò le dita delle mani e poggiò i gomiti sul tavolinetto.
-In pratica…vuole rovesciarlo.- mise nero su bianco.
Molly sbirciò nervosamente la saletta in cui erano,nell’ansia che qualcuno le potesse udire.
-Oh,suvvia,chi vuoi che ci sia?Una spia?
-Il Ministero non è attrezzato per queste evenienze.- scimmiottò Lily,in una buffa imitazione dell’attuale Ministro della Magia.
Risero. Una risata tesa e vuota.



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La sua gonna lunga frusciava sulla pavimentazione di granito. Camminava a passi lenti e misurati.
L’ala sinistra del maniero era irradiata da fini strisce di luce che si infiltravano dalle finestre,lasciando delle dense chiazze di oscurità nelle frazioni di muro che intercorrevano fra esse.
Vivian trasferiva oziosamente lo sguardo da una parte all’altra,studiando le gigantesche cornici che racchiudevano i quadri rovinati e dalle tempere incrostate dei suoi antenati. Cornici alcune d’oro massiccio,altre di legno intarlato,decorate con fuochi argentati,donne dai seni rigonfi,i canini affusolati e gli artigli che sporgevano pericolosamente sui dipinti;elfi e fate gioiose,bronzei serpenti colmavano i lati.
Guardava la potenza dei suoi avi,incisa in quelle cornici e si accorgeva del contrasto con i volti che non animavano,anzi,erano semplicemente incastonati nella tela,contratti in un ghigno o un sorriso di circostanza. Arroganti e impauriti;ambiziosi e insicuri;seri e impediti nelle loro vesti di liscio velluto e pregiato damasco. Una casata controversa quella dei Malfoy. L’onore e il timore erano palpabili a distanza di secoli,traspiravano dalle pitture.
E suo padre aveva eluso i suoi occhi quando si era accomodato alla tavolata della sala da pranzo.
Lei avrebbe voluto fingere di ignorarlo,ma il suo coltello strideva sul fragile piatto di Villeroy & Boch, tagliava il roast beef in fretta,e ne aveva fatta avanzare la metà.
E Draco,dei,Draco.Fissava le patate come se non fossero cibo ed era estraniato dal mondo tipo se solamente il suo corpo si trovasse là,mentre la sua anima viaggiava miglia e miglia lontano.
Perdonatelo,è stanco,si scusava la madre con gli invitati,non spiegandosi concretamente il mutismo e la lividezza della faccia del figlio.
Desiderava chiedere,chiarire con suo fratello per quale causa si comportasse in quella maniera.
Non poteva.
Le convenzioni,il salvare le apparenze a cui l’avevano educata glielo vietavano. Un filo spinato le percorreva la gola e le perforava la lingua. Dovunque si girasse,vedeva miseri visi sorridenti che la obbligavano a contraccambiare il sorriso. Doveva esprimere felicità e buonumore.
Ma Draco non aveva assaggiato una singola pietanza.
E per due ore si era calata la viscida maschera dell’ipocrisia. Cercando di autoconvincersi che Draco e Lucius avevano avuto il consueto litigio mattutino,che andava tutto bene,e presto sarebbero ritornati felici e contenti.
Ciò nondimeno,aveva smesso dall’inizio dell’adolescenza di dare credito alle favole.
La realtà le cantava una storia diversa. Una storia che era stata ormai scritta,ma di cui lei non ne riconosceva l’autore.
Non ne era in grado.
Si arrestò all’improvviso.
Doveva parlare con Draco nell’immediato. Se nascondeva quello che lei si rifiutava di accettare,non era capace di tenersi interamente il peso sulle spalle.
Uscì dalla galleria e si diresse verso la camera del ragazzo.



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Il sangue correva in un rivolo che rigava la bianca pelle e formava uno strano connubio con il nero del marchio.
Un teschio stilizzato e un serpente che spuntava dalle sue orbite cave,le fauci spalancate,il veleno stillante dai suoi denti aguzzi.
Le sue scarpe scricchiolavano sui vetri rotti.
Un’ ampollina per contenere pozioni giaceva sul pavimento. Infranta.
La trasparenza della sua carnagione gli permetteva di distinguere le sue vene blu che si ramificavano sul polso.
Ma pure nel raptus nervoso,in cui aveva tagliuzzato la sua pelle,sarebbe bastata una pressione più forte…
Eppure non riusciva a spingersi sino a tal punto.
Si,era un vigliacco.
In tutti i sensi.
Avrebbe potuto ricusarsi di accompagnare suo padre la sera precedente.
Avrebbe potuto rimanere fermo sulle sue posizioni.
Non era accaduto.
Erano usciti con l’intento di fare una passeggiata serale,tra la neve che ricopriva alta i margini del sentiero del parco che conduceva nel fitto di un bosco. Aveva intuito lo scopo di Lucius.Non si era opposto. Non si era ribellato. Aveva subito la situazione passivamente.
Come quando gli aveva interdetto di giocare con i suoi compagni.
Solo che ora non era più un bambino. E nemmeno un adulto. Probabilmente era questo che era sfuggito a Lucius Malfoy nell’istante in cui venivano trasportati da una vecchia bacchetta spezzata,una passaporta,nel salone con un soffitto ad archi sorretto da grigi pilastri,il quartiere generale di Lord Voldemort,come avrebbe scoperto una manciata di minuti più tardi.
Non aveva protestato allorché il Signore Oscuro gli aveva marchiato il nero segno d’appartenenza alla cerchia dei Mangiamorte.
Non aveva elevato il suo grido di rivolta.
Perché si era da anni rassegnato a quello che pensava fosse il suo destino.
Perciò aveva quell’atteggiamento strafottente,era sprezzante,sfogava la sua frustrazione su Potter e gli altri. Sapeva che quando sarebbe giunto quel momento non avrebbe avuto scelta. Era stato tutto quello che non sarebbe potuto essere dopo.
D’altronde,adesso che era arrivato, era scivolato in uno stato catatonico, simile a un intenso sonno,e non riusciva a ridestarsi. Non si era reso conto degli avvenimenti di quella stessa mattina. Ricordava facce sfocate,sedute a una tavola,suo padre con un’espressione tirata che si affannava a celare,frammenti trasparenti per terra,e niente che placasse quel dolore,quel male atroce che pulsava sul suo braccio. Gli produceva una sensazione di gelo agghiacciante,come se un grosso ragno peloso gli avesse iniettato il suo letale veleno.
Si portò le mani alla testa e si inginocchiò.
Il sangue copioso gocciolò,e andò a depositarsi sulle superfici dei vetri.
La crisi di rigetto era acuta,sarebbe svenuto di li a qualche secondo.
Subitaneamente percepì una folata di vento proveniente dalla porta,un urlo appena represso;fu sollevato e sistemato su un qualcosa di morbido e molle,forse il suo letto.
Delle parole smorzate.
Malgrado ciò,non poté scorgere la persona in volto.
Aveva le palpebre sbarrate, e guardava le nivee pareti… oppure aveva chiuso gli occhi?
Si udì strillare ferocemente,simile a una bestia in gabbia,che si dibatteva,disperata.
Una fitta lancinante.
In seguito,la tenebra.



§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§



Si aggrappò a una colonna. Aveva bisogno di aria,fresca,che giungeva dalle narici ai polmoni e veniva nuovamente espulsa all’esterno.
Inspirare. Espirare.
La sua fronte scottava come una bollente fornace.
Era Draco quello?
Quel ragazzo insolente,di frequente ironico,gentile con Narcissa e con lei?
Draco che infieriva su di sé?
Il suo viso cereo,imperlato di sudore,i capelli appiccicaticci,le iridi di un celeste metallico che insisteva a non rivolgere su di lei…o ne era impossibilitato?
L’aveva chetato con un incantesimo soporifero. Non avevano ancora inventato rimedi contro quella specie di…COSA,disgraziatamente. Se anteriormente non aveva voluto immaginarlo,ora la nitidezza di quello che era avvenuto le si era presentata nella sua intera crudezza. Batté un pugno sul solido marmo.
Perché lui e non lei?
Brigida,aveva solamente sedici primavere!
Si allontanò dalla colonna. Ricacciò indietro il pianto,stringendo i pugni,e alzò gli occhi alla mezzaluna che con una secchiata d’argento rischiarava il corridoio dalla serie di vetrate del piano superiore dell’edificio.
Lo studio di Lucius era davanti a lei.
Provava un misto di smarrimento,ira e incredulità nei confronti del genitore. Non gli avrebbe perdonato quel gesto.
Tirò un respiro e con alcuni tocchi di nocche ,fece il suo ingresso nella stanza,adoperandosi per occultare,almeno per qualche secondo,la sua faccia stravolta. Non fu necessario.
Lucius Malfoy le dava le spalle,la sua snella figura in viso al camino,unica fonte di luce,il mantello azzurro abbandonato su una sedia Luigi XIV.
-Supererà la notte?-domandò sbrigativa,che andassero a quel paese i giri di parole.
Lui assentì.
-Chissà per quale motivo,ma non mi sento molto confortata.- gli confidò Vivian- Sarebbe meglio morire,piuttosto che avere quel simbolo per tutta l’esistenza.
-Perché non io?Sono a un livello maggiormente avanzato,in fin dei conti.- gliela espose dal suo punto di vista.
-Non ti riguarda.- troncò la sua obiezione.
Fu spiazzata.
-Come?Oh,dei!Padre,stava per andare all’altromondo!
Era molesto nel suo non girarsi verso di lei.
-Non immischiarti nelle questioni tra me e Draco.-sentenziò,lapidario.
Vivian aveva gli occhi sgranati.
Finalmente Lucius si voltò.
E quello che la ragazza vide,non le piacque per niente.
Non sarebbe sceso a patti o concessioni.
Il suo sguardo glaciale le imporporò le guance di vergogna.
D’un tratto rammentò la sua posizione di figlia.
-L’Oscuro non ti desidera nelle sue schiere.
-Io potrei esservi utile.
Lucius la squadrò.
-Essere rappresentante d’istituto ad Hogwarts indica avere la costante attenzione della gente su di sé. Non intendo in che modo ritieni di servirci.
-Non è vero io…
Neanche lei era esattamente a conoscenza di cosa le fosse preso,comunque sia, doveva tentare di sostituirsi al fratello,a costo di essere nominata Mangiamorte da Voldemort e contraddire i suoi principi.
-DRACO- sottolineò- è il Mangiamorte che lavorerà per noi dentro la vostra scuola,non TU.
Allungò il bastone con la testa di serpe nella sua direzione,elevandole con esso il mento.
-E tu non impedirai la sua opera,sono stato chiaro?
Lei resse la sua occhiata fulminante.
Gli occhi di lui furono sconvolti per una frazione dallo sconcerto. Si stava sottraendo al suo controllo?
Scansò delicatamente il bastone e salutò il padre con un cenno del capo.
Nel frattempo in cui richiudeva la porta,mormorò: -Vedremo.
Le sue pupille si erano incupite e una nuova luce combattiva li accendeva di un sinistro bagliore.




Dona86
00domenica 23 maggio 2004 22:53
§Capitolo sesto§
§CAPITOLO SESTO§


LXIII
Lo Spettro
Simile a un cherubino dal vermiglio
occhio ritornerò nel tuo giaciglio;
scivolerò col favore dell’ombra
tacitamente verso le tue membra;

e poserò sulle tue labbra,o bruna,
labbra diacce com’è diaccia la luna;
carezze ti darò,quasi di liscio
serpe che attorno a una fossa strisci.

Quando verrà il livido mattino,
troverai vuoto il posto a te vicino,
che fino a sera starà freddo e spento.

Altri ti vinca con tenere armi:
io la tua vita voglio conquistarmi,
e la tua gioventù,con lo spavento.

(I fiori del male,Spleen e Ideale,Charles Baudelaire)


A volte percepiva degli odori.
Acri.
Odori di pino,di colonia,semplicemente di pelle.
E doveva fermarsi,appoggiarsi a un palo,a un muro,per la sensazione travolgente che la investiva.
Succedeva per strada,quando si trovava a pochi metri da negozietti new age con grandi mezzelune e soli appesi a porte e vetrine,e zaffate pungenti di incenso fuoriuscivano dagli ingressi.
Succedeva a casa,con i cuscinetti profumati dei cassetti della biancheria di Melanie.
Il cuore le si stringeva ed era come se volesse volare via,librarsi,afferrare quella malinconia sfuggente,a tratti così vicina,a tratti così lontana.
Le capitava di sentire un tepore dolce,rassicurante,lì,in aderenza con la sua schiena,raggomitolata nel suo ingannevole letto a due piazze,la mattina. Come se qualcuno dormisse vicino a lei. Si crogiolava in quella vana convinzione fintantoché non arrivava il momento di girarsi e di venire finalmente a patti con la realtà.
Amara,desolante. Sfiorava delicatamente il coprimaterasso, eccessivamente liscio,privo di pieghe e stropicciature,mortalmente freddo. Frustrata,lo artigliava con le unghie,mordendosi le labbra e costringendosi a non piangere simile a una sciocca bambina,colta da chissà quale misterioso impulso.
Il suo corpo bruciava,in uno spasimo di desiderio. Per qualcuno che non c’era. Per un uomo che neppure sapeva se era reale,vivo.
Era uscita con uomini nel corso di quegli anni,alcuni dolci,protettivi,premurosi,altri aggressivi,duri,forse anche spietati. Le storie non duravano mai a lungo: o li lasciava lei nei suoi periodi di crisi,che ultimamente si erano duplicati,oppure se ne andavano loro,spontaneamente. Lei era instabile. Loro pure. In maniera diversa,però.
Annusò il suo maglione di lana ruvida. Lavanda. La sua fragranza,quella che la contraddistingueva.
Si rannicchiò sulla sedia,ginocchia al petto,mani che toccavano i piedi imprigionati nei calzini.
L’avrebbe uccisa di li a poco quell’uragano di emozioni,percezioni,sogni…e almeno questo non poteva permetterlo. Anche se non lo dava a vedere,per Kathleen la sua vita era preziosa. Se si fosse suicidata,è vero che i suoi mali si sarebbero cancellati,ma lei non sarebbe venuta a capo di nulla. Il suicidio non era una risposta valida alle sue domande. Non voleva creare un fantasma. Le erano sempre sembrati insignificanti quei lattiginosi esseri di cui rammentava vagamente le storie di sangue e brividi che le venivano raccontate da piccina,da un barbuto signore dagli occhi gentili e buoni. Suo padre,può darsi.
Sbuffò.
Magari lo era già.
Ciò che si portava dentro somigliava a una chilometrica catena attaccata a una palla di ferro,lucida,ben salda sul terreno e spettrale nelle notti di sconforto.
E quelli che rincorreva inutilmente,quei brandelli di memoria,non erano altro che ectoplasmi.



§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§



Ora che era tornata ad Hogwarts si rendeva conto che la faccenda non era poi tanto facile.
Se in quel luogo si era acquisita una posizione elevata,in gran parte non era certo stato per i suoi meriti. Il nome aveva giocato un ruolo fondamentale,se non primario.
Osservò il cortile del castello. Dal lato in cui stava si vedeva una porzione della torre Est che si innalzava in cielo,intervallata da densi banchi di nebbia.
Il mondo non era Hogwarts.
Avrebbe dovuto esserne al corrente sin dal principio.
Eppure se ne stava lentamente accorgendo soltanto adesso.
Suo padre non era uno sciocco o un invasato come Peter Minus o Bellatrix Lestrange,la zia che non aveva avuto l’opportunità di conoscere e desiderava non avere. No,Lucius Malfoy era soprattutto una valente spia dell’Oscuro Signore infiltrata al Ministero e,indubbiamente,svolgeva bene il suo lavoro,dato che aveva portato a credere per ancora un anno lo Stato magico che Voldemort non fosse “resuscitato” e aveva addirittura destituito dall’incarico Silente.
L’inganno era stato scoperto,però nell’arco di dodici mesi i Mangiamorte si erano riorganizzati e lui ne era uscito quasi indenne.
Quasi per quella miseria di tre giorni in carcere.
Si era ansiosamente preoccupata in quel periodo,non gli avevano fatto nemmeno un regolare processo. Non le interessava in quelle ore cosa avesse ordito per permettere di farsi incarcerare. Voleva bene a suo padre. Non le aveva mai negato nulla,l’aveva trattata con rispetto,e lei aveva riso spesso delle sue imprevedibili goffaggini che manifestava unicamente in privato.
Era diverso.
Le sue decisioni cozzavano con quelle del genitore e non aveva mezzi ne forza per contrastarlo.
Girò intorno al chiostro,non staccando gli occhi dall’edificio,stupefacendosi della sua imponenza.
Pensò a quanto poteva sembrare simile a una formica,vista da qualcuno che l’avesse guardata dalla cima della torre che stava contemplando.
Non era altro.
Un piccolo essere umano che doveva crescere.
Lei rifiutava questo concetto. Categoricamente.
Era assuefatta di essere capace di opporsi a Lord Voldemort. Avrebbe scovato la passaporta che l’avrebbe condotta al suo “nascondiglio” e si sarebbe adoperata a giungere ad un accordo ragionevole.
In fondo,se non aveva posseduto l’abilità di sconfiggere un sedicenne,non doveva essere davvero potente. La potenza probabilmente gli era conferita dalla paura che innestava il suo ricordo nelle menti della gente.
Vivian per quanto potesse progettare piani,ingannare,rimaneva comunque una ragazza che non disponeva di un chiaro quadro della mutabilità delle persone.
Il dramma risiedeva proprio in questo e non avrebbe identificato in tempo il suo errore .
O può darsi mai.
La sua vita era stata piuttosto normale,se si escludevano i recenti avvenimenti.
Senza grandi sbalzi o picchi. Povera di cadute.
E si apprestava a risolvere il problema con le medesime soluzioni che applicava alle scaramucce tra compagni di classe,litigi con anonimi ragazzi sbarbatelli,dissensi con gli insegnanti.
Le sue difese erano scarne,esili,fuscelli costretti a piegarsi al tornado distruttivo degli eventi,spezzarsi.
Non poté rimuginare a lungo sul da farsi,infatti di li a poco Pansy Parkinson,pallida come un cencio,fece irruzione nell’angolino di pace che si era costruita quel pomeriggio.
- Vivian!-riprese fiato,pareva alquanto scossa-…stanno…oh,Ecate!...gli Auror ci hanno chiamato fuori...
Vivian ebbe un sobbalzo al sentir nominare la polizia dei maghi,ciononostante invitò Pansy a calmarsi e a sedersi immediatamente,prima che andasse in iperventilazione.
La ragazza scosse energicamente la testa.
- No. Pensavo che fosse per un ennesimo setaccio dei locali della nostra Casa- la voce le si smorzò-…invece ci hanno ordinato di scoprirci le braccia…era…era un’ispezione!-sputò.
Torturava nevroticamente un candido fazzoletto,stropicciato e sfilacciato dalle unghie che vi aveva piantato nel corso del suo concitato racconto.
Il cuore di Vivian aveva incominciato a pompare sangue a ritmo inarrestabile.
Le si velarono le pupille.
Per un attimo le sembrò di trovarsi persa in uno spazio senza tempo: erba alta,capelli umidicci incollati alle tempie,il trucco degli occhi sbavato,mischiato al mascara colante sulle guance,il vestito bianco acceso da dolere alla vista,imbrattato di terra,i lampi che squarciavano il firmamento,irreali.
Il freddo le penetrava le ossa.
Agghiacciata. Gelida, simile a se le fosse scivolato di dosso il velo che la teneva calda,la proteggeva.
Perduta.
Perduta.
Perduta.
Sospesa tra visione e realtà,blaterò- Vengo seduta stante- pur non muovendosi di un millimetro,paralizzata.
Quando fu in grado di darsi una mossa,Pansy sussultò,esterrefatta.
Se si era aspettata uno sguardo fermo e ispirante fiducia,aveva mal riposto le sue aspettative.
Colei che le stava di fronte era una ragazza differente. Aveva un volto irriconoscibile.
Quello di una donna che va al patibolo…e ne è consapevole.



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L’arcigna bibliotecaria la squadrò di sottecchi dagli spessi occhiali. I capelli venati di grigio erano raccolti in una grossa cipolla,gli occhi, piccoli e indagatori, avevano la facoltà di inchiodare l’individuo davanti a lei,che aveva la spiacevole sensazione di essere sottoposto ai raggi X.
-Si,Miss?
La lampada da studio che illuminava il grande bancone dietro al quale si trovava la signora,mostrava una rivista zeppa di cruciverba e rebus.
Batteva nervosamente la penna sul palmo della mano. Sembrava abbastanza scocciata.
-Libri esoterici…tutti quelli che avete.- non abbassò lo sguardo,ma fissava gli occhi in quelli della sua interlocutrice.
-Ne è sicura?-elevò un sopracciglio.
Kathleen assentì.
-Mi segua.- le ordinò,sfilandosi dalla catenina che aveva alla cintura una chiave dentellata,di fattura abbastanza antiquata.
Percorsero alcuni corridoi stipati di libri finché non si ritrovarono in una sala ovale.
-Attenda qui.
Kathleen si accorse di una porticina che non aveva notato nell’istante in cui era entrata.
La donna l’aprì.
-Prego.- stava lasciandole la chiave-Si chiude con un’unica mandata.
-Che tipo di…?
-Oh,da Nostradamus all’Inquisizione,passando per le correnti nate di recente. Ce ne sono alcuni pure sul mondo invisibile.- mise un piede fuori dall’ingresso,aveva fretta di andarsene.
-Mondo invisibile?-domandò,curiosa,Kathleen.
La bibliotecaria incurvò la bocca in una smorfia di disapprovazione.
-Si,bé,sa il mondo invisibile: fate,giganti,folletti,unicorni…Roba da fiabe,insomma. Inteso,però,come una dimensione parallela,a noi nascosta .- perscrutò guardinga la stanzetta,tipo se qualche creatura di quelle che aveva nominato,spuntasse all’improvviso.
-Una dimensione parallela?…-mormorò. Non l’aveva sfiorata minimamente l’idea.
-Non le so dire,Miss.- aveva l’orecchio fino- Legga e lo scopra.- le consigliò,seccata,e con un’ultima occhiata inquisitoria,l’abbandonò in quel posto.
Le pareti della stanzetta erano occupate da delle teche di mogano alquanto antiche ,date le intarsiature a forma di gigli araldici.
I lampadari che pendevano da pesanti catene agganciate al soffitto,emettevano una fioca luce.
Le cadde l’occhio su una pila di giornali disposti in un angolino sulla parete in fondo.
Si avvicinò.
Erano coperti da un fine velo di polvere. Afferrò il primo,il Times,vi soffiò sopra,tossicchiò.

STRANO OGGETTO VOLANTE IDENTIFICATO NEI CIELI DI LONDRA
Alcuni testimoni dicono che si trattava di una macchina

La presunta auto è stata avvistata questa mattina da ben sette passanti,vicino alla stazione di Londra. Secondo le testimonianze,avrebbe continuato a volare tra gli edifici per circa due minuti,poi,sarebbe sparita. Sembra proprio che non si tratti di uno scherzo dato che il bizzarro evento è stato visto da più di una persona. L’identificazione dei guidatori appare incerta. Qualcuno asserisce che non c’era nessuno al volante,un altro assicura di aver scorto distintamente due ragazzini. Il mistero si infittisce. Scotland Yard promette di indagare.
VAI A PAG.22

Gli occhi le pizzicavano mentre sfogliava concitatamente le pagine per la crescente curiosità.
Le sue aspettative furono deluse.
L’articolo intero riportava la testimonianza dettagliata della gente che aveva assistito all’inconsueto fatto.
Uh!

Il responsabile della British Transport Police segnala,oltretutto, che un quarto d’ora prima dell’accaduto due ragazzini si erano lanciati alla cieca contro un muro della Victoria Station. Che ci sia una connessione tra i due avvenimenti?

Aggrottò la fronte. Il quotidiano era datato 1 settembre 1992. Erano trascorsi quattro anni. Un caso da Scotland Yard? E cosa c’entravano quei bambini?
Se ne procurò un pacco,accese la lampada e li scorse sollecitamente. “Arrestata una medium:il giro d’affari ammontava a tre milioni di sterline”, “Truffati da maghi”, “Rito Vodoo con assassinio”…
Era giunta alla metà. Iniziava a stufarsi; la testa le doleva per la vista messa sotto sforzo.

SCIA DI MORTI INSPIEGABILI IN TUTTA INGHILTERRA

Ebbe un tuffo al cuore. Uno stimolo inatteso la spinse a bloccarsi e a leggere quella vecchia notizia del 1975 che pareva non avere apparentemente nulla a che fare con la sua ricerca.
Fu colpita da un punto in particolare.

Ogni cadavere è stato ammazzato con la stessa tecnica. Se si può parlare di tecnica:le vittime sono state ritrovate con gli occhi spalancati e vitrei,i capelli ritti come se fossero stati preda di una scossa elettrica,corpi rigidi,assenti tracce di aggressione, arma da fuoco o altro. Nessun testimone oculare. Nessun identikit dell’assassino o di eventuali assassini tra le mani. Più che un giallo,un autentico enigma.

Mmmh…Passò al giornale successivo.
Questo era maggiormente drammatico.

CRESCENTE CATENA DI OMICIDI
Scotland Yard nel caos

Gli assassini perseverano a celarsi nell’anonimato. A distanza di un anno non si ha ancora una pista valida da percorrere nelle indagini. Intere famiglie sono state sterminate…

Non era in grado di spiegarsi perché fosse stata attratta dalla cronaca nera di quel periodo,ma non poteva fare a meno di chiedersi dove fosse lei a quell’epoca.
Il modesto altoparlante presente nella stanzetta gracchiò: - Vi comunichiamo che la biblioteca sta per chiudere,siete gentilmente pregati di riporre i volumi negli appropriati scaffali e avviarvi all’uscita. Grazie.
Kathleen infilò risoluta i giornali dentro la sua borsa,riponendo al loro posto quelli precedentemente esaminati.
Spense la luce da tavolo.



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A volte le farfalle volano leggere sulla canna del carro armato.
Ci danzano come una festa.
Ci giocano ignare.
E quando parte il colpo,nemmeno se ne accorgono.
E.Hemingway


-Dammi il braccio.

Lo ripetevano a intervalli regolari nel corridoio buio,al fievole chiarore delle torce.
Una serie di studenti appartenenti alla casa Serpeverde era schierata in fila,addossata al muro; regnava un silenzio tombale.
Ognuno dei ragazzi aveva le maniche della divisa accorciate fino al gomito. Frequentavano per lo più il sesto o il settimo anno. Un branco di bambini impauriti messi alle strette.

-Dove te lo sei fatto?

Eccolo. Il primo.
Alcuni si tormentavano le mani madide che tentavano di asciugarsi sulle tuniche,con il risultato che la stoffa si appiccicava ai palmi,impacciandoli.

-Non è possibile che tu abbia un livido di questa grandezza inusuale.

Gli occhi sfrecciavano sulle pietre del pavimento,non facilmente distinguibile nell’oscurità. Non volevano vedere,né ascoltare le loro pressanti domande. Estraniarsi,estraniarsi…

-Sono andato a sbattere contro la testiera del letto.

L’Auror osservò il ragazzo nelle pupille,scettico. Non era una buona scusa per un ematoma di quelle dimensioni.
Un rivolo di sudore percorse le loro tempie.
E ora?
Cosa si sarebbero inventati?Avanti,una frottola convincente,verosimile….!
Non riuscivano a pensare,a formulare un pensiero compiuto,era come se la loro mente avesse elevato una solida barriera oltre la quale non si era capaci di cogliere nulla. Avevano la lingua impastata.
Qualcuno deglutì.

-Ah,si?Christopher,vieni qui.- un suo collega,che era distante,si avvicinò- Adesso lo scopriremo.

Lo sfortunato si morse una guancia dall’interno,in parte per la consapevolezza che non ci sarebbe stato scampo per lui,in parte per il bruciore causato dalla magia che il secondo Auror stava eseguendo su di lui.
Una scarica di dolore gli trapanò il cervello non appena il livido iniziò a mutare in un teschio dal colore violaceo di un tatuaggio.
Si piegò in ginocchio,un urlo muto.

-Non sanno neanche le conseguenze.- commentò,distaccato,il primo Auror. Poi,rivolto a uno dei suoi,comandò,indifferente: - Portatelo via.

Molti sarebbero stati espulsi e mandati in scuole diverse; c’era chi sarebbe stato arrestato;chi sarebbe finito ad Azkaban,non importa se minorenne,non esistevano carceri minorili, e avrebbe perso la ragione;chi,invece,si sarebbe salvato,malgrado tutto.
E dunque la videro.
La loro capocasa squadrò confusamente i loro volti prima di capire cosa realmente stesse succedendo.
La videro appropinquarsi,la rabbia faticosamente repressa, all’Auror che pareva dirigere l’operazione. Sibilò a denti stretti qualcosa di inudibile,quello dichiarò secco:
-Ispezione,autorizzata da Silente.
Lei sbatté le ciglia per un pugno di secondi,incredula.
Fece per ribattere,ma fu fermata da un gesto di lui,brusco e deciso.
-Tra mezz’ora,nell’Aula Professori.- si limitò ad aggiungere.
Ricambiarono Vivian Malfoy che dedicava un veloce sguardo alle loro facce terrorizzate e sconvolte.
In lei non vi era né compassione né apprensione.
Solamente timore. Egoistico timore.
Svariati distolsero la loro attenzione da lei,disgustati.
La figura della Malfoy si allontanò,senza girarsi nemmeno per un minuto.
Christian Zabini chinò il capo,la bocca piegata in un sorriso sarcastico.
Puntò la bacchetta verso due Auror e gridò con quanto fiato aveva in gola:
-CRUCIO!
Strilli; imprecazioni;scalpiccii di scarpe sulle pietre umide; anatemi impronunciabili.
La guerra era incominciata sul serio e,ironia della sorte,proprio dentro Hogwarts,una delle poche roccaforti inespugnabili del mondo dei maghi che si preparava a cadere.



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Il miasma della muffa permeava le sue narici,saturava l’ambiente in cui si trovava.
Il caldo soffocante produceva goccioline di sudore,ghiacciate al contatto con la sua pelle bollente.
Fece scorrere le mani sul tessuto sottostante: raso con un consistente strato di polvere. Sfregò il pollice e l’indice,sbriciolando il pulviscolo insidioso.
Era completamente immersa nella tenebra.
Spostò gli occhi da un estremo all’altro per cogliere la presenza di un qualsiasi spiraglio di luce.
Nulla.
Tastò le tenebre con accortezza e le sue unghie si imbatterono in una superficie dura e levigata. Allargò un palmo e lo passò attentamente su quel materiale…legno?
Lentamente si avvide che era presente addirittura negli spazi laterali ai suoi fianchi.
L’aria era inrespirabile,anzi,non la si rilevava.
Era come se fosse in una specie di cabina pressurizzata.
Provò una lancinante fitta di panico al petto.
Al momento le sue dita cercavano disperatamente un’apertura,esplorando centimetro per centimetro quel luogo.
Nulla.
Picchiò innervosita sul legno sovrastante.
Era un coperchio. Lungo. Rettangolare.
E lei non era in una cabina pressurizzata.
Era sepolta viva.
Quella constatazione in partenza incandescente,si faceva più vivida e le martellava la testa,arroventandola di un’ira e una fifa che sfociavano nell’isteria.
Fece dondolare la bara.
Nessun risultato.
Non poteva morire in quel modo.
Era ingiusto. Contronatura. Crudele.
Dopo una ricerca infinita,udì un miracoloso clack.
Si sforzò di aprire il coperchio,zolle di terra si insinuarono nel suo macabro letto.
Indietreggiò sui gomiti,nauseata.
Una voglia di lasciare la situazione così com’era l’assalì,ma una forza altrettanto insistente la indusse a continuare nella sua impresa.
Non riuscì a spalancare nella sua pienezza la bara,tuttavia sgusciò con una rapidità sorprendente fuori da essa.
Scavò nell’umida terra, i vermi le strisciavano sulle mani annerite e sporche. Lottò contro la repulsione che le saliva in gola e perseverò,sino all’istante in cui il suo capo spuntò nel mondo dei vivi.
Si rialzò dal suolo,il corpo dolorante.
Era notte,la mezzaluna splendeva nel cielo,proiettando la sua sinistra falce sull’erba grigio perla del cimitero,i tigli frusciavano intorno alla sua tomba.
Si voltò verso la lapide.
Nulla.
Bianca e liscia.
Nessun nome,nessun epitaffio.
Si toccò per avere la certezza di non essere diventata un…fantasma.
Soffocò un grido di raccapriccio.
Le sue mani,i suoi arti erano quelli di uno scheletro!
D’un tratto un gruppetto di persone vestite di nero le ostruirono la visione della pietra tombale.
Era giorno.
Intravide un prete recitare un versetto dalla Bibbia. Le parole erano distorte e indistinte. Giungevano al suo orecchio simili a sussurri.
…Evans…
Un cognome?Il cognome della morta? E chi era costei?
Perché l’avevano destinata nello stesso posto in cui avevano seppellito lei?
La gente si dissolse e una donna dagli occhi di corvo con luminescenze sanguigne le si parò di fronte.
Un ghigno le solcava il viso.
Era impietrita.
Animata da un’antica paura,corse.
Corse addentrandosi nel fitto di una vegetazione,inspiegabile nel pieno di un camposanto.
Inciampò.

Kathleen trasalì nel letto,vivendo la sgradevole sensazione di precipitare,quando,al contrario era immobile sul materasso.
Sbarrò le palpebre degli occhi.
Adesso basta.

Dona86
00sabato 11 settembre 2004 15:40
§Capitolo settimo§
§CAPITOLO SETTIMO§




Quando guardi nell’abisso,l’abisso guarda in te.
Friedrich Nietzsche






Spinse la porta una,due,tre volte.
Spazientita,tirò in su e in giù la maniglia d’ottone,invano. La mollò,esausta.
SBAM!
Diede un calcio al pannello di legno.
Era sigillata da un incantesimo di sbarramento: dovevano esserci dei professori dentro,non c’era altra spiegazione.
Si allontanò,intimorita…se avesse continuato,le avrebbero aperto e come avrebbe potuto giustificare la sua presenza lì?
Un rumore repentino ferì il suo orecchio.
CRAC!
Si voltò e si ritrovò faccia a faccia con Oliver,ad appena un metro da lei.
-Sono in riunione.- gli accennò,insolitamente intimidita dal suo sguardo di fuoco,dal modo in cui la esaminava.
-Non importa.- e senza pensarci troppo,le afferrò il polso e la strattonò nell’aula di Astronomia.
Vivian aveva una sgradevole sensazione di panico e ansia addosso che rammentava di aver sentito quando avevano sbattuto in prigione suo padre,con la differenza che in quel momento era lei ad essersi invischiata in una circostanza sfavorevole.
Non entrò subito,rimase sullo stipite.
Oliver se ne accorse e le tastò il fianco con la bacchetta,incitandola poco galantemente a sedersi.
Sapeva che avrebbero dovuto parlare uno di quei giorni,ma non si immaginava che avrebbe dovuto essere nella peggiore delle maniere.
-I miei Auror stanno reprimendo una sommossa al piano di sotto. –scandì con una lentezza che ebbe il potere di farle saltare i nervi .
Lei digerì la notizia con gelido disprezzo.
-Ora mi racconterai che non ne sapevi niente,giusto?
- No. E quelli non sono Mangiamorte.
Oliver la squadrò di striscio,il volto pennellato da un sogghigno sarcastico.
-E chi sarebbero,allora?
Stupidi preamboli!Cosa voleva fare?Arrestarla?Era stufa marcia di questo processo privo di giudice,avvocato e testimoni. Comodo accusare le persone,non avendo uno straccio di prova!
-Io non sono responsabile della loro vita privata. Non avrei mai creduto che Lord Voldemort ne arruolasse pure di quella età. Sono stupita quanto te.
Lui non l’ascoltava nemmeno,era perso nelle sue frenetiche considerazioni.
-Per caso,mi sai dire cos’è questo?- le piazzò sotto il naso un’ampollina contenente un liquido bianchiccio con dei residui rossastri sul fondo. Non poteva rispondere. Non doveva. Si sarebbe compromessa. Fece cenno di no .
-Veleno.
Si,l’Immundia.Uno dei preparati tossici che Voldemort prediligeva allorché si trattava di eliminare silentemente e in maniera indolore l’avversario in campo. Era un concentrato di digitale purpurea e giusquiamo che aveva il temibile effetto di provocare tremende convulsioni e brividi febbrili fino a condurre l’individuo alla morte.
-Hai ancora il coraggio di dirmi che è un banale errore di mistura,eh,Vivian?Non faremo che ingannarci…-le soffiò all’orecchio-…di nuovo.- proferì esitante e con una sfumatura di rammarico; la eluse ruvidamente.
Poggiò la fatale ampollina sulla cattedra,apparentemente pensieroso.
-Con questa la prigione di Azkaban diventerebbe una realtà,e neanche il preside potrebbe smuovere un dito a tua difesa.- mormorò. Esternava quelle riflessioni come se fossero surreali. Gli pareva impossibile che l’orgogliosa,impavida e avvenente Vivian potesse crollare,schiacciata da un così effimero dettaglio. Si sorprese nel chiedersi se era quello che volesse sul serio.
-Dì la verità,tu godi a vedermi in questo stato pietoso.- lo stuzzicò la ragazza.
Non poteva far esplodere la boccetta incriminante,però c’erano diversi modi per sfogarsi.
-Oh,è una Serpeverde,una Malfoy,una luridissima Mangiamorte,una CATTIVA.- rise istericamente- Ah,si,il termine “cattivo” è una gran bella invenzione,come “buono”. Sono stati ideati per tranquillizzare gli esseri umani che,poverini,nella vita hanno bisogno di certezze,di capi saldi a cui fare estenuantemente appello,bilance che stabiliscano un equilibrio. Il nemico è sempre da estirpare,non da comprendere!E non c’è nessuno che condanni questa prospettiva errata di osservare la realtà,le religioni men che meno. Non si analizza mai la motivazione per cui nascono rivolte,movimenti contrari al governo in carica!
- E’ una confessione?-le domandò Oliver,alquanto a disagio.
Lo ignorò.
-Il punto è che mi temi,e io sono unicamente il riflesso del tuo timore. Mi hai amato un tempo,però dove sei andato,le persone in cui ti sei imbattuto,ti hanno istruito a classificare la gente. Io non rientro in alcuna classifica e questo ti deve mandare parecchio in crisi. Supponi che,siccome la mia famiglia è stata per secoli di ideologia conservatrice,io debba naturalmente perpetrare la tradizione?Questo è un pregiudizio bello e buono.- l’ex capitano dei Grifondoro percepì un velo di stanchezza negli occhi della mora.
-Questa società è costituita da pregiudizi. Crediamo più nell’immutabilità delle cose che nel cambiamento.- controbbatté lui,inopinatamente perspicace.
-Anche tu,quindi, rientri in questa categoria.- constatò,tagliente. Si accorciò la manica destra della divisa,sbottonando il bottone di madreperla del polsino della camicetta.
-Che fai?
Lei coprì la distanza fra di loro con poche falcate.
Il suo braccio era bianco,simile ad avorio. Niente lividi né ombre violacee.
Egli restò esorbitato e angosciato da quella visione.
-Affinché sappi per quale RAGIONE- dedicò una fugace occhiata all’intruglio velenoso- perderò il distintivo di caposcuola e prefetto…assieme alla mia dignità.
Lui si riscosse.
-Se non ti fossi…
-Può darsi di si o di no . Si,se non mi fossi lavata le mani dalla questione,forse gli eventi si sarebbero svolti diversamente. Eppure sono persuasa che avrei perso comunque qualcosa.- conversava con sicurezza,tuttavia aveva gli occhi lucidi.
Con un respiro profondo l’Auror gli pose la mano sul petto e annullò fluidamente i suoi gradi.
Invece di uscire dall’aula per raggiungere i suoi compagni e opprimere quel gruppo di scolaretti con gli ormoni in subbuglio,stette immobile.
-Vai,hanno bisogno di te.- gli intimò,noncurante,Vivian.
Lui non ne aveva la minima intenzione,anzi,sembrava rimuginare su qualcosa.
Poi,le si rivolse,impacciato:- Se…-tentennava- se per qualunque causa la situazione divenisse insostenibile,il dipartimento…bè…sarebbe contento di accoglierti qui.
Era in totale imbarazzo. Era stato talmente agganciato alle sue certezze che non poteva accettare un suo errore di giudizio.
Aveva l’espressione di un cane bastonato nell’attimo in cui le tese un foglietto. Lei lo infilò in tasca,riluttante.
Oliver allungò istintivamente una mano a carezzarle la chioma.
-Io…
Lei con un fremito tentò di allontanarlo attraverso il dorso della mano; si toccarono e una scossa di eccitazione li invase. Egli si accostò,stregato,già dimentico del loro litigio.
-Stai con me,ti prego,non unirti a…-la supplicò.
-Il solo fatto che tu me ne ritenga capace,mi fa meditare.- lo aggredì, era davvero sull’orlo delle lacrime.
Uno schianto.
Oliver si girò di scatto,disorientato e spazientito. Riprese velocemente l’ampollina,celandola nel suo mantello cobalto; impugnò la bacchetta; gettò uno sguardo smarrito alla strega e disparve.
Vivian si strascicò all’uscita dalla classe, prostrata dalle emozioni discordanti che aveva assaggiato in quella manciata di minuti.
Se la situazione divenisse insostenibile…
Cacciò in fretta il biglietto dall’inchiostro sbavato.

GRIMMAULD PLACE,N°12,LONDON

Non lo incendiò.
Cose che paiono inutili a primo acchito,possono rivelarsi utili in seguito.



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NEW SCOTLAND YARD

Contemplava la scritta argentata sul gigantesco quadrilatero. Tamburellò pensierosa sulle tasche dei jeans.
Gli omicidi si erano protratti ,a intervalli approssimativamente regolari,per dieci anni. Un decennio in cui la polizia non era venuta a capo di nulla,se non per alcuni particolari: gli assassini agivano sia in gruppo che separati,indossavano maschere bianche e mantelli neri,non uccidevano con i metodi tradizionali.
Le porte automatiche le consentirono l’ingresso nell’atrio del leggendario quartiere di polizia.
Si ruotò intorno,spaesata dall’andirivieni di agenti e dai quadrati delle luci al neon ritagliati nel soffitto,tipo un ospedale…un ospedale psichiatrico,le suggerì la mente,inquieta.
Impiegò uno sforzo non indifferente per sbarazzarsi di quelle fosche considerazioni. Doveva concentrarsi sullo scopo per cui era giunta.
Interpellò un poliziotto,domandandogli gentilmente a quale piano fosse la sezione investigativa.
-Ah,il CID*…
-Il CID?-lo interruppe.
-Si,il Criminal Investigation Department. Si occupano della risoluzione dei crimini più gravi. Hanno il compito di indagare sulle circostanze del crimine e di raccogliere informazioni utili per l’identificazione del criminale.- la informò,affabile.
-Dunque, sono proprio loro che mi servono.- sorrise,un lampo negli occhi verdi.
Il ragazzo le posizionò con circospezione una mano sulla schiena.
-Venga,l’accompagno.
-Grazie mille!-era sollevata,almeno non avrebbe girato a vuoto.
Attraversarono dei corridoi,presero l’ascensore,terzo livello.
Il suo accompagnatore le bisbigliò un nome,indicando un uomo brizzolato con la cravatta allentata, che stava chiacchierando animatamente con un suo collega tarchiato.
Lei salutò,riconoscente,il poliziotto al suo fianco.
La stanza era zeppa di uomini e donne che affollavano le scrivanie,distributori di caffè,acqua e spuntini. I telefoni squillavano insistenti,il chiasso faceva da padrone.
- George Bardeen?-egli sospese la discussione e la studiò,accigliato.
-Si,sono io. Cosa vuole?- l’interrogò,brusco.
-Sa dirmi chi era in servizio negli anni dal ’75 all’’81?-in quell’arco i delitti erano stati più efferati.
-Chi è?Una giornalista d’assalto o un’investigatrice dei piani alti?-quella domanda innocente lo aveva innervosito.
-Nessuna delle due.- lo rincuorò.
Cacciò un pacchetto di Lucky Strike,se ne accese una e la esaminò con la minor tolleranza possibile,come un gatto che ammiri un uccellino dibattersi tra le sue grinfie.
-E,mi illumini,la prego: perché precisamente desidera saperlo?
Annaspò dentro di sé per scovare una scusa plausibile.
-Una mia amica morì in quegli… attentati.- sparò.
- Mhn?- non era certa al cento per cento che avesse abboccato- E come si chiamava?
Richiamò difficoltosamente alla memoria i nomi delle vittime,a cui aveva badato distrattamente nella lettura dei vecchi giornali.
-Lindsay…Lindsay Greenwalt.- le tornò alla mente,infine.
-Non me la ricordo,fu tanto tempo fa.- le confidò,spossato.
La guidò in uno studio con delle finestre interne che davano sugli uffici,e una sola affacciata sulla strada. Aprì uno dei cassetti di grigio metallo attaccati al muro,rovistando tra i documenti.
Buttò sulla scrivania un fascicolo voluminoso e una cartelletta.
Si accomodò sulla poltrona accavallando le gambe,tenendo a se il ginocchio destro; la invitò a sedersi.
-Sarà un caso che porterò con me fino alla tomba,ho paura.- le fece palese in un tono tra il rassegnato e l’ironico.
Kathleen lesse il titolo del fascicolo: “Gli Dei della Morte”.
-Poetico,eh?- le fece appurare con una smorfia il detective.
Lei accennò un sorriso.
Sfogliò le pagine,c’erano delle foto in bianco e nero dei cadaveri. Orbite vuote,lucidamente candide,senza pupille,corpi perfettamente intatti. Sui quotidiani che aveva rivisto non erano state pubblicate,evidentemente le avevano valutate inadatte,impressionabili…
George Bardeen si sporse.
-Meglio che non abbia guardato le originali a colori,mettevano i brividi,e ne ho visti molti di cadaveri. Troppi.
Lei annuì.
-Ha una teoria?
-Ne avevo alcune. Era il dimostrarle che riusciva praticamente impossibile.
Aspirò delle boccate. Sembrava assorto.
-I delitti non sono iniziati di botto.- riprese le prime pagine del plico e additò il nome di una località- Little Hangleton,1973. E’ il punto di partenza, ci fu pure un uomo che arrestarono,ritenendolo il responsabile.
- Frank Bryce?-occhieggiò Kathleen.
Alzò la testa, meravigliata:- Aveva una gamba di legno!!!
-Esatto. Da solo non si sarebbe avventurato ad uccidere tre persone. Con quale movente,tra l’altro?Era il loro giardiniere,era stato in guerra,e sono saldamente convinto che fosse l’ultimo dei suoi desideri commettere un omicidio. Nonostante ciò,dovevano incriminare qualcuno e il vecchio Frank ci è capitato di mezzo.- le riassunse con una nota di compassione.
-I Riddle…-esalò la donna.
Per la primissima volta in quella sua tormentata vita era sicura di una cosa. Conosceva quel cognome. Oh,si.
Lanciò spicciativamente un’occhiata alle lancette dell’orologio: l’ora di pranzo. Doveva concludere con urgenza, con suo vivo rammarico.
-Perchè terminarono gli assassini?
-Bah,chi lo sa! L’ultimo ad essere ammazzato fu un certo James Potter.La sua compagna,Lily Evans,scomparsa. Morta, può darsi. Le celebrarono il funerale. Il bambino è ancora vivo.
LILY EVANS,le rimbombò come un tamburo nel suo cervello.
Necessitò di appoggiarsi al tavolo per quietare il senso di vertigini.
-Si sente bene?
- S-si…-rispose a malapena.
-Se lo desidera…
- No.- gli ingiunse con un gesto della mano.
-Senta,-sussurrò confidenzialmente- se ha qualche informazione in merito,me la dica,potrebbe essere importante…
-No.- disse nuovamente- Sono confusa quanto lei.



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Draco si stava sfilando,affaticato,le protezioni di cuoio dalle gambe nello spogliatoio della sua squadra. Era stato un allenamento tosto.
Un suo compagno,ancora con la tenuta da Quidditch,sbucò col fiatone dall’entrata e gli riferì qualcosa all’orecchio.
Irritato,fissò l’armadietto metallico di fronte.
Zabini.
Era più grande di lui, ma ragionava come un bambino di cinque anni.
SE ragionava,pensò,beffardo.
- Gregory, prelevalo da quella bolgia e portamelo.- comandò secco.
Il nerboruto obbedì.
-Oh,ciao Vivian.- balbettò,scontrandosi con lei sulla soglia. La ragazza gli riservò un’occhiata disgustata,che lo fece diventare paonazzo per l’imbarazzo.
- Tutto a posto?
Vivian avanzò verso il fratello.
- Sarei stato alla grande se Zabini non avesse fatto questa levata di capo.- sbottò,acido.
Vivian inclinò la testa,stupefatta.
-Hai abbracciato la causa?
- L’ho sempre sostenuta.- non la guardava negli occhi,prevedibile.
-Oh,si,hai SEMPRE voluto applicarti un bel marchietto con il consenso di papà.- lo canzonò. Era stanca di controllarsi,di darsi un contegno. Per quale motivo,poi? Il suo mondo si stava sgretolando,e lei non era assolutamente incline ad essere gentile con chicchessia.
-Datti una calmata,non è colpa mia se hai perso la tua posizione.
Affondò i denti nel labbro inferiore.
-Prenditela con Chris.- le consigliò,noncurante.
Erano irati,entrambi per ragioni dissimili.
- Sai,mi era stata concessa l’opportunità di scegliere. Essendo il figlio di Lucius Malfoy,non avrebbero mosso obiezioni. Io…mi ci sono recato con i miei piedi,però.
-Non ti credo.- gli comunicò fermamente,le mascelle serrate.
- Non vuoi accettarlo.- adesso la vedeva davvero. I suoi occhi penetravano,simili a spuntoni di ghiaccio,quelli della sorella.
Ad un tratto realizzò.
Come aveva potuto essere talmente cieca? Si era chiesta in molteplici occasioni perché lui e non lei. Ed eccola la risposta,alla fine. Draco aveva acconsentito di sua spontanea iniziativa,senza la pressione del loro padre. La vecchia bacchetta spezzata la conoscevano sin da bambini,l’edificio ad archi abbandonato,le sale ghiacciate in cui giocavano a nascondino,e le sere che passavano accovacciati intorno al fuocherello magico ad inventarsi storie terrificanti…Il quartiere generale di Voldemort. Di nuovo,aveva desiderato dare credito alla sua interpretazione della realtà. Lucius aveva frequentemente dimostrato meno riguardi per il primogenito,e chissà per quale visione distorta a Vivian era parso verosimile che avesse costretto Draco a unirsi ai Mangiamorte.Che sciocca era stata! Il genitore forse era stato severo con il giovane Malfoy,ma non aveva mai cercato di influenzarlo con le sue idee. Le opinioni di Draco,pur se pericolose,erano le sue. Vivian si era bevuta la frottola che aveva costruito lei stessa. Quando il giorno di Natale l’aveva pescato in avanzata crisi di rigetto,aveva ritenuto che Lucius l’avesse trascinato da Voldemort con il definito intento di marchiarlo. Non era stato così.
O Dei,la verità non solo era dolorosa,ma anche caleidoscopica. Si ricordò che nel librone di Storia della Magia,tra i resoconti dell’inezia di processi ai Mangiamorte,aveva appreso che la crisi di rigetto avveniva una settimana dopo l’impressione del tatuaggio. E si presupponeva che Draco l’avesse ricevuto la sera precedente.
No.
Il tatuaggio era stato stampato prima sulla pelle del ragazzo.
Chiuse le palpebre.
Le riaprì.
- E Hermione?Che le dirai? Storielle come a me?- lo punzecchiò.
Egli non raccolse la provocazione e le volse la schiena,indispettito.
-Bene. Bene.- ripeté,furente.



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-Cosa vuoi per cena?
L’uomo si scostò un ricciolo dalla fronte,si liberò dagli occhiali da lettura e focalizzò la persona che gli stava davanti.
Sua madre.
Una splendida anziana : alta a discapito delle spalle incurvate dalla vecchiaia,capelli raccolti e iridi celestine,altezzosa.
-Niente di preparato,qualcosa di veloce.
Lei si mostrò contrariata.
-Un buon pasto completo non ti nocerebbe ogni tanto.- lo rimbrottò,inaspettatamente tenera.
-Lo so,però…- indicò il microscopio sulla scrivania,le schede e gli appunti sparsi.
-Come non detto.
-Panino?
-Panino.- approvò,conciliante.
Rebecca lasciò la stanza,apprestandosi a fornire disposizioni alla cameriera.
Fuori le nubi si imporporarono gradualmente,il sole si infiammò e ben presto spruzzi bluastri e rosa pallido tinteggiarono il cielo…e fu sera.
Strizzò gli occhi,esaurito dal leggere notizie su quelle bizzarre erbe di montagna. Le foglie dell’olmo secolare in giardino stormivano in balia del venticello serale. Avvinghiato ad un ramo,la testolina che si muoveva a scatti,un corvo spiava l’interno della sua camera,il becco adunco,pienamente individuabile nell’oscurità che progrediva.
Si tolse gli occhiali,se li massaggiò e controllò l’orologio. Erano le nove e rifletté,dubbioso, che i genitori non avrebbero cenato in sua assenza. Attendevano quietamente ciascuna sera che ultimasse le sue ricerche.
All’università si era laureato in farmaceutica,tuttavia conduceva esperimenti assidui su delle piantine speciali,per lo più velenose,incrociandole tra di loro.
Si mise in ascolto.
Nessun segno di rumori al piano terra.
Strano.
Avrebbe giurato due ore prima di aver udito il tintinnio di piatti e bicchieri che venivano posti sul tavolo del salone e la madre rimproverare la cameriera per la caduta di alcune posate.
Scese con cautela le scale,come se un istinto primordiale lo inducesse ad avere paura di un’entità invisibile. Comunque sia,non se ne spiegava la causa. Il gorgoglio allo stomaco era il consueto,la voglia irresistibile di staccare…idem.
Il crepuscolo spandeva il suo tenue chiarore sui candelabri d’argento annerito,combatteva con le tende pesanti e smorte del salone.
Quasi non inciampò nel tappeto per tastare l’interruttore della luce.
Un attimo.
Era il tappeto?
Tremò.
Non era buio pesto e distinse una sagoma umana riversa ai suoi piedi.
Era categorico trovare l’interruttore.
-Non lo farei,se fossi in te.- una voce emerse dalle tenebre.
Scrutò impazientemente la stanza. Non era una voce famigliare, un ladro?Si,un ladro a cui era scappato il morto. O i morti?,saettò nel suo cranio in subbuglio.
-No,per tua sfortuna,non sono un ladro,Thomas.
Ancora.
Doveva dedurne che aveva ucciso i suoi genitori e la cameriera?
La paura che all’inizio non aveva avvertito,cominciò ad affiorare.
-Thomaas.- sibilò con enfasi.
Una bocca carnosa,un naso dritto,e due occhi come avventurine vennero a galla. Si fissarono. Uno sguardo magnetico,conturbante.
- Aifa?
Le sue pupille ebbero un guizzo.
-Mia madre ti doveva amare alla follia per affibbiarmi il tuo medesimo nome.- ammise con vena malinconica.
La verità comparve nei suoi pensieri simile a una tempesta,i fulmini che fendevano il cielo erano abbaglianti e laceranti.
Suo figlio.
Abbrancò lo schienale di una sedia. Si era ingenuamente figurato che, in conseguenza al suo abbandono,Aifa e il suo bambino fossero morti di stenti. Al contrario,quello che era stato un neonato,ora era lì,sano,forte e con un ghigno minaccioso in viso.
Distolse lo sguardo.
La sua somiglianza con Aifa era lampante…e lui aveva creduto di aver rimosso tutto. Il passato,ahimè, non si può cancellare. Al limite,è concesso fingere che non esista e sia un qualcosa di labile…ma in qualche maniera ricadrà su di noi.
Ed ecco Thomas osservare un altro Thomas. Una parte di sé che pensava di aver dimenticato,di aver disfatto.
-Li hai assassinati?- chiese, non prestando fede alla sua stessa domanda.
-Si.
Il padre parve assimilare penosamente il concetto. Era così scioccato che non riusciva a provare nessuna sensazione.
-La vendetta non è utile a nulla,di questo ne sei al corrente?Non ti sentirai meglio…più tardi.
-Abbiamo idee diametralmente opposte su cosa significhi la vendetta.- dichiarò Tom,compiaciuto- Non pretendere di imbambolarmi con insulsi principi cristiani. Qui l’ipocrita sei tu,non io.
Nel suo tono non c’era comprensione o un qualunque sentimento di pietà. D’altronde,non lo biasimava. Se esisteva qualcuno che aveva creato quella specie di vendicatore,era lui con il suo rifiuto di volerlo allevare. Persuaso che sua moglie fosse matta come un cavallo per i suoi discorsi sulla magia,una mera fandonia per divertire e intrattenere i piccoli. Le sue supposizioni di allora,suo malgrado,erano confutate dalla verga magica che stringeva in mano Tom,luccicante al barlume della luna.
Improvvisamente indovinò il suo destino.
-Ho solamente una questione da porti.
La bacchetta,adesso,era premuta sul suo collo. Il suo pomo d’Adamo andava su e giù,impazzito.
Bizzarro,ora che i suoi minuti erano contati,la magia per lui era vera,autentica. E stava per essere usata contro di lui.
- Mia madre ti faceva schifo o era la magia il problema?
-Io amavo Aifa.-proferì l’uomo con voce rotta.
Tom ingoiò la confessione.
-Chissà?Magari vi rincontrerete!- finse di consolarlo,serafico.
Un sussurro e la maledizione fu scagliata.
Un tonfo.
-Anche se non credo proprio.
Il corvo sull’albero gracchiò e si librò in volo.



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Rodolphus schiacciò l’ennesima cicca nel portacenere e squadrò meditabondo Tom.
-Perché?Sei convinto che lo farà?
La fronte di Riddle entrò in contatto col freddo vetro della finestra.
Chiuse gli occhi.
- Lily è fortemente impulsiva e un fatto del genere…- si distaccò dal vetro- Ah,non lo so!
Sollevò l’indice verso un punto inesatto.
-Nello stato in cui è,sarebbe in grado di fare tutto.
Cadde pesantemente sul sofà,le mani che coprivano il viso.
-Lei…non deve…
Rabastan Lestrange,il quale si era tenuto in disparte durante la conversazione,poggiò una mano su una spalla di Riddle.
-Non lo permetteremo.- lo rassicurò,risoluto.
Tom lo scansò,infastidito e ansioso per la sua donna.






Note
-CID si legge sid.
-Aifa,principessa della Terra delle Ombre, si era unita all’eroe irlandese Cuchulain,generando un figlio,Connla,che quest’ultimo uccise. Qui accade l’inverso.
Dona86
00sabato 11 settembre 2004 15:41
§Capitolo ottavo§
§CAPITOLO OTTAVO§




Fuuu.
Spense le candeline bianche e rosa,affondate nella torta glassata.
Applausi,giubili.
Trentotto anni.
Era la sua vera età?Non lo sapeva. Aveva stabilito la data del suo compleanno insieme a Melanie,all’inizio della stagione in cui sbocciavano i fiori.
La sua benefattrice aveva appeso nel salotto festoni colorati,sul tavolino aveva disposto stuzzichini,panini ripieni,patatine industriali,pasticcini,pizzette…
Gli invitati non erano molti e la maggior parte erano persone anziane,come Todd ed Emma,loro “vicini” di casa,anche se essa si trovava ad alcune miglia di distanza. Melanie li conosceva dall’infanzia e vi era in buoni rapporti.
Era presente qualche collega dell’ufficio in cui Kathleen lavorava,ma con cui non era tanto intima e aveva invitato per fare numero. Melanie era convinta che con parecchia gente intorno la sua figlia adottiva riuscisse a distrarsi.
La protetta sorrideva,indulgente,all’ingenua convinzione della signora.
-Hai espresso un desiderio?- chiese Julie, la nipotina della vecchia Sallie,battendo eccitata le mani.
-Oh,Julie!Non è obbligatorio.- la riprese la madre,scocciata.
La rossa annuì alla piccola,complice.
-Quale?Quale?- insisté,impertinente,la bambina.
Le scompigliò affettuosamente i capelli.
-Non si rivela,altrimenti non si avvera.
Melanie la scrutò,corrucciata,Kathleen aveva l’espressione lontana e istintivamente si era toccata il ciondolo con il giglio e i serpenti aggrovigliati. Che genere di desiderio…?
-Stai attenta a ciò che desideri,potrebbe avverarsi.- avvertì una voce alle loro spalle.
Si voltarono in quella direzione e videro una donna dai ricci castano chiaro,occhiali da sole sopra la testa,fazzoletto zafferano al collo,giubbotto da cow-boy,camicia a quadretti,pantaloni e stivali da cavallerizza stare in piedi al centro del salotto.
Le pupille di Kathleen si dilatarono per la sorpresa e l’istantanea felicità.
- Joanna!-gridò di gioia.
Si abbracciarono compiendo una semigiravolta.
-Piano,piano,così mi soffochi,cara!Ahahah!!!
Lei mollò la presa.
-Oh,Dio,che splendida sorpresa!Quando sei arrivata?Dove stai?E Ted?L’hai mandato al diavolo?
-Ehi,calma!-si fece scudo con le braccia incrociate davanti al viso,colta alla sprovvista dalla raffica di domande dell’amica- Sazierò la tua sete di sapere soltanto con una buona tazza di caffè.
-Vieni in cucina. Ah! Vuoi…?-indicò la tavola imbandita.
-No,grazie tante. Non poserò i miei occhietti innocenti su quella roba per un po’. Sono dieta a ferrea.
- Nooo,tu?!-accese la macchinetta del caffè,si erano fiondate in cucina,dimentiche degli altri ospiti.
-Eh,si,IO. Un mese fa mi sono guardata allo specchio e quello che ho visto non mi è piaciuto per niente. Era necessario darci un taglio…in tutti i sensi!- le ammiccò, agguantando un rotolino di ciccia sulla pancia.
-E poi- continuò- ora che Ted sembra essere definitivamente sparito dalla circolazione assieme alla sua scontatissima biondina,devo cercare hobby che mi tengano attiva.
La macchinetta fischiò e un liquido color sabbia colò lentamente da un beccuccio,colmando una tazzina bianca.
Joanna schioccò la lingua,soddisfatta:- Aaah,caffè italiano!
-Mi dispiace per Ted.- Kathleen le offrì il caffè fumante.
-Oh,era finita ancora prima di incominciare. Non è stato un granché come secondo marito.- le confidò con franchezza.
Kathleen la osservò. Si era sempre domandata in che modo Joanna fosse piombata nell’ospedale psichiatrico di Penzance,a deprimersi in un mondo capovolto,in cui molti non erano al corrente di essere nemmeno vivi. Comunque sia,non sopportava gli spazi chiusi e aveva levato le tende ben presto,non senza una calibrata dose di insulti per il comportamento sconsiderato dei dottori verso i loro pazienti. Era tornata per un determinato periodo di tempo in Australia,il suo paese natale,benché i suoi genitori fossero italiani. Adesso andava in giro con medici senza frontiere per l’India del Sud e aveva la pelle cotta,rovente del sole di quel posto.
-Come mai qui?
-Che domande!Per vedere come stavi e ho pure avuto la fortuna di venire nel giorno del tuo compleanno!Che tempismo,eh?
Kathleen rise di gusto.
-Sei una furbacchiona,Jo!
Joanna si rabbuiò.
-Hanno distrutto la nostra filiale a Tiruchirapally . I soliti noiosi corpi sovversivi. Egoisti che pensano che la salvezza della nazione risieda nell’abbattere qualsiasi infiltrazione straniera. Un branco di autentici idioti. Ci hanno mandato a casa per qualche mese.
-Dovresti essere nella tua vera casa.
-Sei sorda? Non c’è nessuno che mi aspetti là.- le evidenziò.
-E tua madre?
- E’ morta l’anno scorso.
Sgranò gli occhi:- Le mie condoglianze.- mormorò,mortificata.
-Grazie.
Silenzio.
-Avevi un colorito migliore nell’ultima occasione che ci siamo incontrate. Sei sciupata e scommetto che è per quell’uomo.
Kathleen iniziò a tremare. Come…?
-Quale uomo?-finse di sorridere,tipo se Joanna l’avesse sparata grossa,ma il suo volto restava una gelida maschera di marmo.
- Tom Riddle,no?Non mi dire che in tutti questi anni tu non ti sia mai ricordata di lui?Accidenti,urlavi notti intere il suo nome.
-Dunque -la guardò negli occhi- l’hai ritrovato?
Una nube nero inchiostro offuscò la sua vista.



§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§



Thomas la tempestava di baci suadenti lungo il collo,prendendo delicatamente la pelle tra i denti,succhiando,leccando.
Era sopra di lei.
Alzò gli occhi penetranti,in grado di assorbire ogni volontà di resistenza,le gote imporporate dal piacere. Ciò che gli si leggeva in viso pareva ingannevolmente una domanda,ma non era null’altro che una richiesta.
Lily sorrise,accarezzando la sua scura chioma.
Giocava a fare l’arrogante,illudendola come se fossero tornati indietro alla loro prima esperienza.
Un gemito compiaciuto le uscì dalla gola e si aggrappò al cuscino. Lui si tirò in avanti e la strinse,per quanto possibile,tra le sue braccia. In quelle settimane il loro desiderio era cresciuto,e non riusciva a decifrare se questo fosse positivo. Erano stati spesso distanti quell’anno e quando lui ritornava l’unica maniera per recuperare il tempo perduto sembrava quello. Quando Thomas ritornava pareva aver perso un pezzetto di sé per strada. Capirlo,inoltre,era un affascinante,se non snervante,enigma. Aveva ritenuto che in fin dei conti il suo pensiero fosse semplice. Uno sbaglio grossolano. Voleva sentirsi ed essere importante,però il ragionamento si snodava in sentieri talmente contorti che era arduo scovare la via giusta e arrivare alla fine.
Si levarono delle grida appagate.
Thomas ricadde,cauto,sui suoi seni,stremato e madido di sudore.
- Lily.- sbuffò con trasporto,catturando una sua mammella e massaggiandola dolcemente.
Lily assaporò quella sensazione di pace,serenità interiore. Batuffoli dorati di nuvole si rincorrevano nel cielo lapislazzulo. Poteva essere che la Terra non arrestasse la sua corsa nemmeno per un attimo?
Si godé il tepore e il brivido elettrizzante del corpo di lui contro il suo,ascoltò i respiri e il battito regolare dei loro cuori. Si erano fusi in un solo essere,fragile,controllato da finissimi fili destinati a spezzarsi e ad infrangere l’atmosfera surreale di cui era impregnata la camera da letto.
Tom si levò a sedere di botto.
-Che succede?
-Lo vorrei sapere pure io.- le confidò a denti stretti,lo sguardo truce.
Sembrava stesse analizzando qualcosa o qualcuno al di fuori della porta.
Lei gli carezzò una coscia: aveva i nervi tesissimi.
-Rilassati.- gli soffiò all’orecchio,trattenendolo per la vita.
-Devo…
Si sciolse da lui. Era all’oscuro della causa,ma quella trepidazione per andare via,l’aveva irritata ed ora passeggiava irrequieta per la stanza.
Lui rimaneva lì,sulla sponda del letto.
-Cosa c’è che non va?
-Sai cosa c’è che non va.-disse,schiva- Il mondo va avanti anche privo di te.- le sfuggì.
Thomas si dimostrò piccato da questa affermazione.
Si rizzò in piedi e fermò la sua passeggiata,bloccandole i polsi.
- Lily,amore,guardami. No,- lei si divincolò- ti prego.- la implorò. Lei si placò.
-Io non potrei camminare,respirare,vivere,se tu non ci fossi. Tu dai un senso alla mia vita. Mi sarei suicidato se non ti avessi conosciuto,non scherzo!Tu sei la mia normalità,non te lo scordare,le radici che mi tengono saldo al terreno.- le baciò febbrilmente le mani.
Lily non volle udire di più. Lo abbracciò,affondando il capo nel suo petto.
-Non ti credo.- sussurrò impercettibilmente. Thomas chinò la testa per accertarsi di non esserselo sognato,ma la giovane aveva le palpebre chiuse e un’espressione di beatitudine disegnata sul viso.



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Kathleen rinvenne,Joanna le scostò affettuosamente un paio di ciocche.
-Ehi.- la chiamò.
Provò a schiarirsi la voce,la bocca impastata.
- Mel, porta un bicchiere d’acqua.- le venne in aiuto l’australiana.
Kathleen ne bevve brevi sorsate.
- Lily Evans è la chiave del mio passato.
Joanna,impreparata a quella dichiarazione,si accigliò e chiese:
-Chi è per te questa donna?Pensi sia una tua parente?
- Non lo so ed è per questo che è fondamentale che io lo scopra.
Melanie pareva contrariata,la festeggiata lo notò.
-Qual è il problema?- la interrogò con un’aggressività che non le era abituale.
L’anziana signora increspò la fronte.
-Non intendo il motivo per cui tu voglia ritrovare questa persona. Insomma,sei stata tanto bene sino ad ora,hai avuto una vita tranquilla,- si accalorò- e non vedo ragione comprensibile per avventurarti in…
- Melanie, ti pare che in questi sedici anni io sia stata effettivamente BENE?!- d’un tratto una rabbia spropositata aveva cominciato a montarle dentro- Come mi giustifichi,allora,un biennio nell’ospedale psichiatrico,il mio andirivieni dagli psicanalisti,le mie relazioni instabili,i miei incubi,la sensazione…-faceva fatica ad ammetterlo faccia a faccia con la sua tutrice-…di aver perduto qualcosa,qualcosa di prezioso,vitale?!L’ irrimediabile sensazione di trascorrere un’esistenza inutile e apatica.- concluse con un flebile sussurro.
Melanie mosse le labbra,incapace di articolare una singola parola. Kathleen non si era mai comportata in quella maniera nei suoi confronti,si accorse,disorientata,che stava sperimentando un lato sconosciuto del suo carattere.
-A…a cosa ti può servire,bambina mia?-tentò di affievolire i toni.
-A definire finalmente la mia identità.- si levò dal pavimento. Di colpo,Joanna e Melanie non videro la solita Kathleen,ma una donna diversa. La testa alta,gli occhi verdi luminosi,brucianti di determinazione.
-Chi sei tu?-scappò in un bisbiglio meravigliato alla vecchia.
Lei ignorò il quesito.
- Joanna,telefona a Scotland Yard e informati se ci sono stati dei nuovi casi irrisolti,per favore. Meglio se ti passano l’ispettore del CID Bardeen,George Bardeen. Se sono restii a collaborare,comunica che Kathleen Davies ha intenzione di fornire dei dati utili sui cosiddetti “Dei della Morte”.
Joanna esitò.
-Ce l’hai sul serio?
-Che?
-I dati.
-No.- fece spallucce- Però è l’unico sistema per tenerli sulla corda.
L’amica ammiccò ridacchiando e si apprestò all’apparecchio.



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Mangiava.
Il boccone che stava trangugiando,aveva sapore?
Si concentrò.
Insipido…o era lei che era diventata insensibile al cibo?
Giocherellò con una patata con la forchetta.
Il vociare della Sala Grande era appena udibile alle sue orecchie,ovattato,fuori dal suo universo.
Incrociò degli sguardi indagatori,freddi,distanti. Che parlassero pure.
Si era isolata,sprofondava piano piano nell’abisso delle sue riflessioni caliginose,fumose.
Qualcuno la richiamò in superficie. Fu come una frustata.
-…scendi dalle nuvole,si o no,Vivian?!-era Freya che si stava schiacciando dei piselli sul piatto. Squadrò un ragazzo che stava sghignazzando nella loro direzione.
-Ehi,tu!-gli si rivolse in cagnesco- Che hai da guardare?
Vivian le poggiò una mano sull’avanbraccio.
-Non serve.
-Ma…!
-Davvero.
Freya la contemplò,meditabonda. Abbassò il capo.
-Non mi piace che ti abbiano strappato le qualifiche di caposcuola e prefetto.
-Me le hanno REVOCATE,non strappate.- precisò,atona.
-Non mi interessa,per me è un affronto.
Questo la colpì.
-Affronto?
-Si,a te e alla tua famiglia. Che scherziamo? Questa scuola non sarebbe ancora in piedi senza il contributo in liquidi di tuo padre!-si infervorò- Silente è un ingrato,insieme alla sua ciurma di disadattati!
-Calmati. Silente si è quietamente attenuto ai fatti e,per la cronaca, IO ho revocato le mie qualifiche. Il preside mi ha anche consigliato di non essere affrettata,ma non mi sembrava opportuno.
Freya la fissò,allibita.
-Hai dato completamente di matto?
Vivian si innervosì,spezzò la patata in due. Un pezzo rotolò fuori dal piatto.
-Possiamo chiuderla qui?
-In che senso?
Non rispose.
Si pulì la bocca ed uscì dalla sala.
Stanca di rispondere. Voleva essere invisibile e non essere uccisa ancora,ancora e ancora da quelle occhiate. Non provare nulla. Smettere di essere umana.
Smettere,addirittura,di respirare.
Forte?Lei non lo era,però la gente pensava che lo fosse e lo era divenuta,o così aveva creduto. Non era pronta a quello che le si prospettava,in un futuro incerto nel quale suo padre avrebbe potuto morire sotto la bacchetta di un ipotetico Auror qualsiasi mandando in malora la famiglia,può darsi con conseguente confisca dei beni e vendita all’asta della casa. Non le si poteva rimproverare di essere pragmatica,però con disprezzo per se stessa si rendeva conto che ciò che maggiormente le premeva era: dove sarebbe stata per quell’epoca?Sarebbe sopravvissuta a quella guerra?Che ruolo avrebbe avuto?
Il suo desiderio in quel frangente era appartarsi in un angolo solitario e piangere. Perché non si esaudiva una cosa banale?
Rise tra sé. Piangere per quale causa?Per circostanze facilmente prevedibili?
Si versavano lacrime per avvenimenti improvvisi,inaspettati,non per il naturale corso degli eventi. Naturale? Si lisciò i capelli,lucidi,neri. Si prendeva in giro. Lei era il risultato di come la natura non facesse il suo dovere a volte.
Appurò con disappunto che la panchina di pietra grigia sullo spiazzo adiacente al titanico orologio di Hogwarts era occupata. Una massa di ricci ramati copriva il volto chino della persona,i singhiozzi rumorosi.
Il grifone dorato fiammeggiava sulla divisa.
Sarebbe stata buona idea proseguire,non sopportava disturbare l’intimità altrui…lo scricchiolio di un ciottolo sotto le sue scarpe la tradì.
La ragazza levò di scatto gli occhi.
Hermione!,esclamò mentalmente Vivian.
La sua espressione era simile a una maschera tragica. Le pupille spiritate,la bocca semiaperta,le rughette ai contorni piegate in giù.
Tirò su con il naso.
Fece per alzarsi,ma Vivian la pregò con un gesto di rimanere.
Intuiva l’oggetto del suo pianto:Draco. Non immaginava che fosse una relazione seria per lei. Lo amava? Si guardarono,Hermione che cercava penosamente di ritirare le lacrime,non facendocela,suo malgrado.
Non fu in grado di calcolare quanto stettero lì a studiarsi,l’aria immobile,il cinguettio degli uccelli e il profumo delle gemme sbocciate intorno a loro.
Un tempo eterno,cristallizzatosi in un momento.
Che c’era da dire?Si era detto poco,molto,troppo. Che importava?Adesso era necessario ascoltare. Captare le urla delle loro anime in tumulto per motivi tanto diversi e tanto uguali che si toccavano,combaciavano,si completavano.
Fece comparire un fazzoletto di lino,glielo porse.
Lei lo accettò. Non lo utilizzò per asciugarsi il viso bagnato e arrossato. Lo strinse a pugno nella sua mano.
Hermione voleva piangere finché le sue ghiandole lacrimali non si fossero prosciugate.
Vivian le accarezzò d’istinto la chioma,si sedette e l’abbracciò,permettendole di inzupparle la cupa uniforme.
Il minimo. Il minimo in quell’inferno.



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Bellatrix sbatté,inferocita,la bacchetta sul tavolo dell’impersonale sala da pranzo del quartiere generale dell’Oscuro Signore.
-Siete un maledetto branco di ragazzini!!!-tuonò,imbestialita- Degli irruenti,degli impulsivi…
-Che ne sarà di noi?- l’apostrofò Christian Zabini.
La Mangiamorte ghignò.
-Chissà?Se siete fortunati un Imperio: non potrete agire conformemente alla vostra volontà,un gran sollievo,devo ammettere.
Diventarono pallidi,la donna rise,trionfante della fifa che aveva suscitato in quei giovani.
- D’altra parte,convenite con me che a casa non potrete far ritorno.- li mise in guardia Severus Piton,che era apparso con un fruscio di vesti.
Alla sua vista gli studenti disertori si acquietarono leggermente,l’insegnante era una figura familiare per loro,rassicurante rispetto a quella parente delle Banshee che si stagliava nella sua alterigia di fronte a loro. Cavoli,non era mica Lord Voldemort,ma impartiva ordini di qua e di là,tipo fosse lei il capo!
-Perdite?
-Dieci Serpeverde,signore. Catturati,non…morti.- si sbrigò ad aggiornarlo un ragazzo dai capelli a spazzola,cosparso di lentiggini,un certo Jonathan Thwelis.
-La metà,quindi.- calcolò,diplomatico. Srotolò una pergamena e vi scribacchiò qualcosa sopra.
-Specifica tutti SERPEVERDE,Severus.E’ una vergogna.- sottolineò acida,Bellatrix.
-Dovevamo pur sottrarci…-protestò Christian.
-Silenzio!-lo zittì la mora- Siete stati incauti e vi siete fatti sorprendere. Azkaban sarebbe stata la lezione per la vostra negligenza.- era tagliente. Lei aveva scontato la bellezza di quindici anni in quegli antri bui,puzzolenti,folli. Aveva sfiorato la pazzia tra quelle putride sbarre. Solo un pensiero costante la ravvivava ogni ora,giorno,mese,anno: lui,Thomas Riddle,non solamente Voldemort per lei. Aveva smosso mari e monti per essere la sua favorita,abbattuto ostacoli insormontabili. Eh,si. Lei dov’era?Era morta? Questa possibilità la allettava e regalava pace al suo animo in cui - bizzarro -si affacciava qualche rimorso sporadico.
- I vostri compagni delle altre case?
-Continuano a svolgere la loro missione.- riferì con un filo di rammarico Jonathan,punzecchiandosi il labbro con i denti.
-A posto.- ripiegò la pergamena e la sigillò.
Leslie Rock,una castana dagli occhi oliva,fremette timorosa.
-Ci darà…?
-Cosa?Ah,-intuì il muto interrogativo- suvvia,non siete dei bambinetti da punire.- sventolò la mano,come se si volesse liberare di una mosca.
Bellatrix non era d’accordo,nonostante ciò non lo diede a vedere.
I ragazzi si scambiarono degli sguardi confortati.
-Infatti- riprese il discorso il professore di Pozioni- sarete adibiti a compiti di cancelleria,per evitare che la bacchetta vi scivoli di mano.- gli impartì la stoccata.
Una ventina di occhi si spalancarono sconcertati.
Bellatrix sorrise sotto i baffi: Piton non si smentiva mai.




Dona86
00lunedì 27 dicembre 2004 19:09
§Capitolo nono§


§CAPITOLO NONO§



LXXVIII
Spleen

Quando il ciel basso e grave pesa come un coperchio
sull’ anima che geme,da lunghi tedi oppressa,
e colma l’orizzonte,abbracciandone il cerchio,
d’un lume bigio,triste più della notte stessa;


quando si fa la terra un chiuso umido speco
dove va la Speranza,sbattendo negli assiti
con l’ali sue ritrose di pipistrello cieco,
o picchiando la testa contro i tetti marciti;


quando la pioggia stende i suoi sbiechi ricami,
imitando le grate di un’immensa pastiglia,
e una torma silente di tarantole infami
in fondo ai nostri cerebri mille reti aggroviglia;


d’un tratto furibonde campane si scatenano,
e contro il cielo levano un cupo urlo di morte,
come anime al bando,raminghe anime in pena,
che senza requie gemano dietro le nostre porte.


E lunghi lenti feretri m’attraversano l’anima
senza un rullo,una musica;singhiozza prigioniera
la Speranza;l’Angoscia sul mio riverso cranio
pianta,esosa e feroce,la sua nera bandiera.
(I Fiori del Male,Charles Baudelaire)



Tintinnio di calici,risate,il fuoco scoppiettante nel camino.
Lily respirò a fondo,felice,di buon umore: adorava i compleanni,specialmente il suo.
Era nata il due Febbraio,il giorno della dea Brigit,in cui l’oscurità invernale iniziava a cedere il passo al tenue tepore del sole,che prometteva la venuta di mesi caldi.
Rimirò,serena, il suo fidanzato che conversava amabilmente con le sue amiche. Niente ambiziosi politici per una volta,scomparse le facce gravi degli amici che lo prendevano in disparte per qualche affare.
Non era un pesce fuor d’acqua a quella festa.
Arthur Weasley,già rosso di vino, la salutò e le si fece accanto.
-Allora?- la interrogò con i suoi occhi vispi. Era statuario e gli occorreva piegarsi leggermente per comunicare con lei.
-Cosa?
-No,mi chiedevo se -si grattò il capo- hai intenzione di regalarci qualcosa questa primavera?
Lily arrossì e gli assestò un pugno sulla spalla.
-Oh,Arthur!Sei davvero…indiscreto!
-Sentilaaa… “Sei davvero indiscreto”-la scimmiottò- Sei una snob,Lily Evans.
-Vuoi che ti prenda a calci,Artchie?-sibilò.
-Si,ti prego,almeno ti riconoscerò.- alzò entrambe le sopracciglia,rassegnato.
Lei rise,sconsolata.
-Sono ben lontana dalla ragazzina che tornava a casa sporca di fango e con le ginocchia sbucciate.
-Eri una vera peste!
-Ehii,sempre meglio di voi maschi!-si difese,apparentemente indignata.
-Vuoi un consiglio? Non combinare mai questi scherzi al tuo futuro marito.
-Arthur!-gli assestò una gomitata.
-Ouuuch!-si lamentò,chiudendo gli occhi- Hai una forza insospettabile.
Lei si accorciò le maniche con disinvoltura e tenendo stretto il coltello d’argento,decisamente poco minaccioso, proclamò energica:- Sono una ragazzaccia di periferia,io!
Si riguardarono. Lily con un filo di perle al collo,una camicia di seta con maniche a sbuffo infilata in un bustino nero e una gonna smeraldo che le scendeva morbidamente sulle gambe; Arthur un maglione di cashmere verdone, pantaloni di flanella grigia e lucide scarpe beige.
-Non sono molto convincente,eh?
-Non SIAMO molto convincenti.
Scoppiarono a ridere.
L’orologio parlante a forma di drago medievale spostò la lancetta sulle undici.
-Sono le ventitre.- annunciò,emettendo una nuvoletta di fumo.
Le undici di sera.
Lily osservò gli amici chiacchierare a gruppetti,cercando improvvisamente i suoi genitori,non trovandoli.
Impossibile.
Dovevano essere là per le dieci.
Se c’era stato un contrattempo, per quale ragione non avevano chiamato?C’era traffico?Oh,non essere sciocca,Lily: la strada che giunge fin qui è scarsamente battuta e la neve si è sciolta da un pezzo.
-Molly,io vado a fare una telefonata.
Il telefono era su un mobile adiacente alla scalinata che conduceva agli appartamenti soprastanti.Due vecchi arazzi erano appesi ai muri.
Digitò il numero di casa sua.
Tuu…tuu…tuu…tuu…
E dai,rispondete.
Tuu…
Su!
Tuu…
Accidenti!
Scaraventò la cornetta contro il telefono.
Ritornò alla festa, adesso si stava ballando sfrenatamente e cantando a squarciagola “Satisfaction” dei Rolling Stones.
Trovò Tom al banco dei drink,odiava intonare canzoni. Gli si rivolse,esponendogli l’accaduto,il cuore in tumulto.
-Un attimo,prendo la giacca e andiamo.- si attivò,pensieroso.
Lucius e Severus finirono il cocktail e si fecero avanti.
-Vi accompagniamo.
Narcissa le andò incontro,agitata.
-E’ successo qualcosa?
-No,nulla di grave.- la chetò,Lily- Intrattieni tu gli invitati?- Narcissa annuì.
Sperava.
Si avvolsero nei mantelli e si smaterializzarono.


§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§



La vista delle finestre buie della sua casa d’infanzia non la rincuorò affatto. Salì rapidamente i gradini dell’ingresso;girò la chiave nella toppa,questa si aprì facilmente. Troppo. Non era stata chiusa a chiave. I suoi genitori erano invecchiati,ma non erano stati mai tanto sbadati da lasciare aperta a chiunque la porta della loro abitazione.
No,non ci credeva.
Thomas le afferrò una mano,affettuoso.
-Qual è il problema?
Non voleva fargli vedere che a questo punto era assai preoccupata per sua madre e suo padre. Abbassò il capo.
-Aspettate fuori. Ci vorrò poco.- mormorò e si sciolse dalla presa del suo uomo.
Thomas rimase interdetto e si voltò,turbato,verso i suoi due amici.
“Ci vorrò poco”,l’aveva detto senza pensare, come se andasse a eseguire una commissione di una manciata di minuti. L’aveva affermato per tranquillizzare loro o se stessa?
Si affacciò nella cucina;una torta di fragole giaceva sul legno del tavolo; la panna disegnava delle morbide e soffici lettere cubitali: “HAPPY BIRTHDAY,LILY!”
Mentre sorrideva involontariamente alla vista della deliziosa opera pasticcera di sua mamma,gli si affollarono alla mente una moltitudine di pensieri. Rifletté su come in quel periodo aveva trascurato la sua famiglia,come fosse andata a visitare suo padre solo due volte in ospedale quando si era operato,come a Yule gli aveva inviato un impersonale regalo con un biglietto microscopico di tanti auguri,baci e abbracci e promesse unicamente valide sulla fragile carta. E a come quella sera si fosse ricordata relativamente tardi della loro presunta presenza.
I suoi cari non gli avevano fatto pesare le sue mancanze,i suoi torti,l’avevano ripagata con invariato amore,se non raddoppiato.
E lei?Era stata annoiata,disgustata,arrabbiata per i loro interrogatori su Tom,su quello che faceva,sui,a loro parere,loschi individui di cui si circondava. Non erano terzi gradi,soltanto innocenti domande dettate dall’amore filiale. Lei,ostinata,aveva reagito malamente,accrescendo i loro dubbi,priva del cruccio di dissiparli discorrendo serenamente.
Si impose di concentrarsi. Avrebbe riparato,si confortò.
Ragionò. Il dolce non era stato impacchettato,il che significava o che erano usciti o che… erano ancora dentro casa.
Si mise in ascolto.
Nessun rumore o sentore che ci fosse qualcuno. Il silenzio era quasi spettrale.
Scacciò quell’impressione.
Considerò per buona la prima supposizione. Dove si erano recati? Doveva essere stato qualcosa di urgente,perché altrimenti la madre non avrebbe abbandonato la torta al suo destino e l’avrebbe affidata al frigorifero.
La panna si stava liquefacendo.
Poteva essere trascorsa più di un’ora?
Doveva tornare da Thomas e gli altri e incominciare una meticolosa lista dei luoghi in cui potessero essere,nonché domandare ai vicini.
I vecchi sfaccendati danno sempre un’occhiata al giardino del vicino.
Attraversando il salotto ci fu qualcosa che la bloccò. L’elefantino indiano d’avorio sulla mensola…dov’era?
Si avvicinò.
Una macchia scura. Cera?A Morgan,la sua genitrice, piacevano da impazzire le candele,in particolar modo rosso fuoco e arancione brillante. Le spargeva per ogni stanza. Il profumo che emanavano la rilassava.
La cera non ebbe l’effetto voluto su sua figlia,soprattutto allorché si accorse che non era rappresa ed era un liquido denso e scuro.
La cera si raffreddava istantaneamente.
Vi immerse un dito e se lo portò al naso.
Sangue!
La testa iniziò a pulsarle violentemente. Ad un tratto si rese conto che si congelava in quella casa,tipo ci fossero degli spifferi che permettevano l’entrata dell’aria gelida della notte.
Controllò lo studio dal quale parevano provenire.
Sbiancò.
La finestra era stata completamente infranta e le tende volteggiavano al vento,producendo una danza macabra di luci e ombre sulle pareti.
La frase “Ci vorrò poco” riecheggiò nella sua testa.
Non aveva il fegato di muoversi.
I ladri erano stati maldestri a irrompere a quell’ora, quando tutti li potevano scoprire.
La sua mente compiva simili considerazioni per non perdere totalmente il controllo.
Forse li avevano colti in flagrante,e,riusciti a fuggire,avevano riferito l’accaduto al commissariato che li stava trattenendo?
Striminzito castello in aria. La vita non è un film,Lily.
Spesso il cervello comprende subito ciò che il cuore non desidera comprendere.
Tramite un processo lento e inesorabile intuì che i suoi genitori erano nell’abitazione.
Il cuore aumentò i battiti da farla star male,incatenata dal terrore.
Eppure fece di corsa le scale;eppure spalancò la porta della camera da letto;eppure squadrò i corpi vuoti di sua madre e suo padre senza capire.
Oh,no,la camicetta preferita di Morgan era imbrattata di carminio. Come era pallida!Ultimamente aveva perso appetito. Suo padre,Kevin,la guardava attraverso gli occhi vitrei,immobile.
-Ehi,pà,dovresti fare un po’ di moto,sei soprappeso da qualche tempo a questa parte!-stava per picchiettargli gentilmente una spalla,ma scivolò a terra.
Era in uno Stige di sangue.
La casa urlò.
La mente urlò.
Lily urlò.



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Lucius fu il primo a catapultarsi nella stanza,allontanando d’istinto Lily da quell’orrendo lago vermiglio.
Lei perseverava a strillare sino a che la voce non divenne un rantolo sconnesso. Non era capace di pensare. Si dimenava come una forsennata,tentando di raggiungere nuovamente i cadaveri dei suoi genitori.
L’affidò a Thomas,spaventato dalla furia della donna.
Lui la cullò,incurante dei graffi che gli imprimeva sulla pelle con le unghie,della voglia di sfuggire al suo abbraccio.
- Non puoi fare più niente,non puoi.- le ripeteva,nella vana speranza di acquietarla.
Lei gli mollò uno schiaffo,le pupille infuocate.
-Tu cosa ne vuoi sapere?TU che hai ammazzato tuo padre!-gli inveì contro,lo sguardo inceneritore.
L’accusa penetrò nel cuore di Thomas come una lama affilata.
Lucius si stupì nel constatare che gli mancavano le parole.
-La porto fuori.- li informò,determinato,Severus e,senza molti complimenti,la trascinò via dalla camera.
-Stai bene?- chiese circospetto il biondo.
Lui tirò su il mento,contemplando qualcosa al di là del suo campo visivo,può darsi il nulla,ed esalò:- No…no.



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Non riusciva a starle dietro.
Severus era sconcertato dallo spettacolo che Lily gli stava riservando. Non stava ferma un secondo e,al contrario di piangere, si mangiucchiava il labbro inferiore,gli occhi spiritati,come se stesse meditando un’azione orribile.
Con quei capelli in subbuglio e la faccia bianca come la carta era irriconoscibile: una sorta di Banshee incontrollabile,pronta a cacciare l’urlo fatale.
La questione era quando l’avrebbe fatto.
Lily era spesso irragionevole,e adesso che aveva perduto il senno,quali sarebbero state le sue mosse?
Bah,stai prendendo esageratamente sul serio un fugace delirio,Severus. E’ traumatizzata dall’agghiacciante fine dei suoi genitori e tu,come di consueto, stai prevedendo frettolosamente le sue reazioni future.
Non accadrà niente.
Lily tirò un sospiro profondo,si ravviò la capigliatura spettinata.
I loro occhi si incontrarono.
Severus trasalì.
Lily stava esibendo un sorriso sublime.



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Erano giorni che stava segregata nel suo appartamento privato,assaggiando appena il cibo che le veniva cucinato.
Narcissa sapeva che presto o tardi la sua persistente reclusione sarebbe terminata e onestamente riteneva che quello che sarebbe avvenuto dopo, sarebbe stato di gran lunga peggio.
La ferita bruciava viva nella sua carne e pur stringendo i denti,curandola,il dolore non si attenuava,ma aumentava a ogni nuova alba.
Poteva indovinare con una cieca certezza cosa covasse.
Non la biasimava e perché no? Era dalla sua parte.
Chiunque fosse stato, doveva pagare salato il delitto commesso.
Dunque non fu tanto sorpresa allorché Lucius le comunicò,concitato,della scomparsa della sua amica di quella mattina.
Si era convinta.
Tuttavia non l’avrebbe fatto,lo capì nell’istante in cui si materializzarono nella metropolitana. La sua espressione era triste intanto che scrutava gli assassini,due babbani brizzolati,inetti,assolutamente inutili e per questo pericolosi.
La vide avanzare,bacchetta alla mano,compassionevole. Perlomeno…sembrava.
La folla uscente dalla metro era incurante,indifferente agli uomini che tremavano come foglie davanti a una passante scarlatta.
Erano sopra al tetto dei ferro del treno sotterraneo,paralizzati.
Thomas,Severus,Lucius,Arthur,Narcissa,Molly,Rodolphus…Tutti, tutti si sforzavano di vedere l’opposto della scena che si stava snodando sotto i loro sguardi.
Sollevò la bacchetta.
Si schermarono gli occhi con le braccia.
La luce verde si schiantò sulle piastrelle giallo fumo delle pareti,abbagliò i gabbani,e uccise repentinamente i colpevoli,ignari sino all’ultimo della loro morte fulminea.
La metro ripartì rapida,Narcissa cadde in ginocchio.
Da lontano notò che Lily era sparita.
Volatilizzata.
I corpi erano stati inceneriti.
Atroce.
Puramente atroce.



§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§



I gabbiani virarono verso il mare grigio perla,sfiorandone la superficie e risalendo nel cielo. Lottavano con le correnti violente delle Isole Orcadi,che gli causavano frequenti perdite di quota.
Adorava quella distesa d’acqua,le infondeva quiete,la metteva in pace col mondo.
Il Mare del nord e il suo cuore gelato.
Rabbrividii nel suo maglione di lana prugna.
Se non avesse dato ascolto al suo istinto alla stazione metropolitana,forse avrebbe procurato meno dispiaceri a coloro che le volevano bene. Era stata una testarda,accecata dalla vendetta.
Non era ricercata dagli Auror,Lucius aveva provveduto ad insabbiare la vicenda. Era un maestro in questo.
Non si sentiva nemmeno colpevole.
Si chiedeva soltanto se l’uccisione degli assassini non avesse accresciuto la sua insoddisfazione,il suo stato di impotenza.
Calciò un sasso che rotolò sull’erba bagnata.
-Pentimenti?
Rodolphus la squadrava,fu irritata dal suo accento ironico.
-Dovrei?
-E che ne so io?Io mi sarei comportato anche peggio.- le ammiccò,l’immancabile sigaretta in bocca.
Tossì,non era abituata a stare a contatto con i fumatori.
-Oh,scusa,la finisco immediatamente.- mentì. L’avrebbe consumata fino all’ultimo mozzicone,ciò le suscitò un tenue sorriso.
-La differenza tra te e me,principessa,è che io sono il primo sospettato,in ciascuna maledetta faccenda in cui mi invischio. Tu,invece,sei un angelo dai capelli rossi…probabile che siano quelli che ti fregano.-sghignazzò- Non fa rilevanza quello che hai fatto. Eri posseduta,cara. Aaah,a volte amo la religione cristiana,scova una giustificazione a ogni bassezza umana,perdona tutto,tranne le cose naturali da perdonare.
-Non pensi di sbagliarti?
-Naaah…io mi baso sul mondo di oggi,della religione vera non mi importa.
Lily rise.
-Non avrai bevuto?-domandò,canzonatoria.
Parve rimuginarci.
- Sono sobrio e non posso capacitarmi che tu,Lily Evans,abbia fatto secche due persone non battendo ciglio. Sto tentando di trovare una spiegazione logica. Dimmi,l’affetto per i propri cari spinge all’omicidio?- sembrava davvero incuriosito.
Il suo quesito era stato come una doccia fredda. Si ricordò che Rodolphus aveva avuto un rapporto conflittuale con la sua famiglia e se ne era andato ad abitare per conto suo abbastanza presto.
-Dipende dalle situazioni. Io ho reagito,però non ho risolto il problema.
Ghignò.
-Quindi la tua è stata un’azione inutile.- scosse la testa-Dai,Lil!Mi stai prendendo per il culo?Confessa che li hai freddati per premeditazione,l’istinto non c’entra un tubo!
Il suono di uno schiaffo.
-Lo fai apposta,bastardo?!-i lineamenti induriti-Vuoi attaccarmi!Bè,fallo! Non mi interessa.
Gli puntò l’indice contro.
-Sappi una cosa. Ho attuato quello che era giusto per me. Nessuno li rimpiangerà e tu,tu non sei di certo la persona più indicata per suggerirmi quello che avrei o non avrei dovuto fare.
Rodolphus non si scompose,non era tipo da offendersi.
-Lily prima non stavi guardando semplicemente il mare,lo stavi osservando come se vi volessi annegare.
Lei si girò di scatto,sconvolta.
Lui si era allontanato.


HarrietteBlack
00giovedì 30 dicembre 2004 22:50
Vai...
...avanti dai!ho letto tutto,adesso sono curiosa!!
L'unica pecca che ci trovo è che non può essere veritiera per lo squilibrio temporale....cmq scrivi bene e anche i fatti sono ben elaborati! complimenti![SM=x117104]
Dona86
00venerdì 31 dicembre 2004 14:28
Grazie...
...per i complimenti,Harriette!!![SM=g27823] [SM=g27823] [SM=g27823]
C'è squilibrio temporale perchè è un AU,cioè un universo alternativo.Spero di postare presto il decimo capitolo!:rollin:
Bacioni,
Dona [SM=g27817]
Dona86
00sabato 12 marzo 2005 16:25
§Capitolo decimo§
§CAPITOLO DECIMO§



Ufficialmente lui,Arthur Weasley, non aveva mai incontrato il suo fratellastro,Nicholas Weasley.
In realtà, “fratellastro” non era il termine che lo identificava ai suoi occhi.
E l’aveva visto,in quanto amico d’infanzia di Lily Evans.
Nessuno era a conoscenza dell’antico legame tra i tre. Lily,per nascondere la loro amicizia, rifilava sempre la vecchia storia di un’ingiallita fotografia di famiglia in cui era presente Nicholas. La gente non ci rifletteva su abbastanza,perché se l’avesse fatto,sarebbe arrivata alla conclusione che quel rettangolo di carta era inesistente. La famiglia Weasley non si sarebbe disonorata a tal punto da permettere ad un Mago No di apparire tra i suoi membri.
Perchè Nicholas prima di essere suo legittimo fratello,era questo: un Mago No. Un incapace. Una vergogna da oscurare. Non compariva nel loro albero genealogico. In pochi sapevano.
Era una condizione innaturale.
Aveva frequentato il primo anno di Hogwarts,quel tanto che bastasse per rendersi conto del suo handicap. Il mondo magico in cui era vissuto sin dalla nascita non era adatto a lui. Un destino crudele,se ci si soffermava. Era stato trasferito in una scuola babbana esclusiva,però era fuori dal giro. Da bambino alquanto remissivo e taciturno,aveva cercato di lenire la pena del non essere accettato tra i suoi simili buttandosi a capofitto e con estrema dedizione in qualsiasi compito intraprendesse. Il desiderio di emergere lo guidò ben presto a laurearsi in giurisprudenza e a rientrare con pazienza nell’universo da cui tempo prima era stato estromesso. Era avvocato,uno tosto,di quelli che non si arrendono e combattono fino all’ultimo,giusta o sbagliata che sia la causa. Tra i maghi quelli del suo mestiere venivano chiamati “Thorns”,che nel futhorc* anglosassone significa “spine”,dato che per il loro sistema semidittatoriale erano pungenti e fastidiosi proprio come le spine di una rosa. E Nicholas aveva una dote innata nel far divenire verdi di bile le facce idiote dei componenti del Wizengamot.
Del resto non potevano stabilire di farne a meno,sarebbero stati tacciati di lesa dei diritti dei cittadini. Un errore madornale: dovevano conservare una parvenza di legalità.
Peccato che il numero dei Thorns fosse misero e in quel periodo di efferate stragi e omicidi,l’unico statale fosse Nicholas. Allucinante,ma gli altri avvocati erano vecchi quanto basta da capire quando fosse necessario tirarsi indietro. Certo,il Weasley non vedeva di buon occhio l’operato del Ministero,ciononostante possedeva sufficiente lucidità mentale da comprendere che non si sarebbe rovesciata in quattro e quattr’otto un’istituzione che permaneva da secoli. Attraverso una catena di assassinii,per giunta. Uccidendo famiglie di potenti personaggi babbani in contatto con il mondo della magia,che cosa auspicava ad ottenere Lord Voldemort?Gloria?Riconoscenza?
Arthur digrignava i denti a questi discorsi provocatori. Voldemort,comunque la mettesse, rappresentava una soluzione. Il cambiamento doveva avvenire,non aveva importanza in che maniera.
Nicholas si accalorava e allentava il nodo della cravatta,proferendo secco e perentorio a voce elevata :-Non può esserci un cambiamento senza un mutamento di mentalità. Allo stato attuale non è possibile.-
Il signor Weasley sorrise amaramente a quel ricordo. Si era sentito a disagio di fronte al fratello. Malgrado fosse stato più piccolo d’età,aveva avvertito una sorta di inferiorità nei suoi confronti per quasi tutta la vita. Quasi. Ah,si. E non si sarebbe perdonato finché avesse respirato quell’assaggio di superiorità su Nicholas.
Era stata una frazione.
Quella notte Arthur si era visto in uno specchio e…quello che vi aveva scorto non gli era piaciuto.
Affatto.



§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§



Nicholas fissava lo sguardo fermo,i suoi occhi cerulei,sul viso di Lucius Malfoy.
- Non rispondete?
- Mi state accusando di una faccenda di cui io sono perfettamente all’oscuro.- dichiarò senza scomporsi.
- Oh,su questo non ho dubbi,signor Malfoy. Voi siete praticamente in ogni cosa all’oscuro, soprattutto quando vi presentate a questo banco.- batté la mano sul legno,a pochi centimetri dalla faccia di Malfoy- Attento a non farvi male a giocare con l’oscuro.
Velenoso gioco di parole. Una scintilla di rabbia si accese nelle pupille di Lucius.
Nicholas fece un sorrisetto furbo.
Centrato.
- Mi spiego. Finchè voi acquistate i vostri bizzarri- definì con una nota di disgusto,per lui,al contrario,la magia era un handicap dei maghi- oggetti a Nocturn Alley e in altri posti autorizzati,voi potete pure scuoiarci una gallina,per quanto mi riguarda,-alcuni membri del Wizengamot cambiarono rumorosamente posizione sulla sedia,raschiandosi le gole- però non deve,ripeto,non deve assolutamente avere ingenti quantità di materiale illegale e di contrabbando in casa sua.
- Dovrei dare,allora,una letta alla lista dei 2.375 manufatti proibiti dall’autorità magica in questi paesi?- domanda eminentemente retorica,atta a fargli guadagnare tempo sulla risposta adeguata da fornire.
Nicholas si esibì in una smorfia di disapprovazione.
- Ovviamente,no. La lista è in ordine alfabetico,signor Malfoy.- tagliò corto.
- Eppure il Ministro della Difesa mi aveva assicurato che…-sussurrò Lucius,chiaramente con l’intento di essere sentito.
-Un attimo,Thorn.-lo pregò il capo del Wizengamot,Honorius MacIntosh ,che era duro d’orecchi a suo comodo, pareva.- Dica,per favore.
- Si.- saltò su il Thorn a pagamento di Lucius- il mio cliente diceva che c’è una persona in grado di testimoniare a suo favore riguardo a ciò.
- E chi sarebbe?- chiese Nicholas.
- Io.
Arthur Weasley avanzò nell’aula dal soffitto altissimo e asimmetrico. Evitò l’occhiata di disprezzo del fratello.
Si avvicinò a MacIntosh,mormorandogli qualcosa.
- Signor Weasley,non sono affari di famiglia.- si irritò Nicholas- Faccia la cortesia di comunicare a tutti la sua testimonianza.
Arthur si girò:- Subito.
Teneva qualcosa tra le mani,un bacile di pietra inciso sul bordo da rune e da simboli particolari,contenente una luce argentata. Un pensatoio.
- Di chi è?- lo interrogò MacIntosh.
- Del ministro della Difesa contro le Arti Oscure,eccellenza.- disse solennemente Arthur.
- Obiezione,eccellenza!Potrebbe essere un falso…
Arthur lo zittì,indicandogli il nome scritto sul recipiente. Immerse la bacchetta nel liquido incandescente,scartando diversi pensieri. Infine ne estrasse quello di interesse comune.
-Prego.- li invitò.
Nicholas,MacIntosh e gli appartenenti al consiglio dei maghi,fecero capolino all’interno del ricordo.
Cosa? Un Lucius Malfoy che da bravo cittadino disciplinato e scrupoloso domandava quali manufatti potesse avere nel suo maniero al ministro della Difesa?Paranormale!Si trattava di un falso,senza ombra di dubbio.
MacIntosh lo squadrò come se con quel processo gli avesse fatto perdere mesi inutili. Lui spalancò la bocca per spiccicare qualcosa,per richiuderla repentinamente,sconsolato. Aveva perso.
- Agguerrito quel Nicholas,mh?
Lucius sorrise alla faccia lunga di Arthur. Era contento come una pasqua allorché usciva indenne da una causa contro di lui. Colpevole fino al midollo,la faceva franca per la sua nobiltà e per i soldi che emanavano un odore invitante per parecchie persone.
Questa volta non aveva dovuto corrompere nessuno con denaro frusciante,dato che Arthur era suo amico e provava un singolare gusto nel rendere ridicolo il suo caro fratellino. Il Weasley confessava di essere invidioso di lui perché era stato capace di fare carriera a soli ventisei anni d’età,a dispetto di lui che occupava a malapena il posto di assistente segretario all’ufficio di Difesa.
Era stato meschino, era più forte di lui. Non si poteva affermare che non lo facesse di proposito.
- Si,ha un’idea tutta sua del mondo.- si costrinse a sorridere.
Lucius storse il naso.
- Troppo “sua”. Non ho gradito quello scherzetto sull’Oscuro.
- Si è informato,eheh.- commentò,leggero.
- Potrebbe essere un problema nel futuro,se si diletta a frugare nei nostri affari.- era serio,ora.
Si arrestò a metà della scalinata. Lucius lo sorpassò.
No,Nicholas non si sarebbe esposto. Era appassionato al suo lavoro,tuttavia non era avventato.
Era improbabile che…
Improbabile: una bella parola proibita a quell’epoca.



§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§



- Lily?
La giovane donna era china su un poster della Nuda Veritas di Klimt,che era appeso nel suo studio d’avvocato.
- Squisito.-giudicò- Mi ero dimenticata la tua adorazione per Gustav.
- Ci siamo persi di vista…ricordi?- scherzò.
Lei rise.
- Nuda Veritas,Nick!Davvero nuda veritas.
Si abbracciarono stretti. Il suo profumo di violette lo inebriò. Si staccò da lei. Le sue ciocche vermiglie le incorniciavano il viso d’alabastro e le iridi erano pietruzze verdi e brillanti. Una splendida donna,valutò,arrossendo davanti alla sua bellezza.
- Oh,Nick,non sarai imbarazzato al mio cospetto?Tu,il grande Thorn?- si impressionò.
Lui espose goffamente fuori una teiera,due tazze di un blu paesaggio inglese e un contenitore di latta etichettato: “Ceylon Tea”.
- Tè?
- Si,grazie.
Lily osservò la stanza,il tè in infusione. Piani e piani di libri,fascicoli,una macchina da scrivere lucente in mezzo a una scrivania ordinata.
- Preciso,come al solito.
Annuì. Sfogliava un rapporto della polizia di Edimburgo. Aveva la vista acuta Lily.
- Mi è dispiaciuto per l’insuccesso con Lucius.
- Mh.- la guardò di sottecchi,pensieroso- Non è il fidanzato della tua amica Black?
Strinse le labbra:- Si.
- Volevi solo essere gentile o cosa?- ad un tratto era aggressivo.
- Si.- ammise.
- Non credere che non sia al corrente che tipo di relazioni tu intrattenga e con chi.- le fece presente,con tono falsamente cinico.
-Io…
Non gli andava di essere affabile,nutriva da molto sospetti verso la sua ex compagna di giochi. Sospetti che,mano a mano svolgeva la sua indagine,si consolidavano nel concreto.
- Perché sei venuta,Lily? Non per una visita di piacere o per altruismo,spero?- era irritato. La vecchia Lily gli avrebbe spiattellato i suoi intenti all’istante. Questa,contro ogni aspettativa,era reticente ed enigmatica. Difetti imperdonabili per lui.
- Se non ti dai una calmata,non verrai a capo di nulla,Nick.- si rabbuiò la donna.
- E’ un consiglio o una minaccia?- la stuzzicò.
Sembrò rifletterci per un momento.
- Entrambi.- lo avvisò,la fronte aggrondata.
- Benissimo.- buttò le erbe del tè e l’acqua della teiera nel lavandino del bagno personale,lasciando l’ospite interdetta.
- Sai qual è la porta.
Lily non si muoveva dalla sedia.
- Nick,io ti voglio aiutare. E’ fondamentale che nessuno…
- Che?- urlò- Che nessuno di voi pazzi si accorga che sto per metterli dannatamente tutti nel sacco?!
- Da me non scapperà la minima…
- Cristo santo,Lil,sei come loro! Una mafiosa che tenta di comprarmi con l’amicizia che… c’era tra di noi in passato!
- Io ho rischiato…
- Hai rischiato perché il tuo uomo- si morse un labbro- l’ha voluto. Io sono pronto,da parte mia. Non ho nulla da temere.
Lily lo contemplò,impietrita.
- Tu non ragioni,Nick. Il Ministero non può proteggerti!- era appenata.
- Non ho detto che il governo mi avrebbe protetto.- la freddò.
Rimasero in silenzio a scrutarsi,simili a due estranei.
Lily si avviò verso la porta a vetri;la sua mano sul pomello.
- Spero…
Si bloccò.
- Speri?- chiese,incalzandolo.
- Spero non mandi te. Riuscirò a cancellare questa triste conversazione ma non le tue dita su una bacchetta puntata contro di me.
La rossa asserì e gli augurò buona fortuna. Semplice convenzione.



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L’espressione di Arthur non aveva subito inflessioni quando Thomas aveva incominciato a conversare con lui. Se “conversare” era il verbo corretto. Riddle,difatti,si dirigeva,immediato,al punto della questione.
- Sai cosa fare.- terminò.
Ma era vero? Era consapevole di cosa si dovesse fare? E per quale motivo si “doveva”?
Quanto aveva scoperto?Quanto,Nicholas?
- Non sei convinto?Permetti che ti dica-si fece vicino- che andremo col direttissimo ad Azkaban,se tu non poni fine alla sua vita entro qualche ora.
Azkaban. La prigione di massima sicurezza dei maghi,un lager dove qualsiasi regola umana era bandita. I dissennatori erano i custodi della follia di quel posto. Tremò al pensiero.
- Dovrò bruciare i documenti.- resistenza?Come ci confidava?
- Basta che dai alle fiamme la sua casa. Il farabutto conserva lì i casi a cui sta lavorando.
Gli diede una lieve pacca sulla spalla.
- Non dobbiamo guardare in faccia niente e nessuno,se difendiamo un nobile ideale.- gli rammentò,focoso.
Si,però Nicholas prima di essere un avvocato,un babbano e un Mago No,era suo fratello.
Era diverso dagli sconosciuti che uccideva,dai bambini che schiantava.
Inviare,inoltre, lui?
Era un’azione di perfidia inaudita.
E che ci si voleva aspettare,del resto,da uno che non aveva esitato ad ammazzare a sangue freddo suo padre?
Non era in grado di essere onesto con se stesso. L’aveva detestato, ma non così tanto da desiderare di toglierselo di mezzo.
Era la volontà di Tom,e Nicholas era un ostacolo per lui. Una spina nel fianco,constatò ironicamente.
Tom era annoiato.
- Inteso. Potrebbe crearti dei problemi…
- Si.- fu schietto.
- Come non detto.- alzò le mani in segno di resa- Lo farà Walden.
Era manifesto che fosse deluso,lo giudicava un uomo di fegato e,per contrasto, Arthur era palesemente sollevato.
Come se temesse qualcosa.
Thomas rise dentro di sé. Povero Arthur.



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- Kelly,che c’è?
Una bimbetta dai capelli ricci e cespugliosi trotterellò verso di lui,bisbigliandogli:- Ci sono dei signori nella mia cameretta.
Una fitta al cuore.
- Signori?
- Aha,dicono di venire dal Ministero.
La squadrò,dubbioso. La bambina si imbronciò.
- Non mi credi,zio?
Rivolse un sorriso imbarazzato agli ospiti,che lo inquadravano confusi.
Vorrei non crederti, pensò.
Calmo,doveva mantenersi calmo.
- Uomini del Ministero?-rise- Tesoro,tu vedi troppa TV!- fece sentire agli invitati,come scusandosi.
Kelly gli assestò un pugnetto sulla gamba.
- Non è giusto,è la veritààà!- piagnucolò.
La luce delle candele e dei lampadari tremolò e svanì.
Lo so,piccola. Non è la fantasia di un bambino. Non lo è mai stata.
- Che succede?- mormorò la moglie,agitata.
Bramò irrazionalmente una bacchetta in quell’attimo.
- Non so.
Figurarsi. Lily lo aveva avvertito,Silente gliel’aveva velatamente accennato di non esporsi,Wizzy,il vecchio del pub di Rosmerta,gli aveva suggerito caldamente di tagliare la corda… se l’attendeva,ma non se l’attendeva. Fantasticava che un giorno si sarebbe svegliato e qualcuno l’avrebbe assicurato che le scope non volavano,giganti,lepricani e unicorni esistevano esclusivamente nelle fiabe,e che,in particolare,non c’era un incantesimo capace di sottrarre la vita con un liquidante lampo di luce.



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Rumore d’acqua,uno scrosciare infinito.
Il sangue era ovunque.
Più tentava di levarlo,più rimaneva impresso sulla pelle,incrostato.
Gli fremevano le mani.
Come avevano osato? Come avevano potuto ingannarlo?
Gli avevano giocato uno scherzo efferato.
Gli fischiavano le orecchie,ronzavano come mosche impazzite.
Strilli soffocati.
E gli occhi di Nicholas. Oh,quelli non li avrebbe dimenticati. Insieme alla sua stessa figura riflessa nello specchio,incredulo mentre il corpo del fratello scivolava al suolo,Bellatrix trionfante in un angolo. Gli aveva gridato:
- E’ tutto tuo, Artchie!- e l’aveva spinto verso di lui.
Arthur non ne era conoscenza,era soltanto un’abitazione identica alle altre e il buio non l’aveva aiutato a distinguere chi veramente avesse in pugno. Solamente un fascio di bagliore lunare gli aveva mostrato il volto atterrito di Nicholas che,a sua volta,ironia della sorte,lo aveva riconosciuto in quel secondo.
Dispiace che la magia mortale fosse già stata scagliata.
Bellatrix gli si era apprestata,sussurrandogli in brodo di giuggiole:- Sorpresa!- aveva riso,rovesciando la testa all’indietro.
Era diventato muto. Per il trauma,non aveva smosso una corda vocale per urlare come un forsennato.
Era rimasto immobile,il corpo di Nick che si raffreddava a poco a poco. La bocca scardinata in un’espressione di sgomento orribile.
Il profumo della lavanda si fondeva al lezzo di morte che emanava la sua tunica.
Alzò lo sguardo.
Le sue iridi azzurre erano bianche e le pupille dilatate,aveva un colorito cianotico,le labbra semibluastre,sembrava la caricatura di un morto. Per assurdo Nicholas,defunto qualche ora prima,gli era parso di gran lunga più vivo di lui,adesso,nel bagno.
I restanti li avevano sterminati,tranne la moglie del fratello. Lord Voldemort aveva ordinato di risparmiarla. Lacrime d’ira. Sadico…fino all’ultimo.
Qualcuno bussò.
- C’è qualche problema?E’ da molto che sei lì!
Era Molly.
Che le avrebbe raccontato?
Balle?
Schiaffò l’acqua rabbiosamente,schizzando il vetro dello specchio.
No.
Quella notte non era morto solamente Nicholas.
Un pezzo di lui l’aveva seguito.
E non sarebbe tornato.
- Entra.



§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§



Lucius Malfoy socchiuse gli occhi,un sorriso velato dipinto sul viso.
- Weasley,rassegni le dimissioni?
Gli riservò un’occhiata indifferente.
- No,mi trasferisco in un altro ufficio più spazioso,Malfoy…Ah,Ron, prendi anche queste.- porse al figlio una scatola di papere di gomma dai vari colori.
- Ah,si? Li hai finalmente convinti a farti aumentare lo stipendio? Non mi sembra che tu abbia effettuato una sequela di controlli recentemente.- le pupille scintillavano. Era una celata allusione alla sua vera attività nell’Ordine.
- Da quando in qua ti intendi di arnesi babbani,eh?- lo additò.
- Andiamo,la mia avversione non combacia con la mia ignoranza.- carezzò un ombrello nei suoi pressi.
- Conosci il tuo nemico.- proferì come se ciò gli avesse suscitato lontane reminescenze. Lucius sollevò le sopracciglia, come per dire- Te lo ricordi,dunque?-
- L’aiuto a trasportare quella lampada?- una Tonks con lunghe mèches verdi e gialle si offrì volontaria,sbucando dal nulla.
- Oh,si,fai pure!- le sorrise il signor Weasley nel frattempo in cui si chinava su uno scatolone. Perché Lucius non alzava i tacchi?
Malfoy,invece,si limitò ad aggiustarsi placidamente il mantello sulle spalle.
- E’ incredibile il modo in cui cerchi disperatamente di rinnegare il tuo passato e i tuoi vecchi amici.
Arthur lasciò di colpo quello che stava facendo e lo squadrò con orrore. Non riusciva a replicare,d’altronde non era bravo a rispondere a tono.
- Oooh,ho la tua attenzione alla fine!- ghignò compiaciuto.
- Che vuoi?
- Niente, farti gentilmente presente che non ci sarà una seconda volta per te.- i loro occhi si incontrarono. Non era piacevole per entrambi, ma avevano smesso di interrogarsi in maniera sciocca sui motivi che li avevano spinti alle rispettive scelte. Accettavano lo stato di cose,ora. Lucius era cosciente che lo avrebbe dovuto fronteggiare in un futuro imminente e Arthur capiva che doveva rimediare agli errori di gioventù, nel tentativo di scacciare il fantasma del fratello ucciso. Pensare che la madre si era rinchiusa per giorni dentro la sua camera…era pur sempre suo figlio. Ne era uscita deperita e assai suscettibile. Di lì a un paio di mesi era morta,agonizzante su un letto d’ospedale,collegata a un groviglio di tubicini e aghi. Non si era mai perdonata lo sbaglio che aveva compiuto con Nicholas e aveva proibito alle infermiere di far entrare Arthur nei momenti finali. Non l’aveva vista esalare l’ultimo respiro.
Fu riportato alla realtà da Ron che scattò verso Lucius,spintonandolo nel corridoio.
- Ron!- gridò,urtando uno spigolo di un mobile,facendo cadere al suolo una cornice.
- Come ti permetti di minacciare la gente così,a faccia scoperta,lurido Mangiamorte?!!!?
Arthur lo scansò con fatica dal biondo. Ron era diventato più alto di lui e robusto nell’arco di quell’anno.
- Dovresti insegnargli l’educazione,Arthur,una volta ogni tanto. L’arroganza può essere un’arma a doppio taglio.- gli suggerì,squisitamente divertito,e verso Ron- Comunque,ragazzo,io sarei cauto a fare certe affermazioni,perché…- si avvicinò al suo orecchio,di modo che Arthur e la ragazza stramba non potessero udire.
Tonks recuperò la cornice caduta. Conteneva una vecchia foto. Sbarrò gli occhi,stupita.
-…non c’è nessuno qui che non sia stato almeno una volta quello che hai appena detto.- si schiarì la gola,abbandonando quello spettacolo patetico,in cui aveva sparso gasolio.
Questione di minuti e l’incendio sarebbe divampato.










*futhorc = alfabeto delle rune anglosassoni.


Dona86
00martedì 19 luglio 2005 12:22
§Capitolo Undicesimo§
§CAPITOLO UNDICESIMO§



I’m ‘round the corner from anything that’s real
I’m across the road from hope
I’m under a bridge in a rip tide
That’s taken everything I call my own

One step closer to knowing
One step closer to knowing

I’m on an island at a busy intersection
I can’t go forward, I can’t turn back
Can’t see the future
It’s getting away from me
I just watch the tail lights glowing

One step closer to knowing
One step closer to knowing
One step closer to knowing
Knowing, knowing

I’m hanging out to dry
With my old clothes
Finger still rd with the prick of an old rose
Well the heart that hurts
Is a heart that beats
Can you hear the drummer slowing?

One step closer to knowing
One step closer to knowing
One step closer to knowing
To knowing, to knowing, to knowing

(U2,One step closer, How to dismantle an atomic bomb)



A volte ci sono cose di cui tu non ti accorgi.
Strisciano sotto la superficie,si nascondono,emergono a tratti,per dileguarsi di nuovo negli abissi della mente.
Anni fa non si sarebbe neanche lontanamente immaginata un Percy lì,nella sala dei ricevimenti, che tracannava del Martini e conversava piacevolmente con il padre,come un vecchio amico di famiglia.
Era ai limiti del paranormale.
Le situazioni cambiavano molto più velocemente di quanto ci si aspettasse.
La gente era costantemente attratta dal potere,lo cercava,incespicando,come un dio a cui avvicinarsi e adorare sino allo sfinimento. Percy rientrava in modo splendido nella categoria.
Lei si aggirava tra i gruppetti di invitati simile a un fantasma indesiderato,lui si integrava impeccabilmente,distribuendo sorrisi a destra e a manca.
Ah,questa smania di farsi un nome,di diventare qualcuno!
Staccarsi dalla famiglia Weasley era stato una “fesseria” all’atto pratico, ma non alla stessa stregua sul piano teorico.
Lucius aveva constato che non era dotato di eccessivo coraggio,però era un cancelliere efficiente e ciò sarebbe bastato. Avevano fin troppi giovani pronti a morire per loro e altrettanti bloccati ad Azkaban.
Fra poco ne avrebbero avuti anche sottoterra.
Percy le accennò un saluto.
Vivian rispose di rimando. Un gesto vago.
Non era altro che uno spregevole galoppino.
Posò su un tavolo il suo aperitivo rosso fragola appena iniziato.
Meglio allontanarsi per un’oretta e ricomparire più tardi.
Notò d’improvviso una testa bionda che lasciava il party; decise di seguirla.
Draco aveva un passo incredibilmente spedito e in un batter d’occhio si ritrovò in un’ala del maniero che non esplorava da quando era bambina.
Il fratello,nel frattempo,non rilevando la sua presenza era scomparso dietro il vano di un passaggio segreto costituito da un vecchio scaffale di libri impolverati. Un classico,pensò,storcendo la bocca.
La stanza era in penombra,ingombra di mobili coperti da inquietanti teli bianchi,un pianoforte semiscoperto e privo di qualche tasto.
Tuttavia a calamitare il suo interesse fu un qualcosa di diverso.
Due vividi occhi verdi la fissavano dal capo opposto della parete. Si fece strada tra il mobilio per osservarli con acuta attenzione.
Erano uguali ai suoi.
Il proprietario era un giovane dipinto su un quadro,l’espressione severa e colma di passione,il portamento eretto,un’eleganza signorile.
Lo ammirava affascinata.
Percorse con lo sguardo i suoi lineamenti,aggrottando la fronte,dove…?
Lentamente,come in un sogno,si concentrò sulla sua figura riflessa nello specchio tra le vetrate.
Si toccò delicatamente con le dita.
Il contorno degli occhi.
Il naso.
Le labbra.
Il mento,come se li vedesse per la prima volta.
Il cuore perse un battito.
Era reale?Perchè le sembrava che l’insieme assumesse le linee sfumate dell’irreale.
Si sentiva vicina ad Alice nel Paese delle Meraviglie che scopriva un impronunciabile segreto.
L’uomo,l’uomo che le era di fronte,ci mise tanto a formulare coscientemente questo pensiero,era simile a lei. Erano delle gocce d’acqua.
Incredibile?
Da piccola aveva desiderato nelle sue fervide fantasie di non essere figlia dei suoi genitori,ma di un qualche eroe della sua fantasia o un personaggio famoso…Non si sarebbe figurata che…Era per gioco…era evidente,no?
Indietreggiò.
Come era stato possibile?
Quando aveva stabilito di essere cieca?
Era penetrata in differenti occasioni in quel luogo e non aveva…
Dedicò di striscio un’occhiata alla persona ritratta,come se temesse si animasse. Il ragazzo doveva aver avuto la sua medesima età all’epoca della sua realizzazione.
Non aveva ravvisato la somiglianza per quello,può darsi.
E-era…era ridicolo.
Udì un rumore.
Si nascose nell’ombra.
Nove sagome dai mantelli inchiostro sgusciarono dallo scaffale della biblioteca.
Mangiamorte.
-Vuoi unirti a noi,sorella?- chiese baldanzoso Draco dalla maschera.
Lei affacciò il viso alla tenue luce lunare.
- Mi piacerebbe,fratello,solo che qualcuno deve pur intrattenere gli ospiti…-sorrise,strategica.
I compagni di Draco sogghignarono sommessamente sotto le maschere.
Il biondo non diede segno di essere stato soddisfatto dalla reazione di Vivian. Si coprì il capo col cappuccio e disparve con quelli.
Lei abbandonò in fretta quel posto,scottata da brucianti considerazioni.
Narcissa le avrebbe dovuto spiegare.



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- Harry,tesoro,vuoi un’aspirina?- Molly lo squadrava,la fronte corrugata,il mestolo gocciolante di minestra.
Il ragazzo moro si tolse gli occhiali,esausto. In teoria doveva essere abituato a convivere con quel dolore lancinante,però la verità era che non ci si faceva comunque l’abitudine. Era come se la sua testa si spaccasse in due e si dividesse in una miriade di pezzetti indefiniti.
Era stanco. Dormiva poco e male da giorni. Si sentiva vittima di un invecchiamento precoce a cui era stato esposto in quegli ultimi due anni e mezzo. Non si domandava perché non avesse una vita normale e aveva lasciato da tempo la strada che conduceva verso questa. Al contrario,interrogarsi su che senso avesse la sua esistenza si era tramutata in una consuetudine. Era una costante. E a sedici anni era insolito che gli si formasse un pensiero del genere così frequentemente.
-No,grazie.- esitò- Non mi fa effetto.
Molly lo guardò con compassione. Si infastidì.
Distolse lo sguardo, e si accinse a tormentare l’anello che aveva all’anulare. Gliel’aveva regalato la signora Weasley per Natale.
“Conservalo con cura,è antico.”
Un drago dagli occhi fiammeggianti.
Un regalo inconsueto,aveva accantonato in definitiva gli orripilanti maglioni marroni?Sarebbe stata una sorpresa.
Non amava in modo esagerato quelle bestie e l’aver affrontato l’Ungaro Spinato gli impediva di esprimere un giudizio a loro favore.
L’argento della lega si era leggermente annerito.
Di notte gli occhi si illuminavano a tratti,di giorno,invece,giaceva inanimato sul suo dito.
Aveva notato che i suoi incantesimi erano migliori nella riuscita dal momento che se l’era infilato. La ragione per la quale Molly gliel’avesse donato restava un mistero.
La lancetta di Ron dell’orologio di casa Weasley si spostò su Home.
Bene,era tornato infine. Stare a fissare la madre di Ron che faceva girare faticosamente la minestra nel pentolone sul fuoco del camino non era una vista esaltante.
-Ah,eccolo.- realizzò distrattamente la signora, voltandosi appena alla successiva entrata del figlio nell’abitazione.
Ron salutò Harry,si pulì il cappotto dai cristalli di neve e si sfilò gli scarponi sporchi di fango e nevischio.
Appoggiò la sciarpa di lana su una sedia di legno.
Il sorriso morì sulla bocca di Harry. Il suo amico aveva un cupo cipiglio,come se gli avessero provocato un grave torto o avesse incontrato recentemente Draco Malfoy,e serbava,saldo, qualcosa tra i guanti di cui ancora non si era liberato.
-Sei stato al Ministero da tuo padre?
- Si,non c’era. Credo che sia in missione per conto di quelli della Fenice.- il suo tono era controllato,attento ad non alzare la voce.
Molly assaggiò la brodaglia,fece schioccare il palato e mormorò allegramente tra sé: -Ottimo!
-E come mai sei tornato a quest’ora?- lo incalzò Harry. La rossa non pareva troppo interessata.
-Ero a fare una passeggiata.- gli riferì scostante.
Buttò quello che aveva tra le mani e si strappò i guanti dalle mani.
-A pensare.- calcò.
Harry si trovò sotto il naso una vecchia foto animata.
- Dove l’hai…?-bisbigliò.
Ron indicò,funereo,con il pollice una direzione non precisata alle sue spalle. Ufficio.
Era un gruppo di ragazzi con l’uniforme di Hogwarts. Harry non riusciva a distinguere di che Casa fossero,ma questo non aveva rilevanza,dato che via via che metteva a fuoco le persone poté indovinarle. Un ragazzo alto stringeva la vita di sua madre,Lily che rideva,radiosa,all’obiettivo,accanto c’erano un Lucius Malfoy e un Arthur Weasley giovanissimi che si affibbiavano reciprocamente le corna sui capi,dietro di loro era un ragazza bionda dall’aria annoiata,una Molly dal dolce sorriso e il pensieroso Severus Snape,in disparte.
Ron tentò di non incrociare i suoi occhi stupiti.
Stava esercitando su di se un grande sforzo per non esplodere e calmarsi. Il suo conflitto interiore era palpabile.
Harry non voleva capire,per una volta.
Se Lily aveva avuto un altro fidanzato,per lo più Serpeverde,supponeva, prima di suo padre, lui non ci badava. Lo poneva a disagio,questo si. D’altronde bisognava scacciare l’infantile convinzione che la storia dei suoi genitori partisse dal matrimonio,come se il passato non esistesse.
Ron,però,poverino,era sconvolto.
Si riprese,flemmatico, l’istantanea e si appropinquò a Molly,calandole davanti agli occhi la fotografia.
-Spiegami.- le ingiunse.
La signora Weasley fece un sobbalzo tale da far quasi rovesciare il pentolone.
L’afferrò con uno strattone e si voltò finalmente verso il figlio.



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Da quanto puntava,ipnotizzata,la lunga illuminazione al neon sul soffitto?
Le aveva ferito gli occhi al risveglio.
Poi si era abituata alla sua luce devastante,fredda e sprezzante.
Il lezzo di disinfettante le solleticava le narici.
Aveva i muscoli intorpiditi,e sollevando le dita avvertì qualcosa sul dorso della mano.
La pungeva.
Un’ombra si chinò su di lei,oscurandole la visuale. Le stava estraendo l’ago fastidioso.
Contorse la bocca in un flebile spasimo. Voleva alzarsi,ma al minimo movimento fu arrestata da una stretta potente al polso.
Non oppose resistenza.
Sussurrii.
-…ha gridato per l’intera notte…-
-…non si è addormentata?...-
-No…due ore…-
Volse impercettibilmente la testa. La memoria silenziosa e buia,non forniva risposta a una strana fame che teneva in scacco il suo stomaco,saliva dolorosa per l’esofago e inviava input frenetici ai suoi neuroni. Avrebbe dovuto ricordarsi…si,che? Che c’era da ricordare escluso quell’ospedale in cui era segregata da…da quando?
Era come se ci fosse sempre stato.
Un’ennesima ombra,stavolta acquisiva lineamenti nitidi: fronte spaziosa,capelli radi,occhiali quadrati,sorriso affabile.
- Come ci sentiamo,signorina?
Puntellò il palato con la saliva per sciogliere la bocca impastata.
- Dentro la mia mente c’è un buco nero,dottore. Risucchia ogni mio ricordo.
L’uomo la scrutò,esterrefatto. Non era preparato a un tale paragone. Doveva ammettere che calzava a pennello. Egli stesso era stupito dalla sua perspicacia e lucidità,avendo perso la maggior parte delle sue rimembranze. E aveva il vago sospetto che li sostituisse con altri di natura totalmente impensabile. Delirava e i momenti in cui era quieta coincidevano spesso con lunghe dormite indotte da una massiccia somministrazione di sedativi,calmanti e sonniferi.
Ciò che raccontava era ai limiti dell’umano,paranormale. Il medico rifiutava di prestare orecchio a pensieri artefatti dalla sua mente distorta. Doveva essersi schiantata il capo contro una roccia o un qualsiasi corpo contundente. Le sue dita erano incrostate di terra,fango,tagli superflui sui polpastrelli e alcuni profondi su palmi e polsi. Doveva aver vagato per parecchie miglia,o peggio,essersi trascinata. In un bosco piuttosto insidioso e scarsamente esplorato. La polizia aveva condotto indagini su vasta scala ma,malgrado i numerosi tentativi,non erano riusciti a risalire al suo luogo di provenienza. L’avevano pescata in una stradina sterrata che conduceva diritto alle scogliere di Land’s End e questo era tutto quello di cui erano al corrente.
Un’anziana donna veniva a visitarla quotidianamente. Era lei che l’aveva avvistata agonizzante. Le aveva salvato la vita. Sarebbe bastato un ulteriore giorno per spedire Kathleen all’altro mondo. “Kathleen” era il nome che le aveva affibbiato la gentile vecchia. Melanie,si chiamava. Nutriva un affetto filiale per quella povera sprovveduta.
Esaminò il volto della giovane ragazza sprofondato tra i cuscini scomposti. I capelli erano appiccicaticci, lunghe occhiaie violacee erano comparse sotto le sue preziose gemme verdi,le guance erano scavate,il colorito cereo. Voleva curarla,pure se era ignaro della maniera ideale. I suoi non erano problemi fisici…mentali,anzi,era palese.
Non era un insensibile come i suoi colleghi,se l’avessero trasferita nel reparto psichiatrico,non avrebbe recuperato affatto la memoria.
Incrociò le braccia,sospirando. La colpa poteva essere sua,può darsi. L’aveva letteralmente annichilita,imbottendola di farmaci che le avevano causato più male che bene.
Non era una paziente collaborativa. Era turbolenta e di rado accettava di conversare con lui con serenità.
Kathleen strabuzzò gli occhi,senza apparente motivo,come se avesse scorto qualcosa all’altezza della sponda del letto.
- Non ti ho chiesto nulla,insulso elfo.- sibilò.
Rabbrividì,la sua voce era incredibilmente affilata; provava sempre l’impulso di scappare allorché le sue visioni si manifestavano tangibili nella stanza assolata.
- Tom.- invocò,lamentosa- Tom,levamelo dai piedi!
Inclinò la testa a destra e a sinistra,roteando gli occhi al cielo e aprendo caricaturalmente le labbra,come a voler imitare il modo di parlare di qualcuno.
-Certo,certo…-farfugliò- Tom? Tom,insomma,vuoi venire?!
Si voltò verso la finestra in fondo alla stanza,tirandosi bruscamente su a sedere.
Il rosso sole dell’alba macchiava il manto pervinca del cielo.
- Tom?
Il respiro si fece affannoso.
-TOOM!- squittì.
Rivolse un’occhiataccia avvelenata a lui e ,immediatamente dopo,alla flebo a cui era attaccata.
- Dov’è?Dove l’hai nascosto?- strillò,piangendo e buttando le coperte all’aria.
- Lo rivoglio indietrooo- si strappò l’ago della flebo,gettando anche il supporto metallico a terra. Il contenitore di plastica scivolò sul pavimento,producendo un “blob” rumoroso.
Massacrò di pugni il materasso,il viso paonazzo per il pianto.
-RIDAMMELOOO!!!- gridò,isterica.
Il dottore fece un cenno all’infermiera che uscì terrorizzata dalla camera.
Ci volevano rinforzi per sedarla.
Compì qualche passo verso Kathleen. Riteneva che sbraitasse contro di lui,ma era in grave errore.
-Tu,megera!-si sporse dal bordo del letto con energia- Gli hai riempito la mente di bugie! Non credere,non credere che non mi ricordi,infida bastarda!
Allungò il braccio per artigliare la lampada sul suo comodino.
- Ok,ok,Kathy,ora abbassa quella cosa,non fare niente di cui in seguito potrai…
-…subirne le conseguenze?- domandò con un sorrisetto sardonico. Si rigirò l’oggetto tra le mani: -Oh,è la mia vita.- confessò piano con tristezza.
- Sono qui per ascoltarti.- azzardò un tentativo. Fu vano.
Raccogliendo ogni rimasuglio di forza dal suo corpo,scagliò la lampada con una foga disperata.
-Muori,lurida schifosa!
La schivò per un pelo.
Abbandonò di corsa la stanza. Era abbastanza persino per lui.
- Non mi sfuggirai! Ci vorranno anni, ma il tuo destino volgerà inesorabilmente al termine,stronza.- mormorò tra sé e sé .
L’indomani fu trasferita.



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Trovò la madre intenta ad intrattenere una gradevole discussione con il segretario di Stato magico,un tipo minuto,magro come un chiodo,con scialbi baffetti grigi ingialliti dal tabacco,gli occhietti sporgenti e indagatori,pronti a individuare la minima anomalia.
-Ah,Vivian,saluta il nostro caro signor Buckley…- la sollecitò,interrompendosi istantaneamente avendo catturato la sua espressione confusa e in apprensione.
- Ti senti bene,Vivy?- le chiese con il tono premuroso che usava quando era ammalata.
La analizzò con circospezione.
Bianca come la porcellana,i fili dorati della sua chioma erano acconciati in uno chignon semplice,le iridi acquamarina fisse nelle sue,la bocca sottile semiaperta nell’ansia di non conoscere cosa turbasse la figlia.
Che doveva pensare? Non voleva nemmeno confidarle il pensiero netto e sanguinoso che aveva sconvolto il suo cervello e il suo cuore nel momento in cui era rimasta intrappolata dal magnetico sguardo del ragazzo immortalato nel quadro. Era come se avesse scardinato un antico timore che affondava le radici nell’infanzia. La sua pelle era marmorea,ma non possedeva le gocce blu di Narcissa o celeste grigiastro di Lucius. Le sue forme non erano quelle spigolose della sua aurea genitrice. Erano morbide,a dispetto della sua magrezza.
Abbassò gli occhi.
Era assurdo.
-Mi scusi,gliela rubo un secondo,segretario,le dispiace?- domanda retorica di genuina formalità.
-No,non si preoccupi.- le sorrise,fingendosi privo d’interesse. Era morbosamente curioso il nanetto.
Si allontanarono dalla sala. Narcissa aveva la faccia costellata di mille punti interrogativi ed era sconcertata dall’espressione di Vivian che la metteva in allarme.
Aprì una porta verniciata di grigio perla.
- Entriamo.- suonava più come una supplica che come un invito.
Era la vecchia stanza dei giochi avvolta nella semioscurità,flebilmente rischiarata dalle luci notturne del giardino.
- Lumos!
I pixies saltellarono nelle gabbie,i liquidi occhi neri indirizzati su di lei,carichi d’aspettativa. Erano inerti e avevano perduto la vivacità di un tempo,i gridolini,però,li caratterizzavano ancora.
Le fate si accesero di calde luci rosa,verdi,gialle e azzurre,spandendo la polvere fatata intorno.
- Petrificus totalus!
L’animosità generale fu annullata da un’atmosfera rarefatta che aveva negato momentaneamente il respiro agli esserini e li faceva galleggiare a mezz’aria come se fossero immersi in una gigantesca bolla di sapone.
- E’ Draco,giusto?Gli è capitato qualcosa?- la apostrofò come se avesse indovinato solo allora il motivo di tanto mistero.
- Per essere franca,ho smesso da un pezzo di occuparmi di quello che fa o combina,mamma.- dichiarò,schietta.
La sua durezza impressionò Narcissa.
- Avete litigato?
- Non ha importanza ora.
- Ha importanza,invece…-obiettò vivamente.
-Mamma!- la riprese,spazientita.
Ammutolì.
In diverse circostanze l’avrebbe rimproverata della sua mancanza di rispetto e della sua insolenza, ma l’istinto le diceva che adesso non era davvero quella la questione all’ordine del giorno.
- Ho visto un ritratto che aveva tratti simili ai miei,mamma.- alzò di scatto gli occhi concentrandoli sui suoi- Che significa?
- Tom…- mormorò,incredula. Quella stanza era chiusa con un incantesimo di sbarramento perenne,difficile da eludere,come era riuscita Vivian a intrufolarcisi?
- Seguivo Draco e mi sono trovata per caso lì.- le spiattellò.
Narcissa piegò le labbra, stizzita. Se il suo poco accorto e spavaldo figlio non avesse commesso un’imprudenza simile! Aveva di sicuro installato una camera invisibile come luogo di ritrovo per i giovani mangiamorte lì vicino. Questa non ci voleva. No,sul serio.
Non era obbligata a svelarle la verità, Lily era morta in fondo e si era trascinata dietro i cocci del suo passato.
Non doveva scombussolarla.
Le avrebbe reso la verità,si morse l’interno della guancia,accettabile.
Lily era morta…in fondo.



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- Ninna nanna,ninna oh,questo piccino a chi lo doo- cantilenava quella nenia da tre mesi,e nonostante ciò non si era abituata alle levatacce di notte a cui la obbligava quel batuffolo di nome Draco.
Un frugoletto dalla testina platino,quasi bianca, due occhioni come ghiaccioli trasparenti,e un conturbante profumo di latte misto all’odore di borotalco che i bambini hanno sempre.
Si era appena addormentato con i pugnetti appoggiati sul petto,allorché udì il portone sbattere violentemente al piano di sotto.
Trattenne il respiro. Chinò lo sguardo,timorosa.
Sorrise sollevata. Il rumore,inspiegabilmente,non l’aveva destato.
Lo pose ,delicata, nella culla e accostò sofficemente la porta. Vide uno spiraglio di luce nell’ala est. Proveniva dallo studio.
Camminando lo stomaco le incominciò a contorcersi. Aveva una brutta sensazione, come se fosse successo qualcosa di irreparabile. In quell’ultimo periodo Tom era stato nervoso,suscettibile,a quanto le raccontava il marito,e stava perdendo il suo ascendente sugli altri. L’influenza che aveva permesso Bellatrix avesse su di lui,lo stava inesorabilmente consumando in una rete di dubbi che non era per nulla tipica di lui.
E quella Sibyl da quattro soldi gli aveva infuso strane idee,nocive per l’intera organizzazione. Comunque sia,al di là dei problemi esterni che ci potevano essere,l’unica ragione del suo lento declino era lo spegnimento della fiamma che accendeva il suo entusiasmo,la donna della sua vita,Lily.
Era tra le schiere di Albus Silente,che le aveva promesso protezione.
Si morsicò il labbro.
Al prezzo di cosa?Le aveva fornito le coordinate del quartier generale?I loro nominativi?
Lily ne poteva essere capace?
Scosse il capo.
Lucius stava rovistando tra delle carte. Il suo viso era un gioco di ombre,creato dalla bassa illuminazione della lampada da tavolo. Le leggeva a palpebre socchiuse,le scartava celermente,le accartocciava nel cestino come se ne andasse della propria esistenza.
- Lucius?-fece, esitante. Perché era venuta?Ora che c’era non voleva sapere. Desiderava tapparsi le orecchie,rintanarsi in un angolo,volare fuori dal mondo. Eppure restava immobile in quel punto,trattenuta da una potenza più dannosa della paura di conoscere…la curiosità.
Lucius si girò. Un breve istante. Sufficiente. La disperazione disegnata in volto,pareva sul ciglio di un cratere che stava per eruttare.
- Tom ha assassinato Liy ed è morto.- proferì a bruciapelo.
Qualcuno le aveva lanciato una pietra dritta in petto? Si resse a stento in piedi.
- C-come hai detto?
“Assassinare” non era un verbo del vocabolario di Lucius. Significava soltanto una cosa…
- Siamo finiti.- tradusse per dissipare la perplessità di lei.
- Che vai farneticando?- chiese con una smorfia che intendeva essere la parodia di un sorriso,non più padrona dei suoi muscoli facciali.
Lucius non l’ascoltava,concentrato nel suo lavoro. Raccattò vari documenti,fece comparire anche un teschio dalle orbite incastonate di rubino…roba di contrabbando. Nascose tutto nel mantello. Le consegnò un fagotto nero e una maschera.
- Bruciali.- le comandò,guardandola alfine negli occhi. Le parlava con flemma e chiarezza,come si fa con una bambina dura di comprendonio.
-Meritiamo di essere portati in prigione,vero?
Chissà per quale causa gli rifilava una domanda talmente sciocca. Era naturale…ma aveva recepito una scintilla di determinazione nelle sue pupille che l’aveva fatta dubitare sul suo futuro.
Spense la luce e la oltrepassò.
- Ah,fa lo stesso con il tuo travestimento,non si sa mai.- le consigliò.
- Dove vai?
- A salvare la nostra vita.- si dileguò nel buio.
Narcissa si accasciò sul marmo gelido,piangendo per lei,per la sua amica e per…la bimbetta di cui distingueva la sagoma che le stava davanti nell’oscurità,incerta se avvicinarsi o meno.
- Vivy,vieni.- le intimò con la voce incrinata.
La abbracciò,non stritolandola di poco. Emise uno strillo soffocato. Allentò la stretta,scusandosi.
-Sei orfana,piccola.
Vivian le carezzò i capelli,non capendola. Lei era sua mamma,altre non ce n’erano.


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